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Politica

TANTI CANDIDATI PER UNA CARICA INESISTENTE

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L’ennesimo paradosso della politica italiana: dispute accese nei partiti per stabilire chi sarà premier in caso di vittoria, ma tanti lavorano a una legge elettorale che escluda un vincitore assoluto. La Costituzione, immutata, assegna al Capo dello Stato il compito di conferire l’incarico di governo. 

di Massimo Colaiacomo

        

Luigi Di Maio è soltanto l’ultimo della nutrita truppa di candidati premier pronti a sfidarsi alle prossime elezioni politiche. Matteo Renzi ha bruciato tutti sul tempo, facendosi incoronare segretario, ad aprile, quindi, secondo lo statuto del PD, automaticamente candidato premier. Il leader leghista Matteo Salvini consuma il tempo a rivendicare per sé quel ruolo per un ventennio nella disponibilità assoluta di Berlusconi ma l’anziano leader, per nulla rassegnato, spariglia il gioco con una decisa virata in chiave europeista e filo-tedesca destinata a lacerare e non poco i rapporti nel centrodestra. Quali calcoli ci siano dietro la svolta di Berlusconi non è dato sapere. Si può ipotizzare, con una punta di malizia, che il leader tornato convinto europeista e amico di Angela Merkel tenta di costruirsi una solida sponda anche alla Corte di giustizia europea in vista del verdetto sulla legge Severino a causa della quale è stato fatto decadere dal Senato e inibito a rivestire cariche pubbliche.

         Dietro tanto agitarsi nei partiti e negli schieramenti, si intravvede con chiarezza la smania di una generazione politica giovane desiderosa di pensionare quel ceto dirigente che ha governato l’Italia nella stagione post-Tangentopoli. Significativa l’immagine dei leader del centrodestra – Salvini e Meloni, affiancati dal presidente della Liguria, Giovanni Toti, sempre più lontano da Berlusconi – al meeting annuale di Fratelli d’Italia. Il nome di Berlusconi non è mai stato pronunciato da nessuno di loro e nessun riferimento è mai stato fatto ai governi di centrodestra.

         Lo stato dell’arte, quando mancano pochi mesi alle elezioni politiche, è riassunto negli accadimenti degli ultimi mesi. Bersani e D’Alema (66 e 68 anni) hanno lasciato il PD per mettere su una nuova casa lasciando campo libero a Renzi (41 anni). Luigi Di Maio, nel M5s, ha 30 anni e il fondatore Beppe Grillo ha fatto sapere che farà il papà e non più il leader. Berlusconi (82 anni) sempre più in rotta di collisione con i due dioscuri, Salvini e Meloni (rispettivamente 44 e 40 anni) conta di portare il centrodestra a rapporti meno conflittuali con l’Europa, ma spera in una legge elettorale che consenta a Forza Italia di liberarsi dall’abbraccio soffocante della Lega Nord.

         Salvini, Renzi, Di Maio, Toti, Meloni sono esponenti di una generazione di politici smaniosi di prendere lo scettro del comando ma fino a oggi incapaci di immaginare un percorso che li porti a quel traguardo. Nessuno di loro pensa di far tesoro del monito del generale De Gaulle (“il potere non si cerca, quando è maturo cade nelle tue mani”) mentre l’unica strada fin qui intrapresa li ha portati a una conflittualità aperta con la generazione precedente. Il paradosso di tanta agitazione si manifesta nella legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum bis, che dovrebbe approdare in Parlamento la prossima settimana per essere approvata alla Camera ai primi di ottobre. Il mix di maggioritario (64%) e di proporzionale (36%), con la soglia di sbarramento al 3% per i partiti e al 10% per le coalizioni, prefigura un meccanismo tale da impedire l’affermazione netta di un partito o di uno schieramento.

         Più scomoda degli altri è la posizione del M5s, non a caso il primo a denunciare nella nuova proposta un imbroglio ordito da PD e Forza Italia contro il M5s. Il movimento grillino è contrario a qualsiasi alleanza, convinto come è di avere il vento alle vele e di arrivare a palazzo Chigi con le proprie forze. Discorso esattamente opposto a quello di Renzi, accortosi, in ritardo e dopo una serie di micidiali errori politici, che senza rompere l’isolamento in cui ha cacciato il PD il ritorno a palazzo Chigi diventerebbe per lui una chimera. Unico a non coltivare ambizioni di governo, Berlusconi può concedersi il lusso di arbitrare le diverse partite in corso ben sapendo che il futuro governo sarà, in ogni caso, un governo di coalizione, sia che venga approvato il Rosatellum, sia che si voti con l’attuale legge elettorale risultante dalle sentenze della Corte costituzionale.

         Cresce nel Paese, o in quella parte di esso meglio rappresentata dai mass media, una qualche convinzione che il proseguimento dell’attuale esecutivo Gentiloni, magari con un reshuffle che preveda l’ingresso di Forza Italia, potrebbe rivelarsi alla fine la soluzione migliore per gli interessi del Paese. Certo è che all’indomani del voto, come e più che nelle precedenti elezioni, tutti i fili saranno nelle mani, abili e capaci, del presidente della Repubblica. Mattarella si è confermato in questi quattro anni un attento interprete degli atti del Parlamento e degli umori del Paese. Quando conferirà l’incarico di formare il governo, lo farà soltanto in presenza di una maggioranza solida e certa, come ricorderà bene Bersani. E incaricherà un presidente del Consiglio e non un premier. 

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