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Diritti umani

Navi scomparse nell’Adriatico, verità affondate: l’inchiesta di Gerd Dani

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La vicenda del peschereccio Francesco Padre, affondato il 4 novembre 1994 e ancora oggi avvolta nel mistero. Identica sorte del peschereccio Angelo Padre scomparso nello stesso mare anni prima nel 1982.

di Laura Marà

Nel mondo del mare, dove regna il silenzio rotto solo dalle onde e dalla voce del vento, la vita dei pescatori si consuma tra fatica, salsedine e un profondo legame con l’ignoto. Ma cosa accade quando una barca non rientra al porto? Quando la radio tace e i familiari restano ad aspettare un ritorno che non avverrà mai?

Diverse vicende, apparentemente scollegate, sembrano segnare un solco inquietante nella memoria collettiva delle marinerie italiane. Alcuni si chiedono se ci sia qualcosa di più dietro a certi naufragi. È possibile che alcune unità da pesca siano state coinvolte, loro malgrado, in dinamiche che vanno oltre l’attività quotidiana del lavoro in mare?

Il giornalista Gerd Dani ha ricostruito, in un suo approfondimento, una serie di casi accomunati da elementi che pongono più interrogativi che certezze. Si tratta di incidenti marittimi, a volte dimenticati, a volte avvolti da un alone di segretezza. In alcuni di questi episodi, vengono menzionate presunte responsabilità di sommergibili militari, spesso attribuiti alla Marina degli Stati Uniti, presenti nel Mediterraneo per esercitazioni o pattugliamenti strategici.

Vicende sospette e domande senza risposta

Tra i casi riportati da Dani, figura quello del peschereccio Francesco Padre, affondato il 4 novembre 1994. La dinamica non è mai stata del tutto chiarita. A bordo c’erano cinque uomini e un cane. Nessuno è tornato. È stato un semplice incidente o qualcosa di più?

Un altro episodio, ancora più oscuro, è quello dell’Angelo Padre, motobarca giuliese scomparsa nell’aprile del 1982. Tre pescatori persero la vita: Nicola Gualà, Giuseppe Gualà e Gabriele Marchetti. Le ricerche furono avviate con ritardo, almeno secondo le cronologie riportate nei documenti ufficiali. Una risposta parlamentare, fornita all’epoca dal ministro Di Giesi, mostra un’incongruenza temporale che lascia spazio a dubbi: le operazioni di soccorso iniziarono il 10 aprile ma si sarebbero protratte… il giorno prima?

La voce dei testimoni e le prove sommerse

A fornire elementi chiave è il racconto del comandante Cesare Ariozzi. Il 10 aprile 1982 fu proprio lui a individuare, grazie a un cavo con rampino, il punto dove sembrava trovarsi il relitto dell’Angelo Padre, a circa 200 metri di profondità, affondato in una zona chiamata “Il Gomito”.Una macchia di nafta sul mare confermava la presenza di un’imbarcazione affondata. Un’ispezione successiva, affidata alla ditta specializzata Sub Sea Services confermò che si trattava proprio della motobarca scomparsa. Ma dei corpi non vi era traccia.

Un dettaglio rilevato dalle fotografie del relitto fece nascere un’ipotesi inquietante: danni compatibili con uno speronamento da parte di un’unità di grandi dimensioni. Ma quale unità? Perché si allontanò senza prestare soccorso?

Interrogazioni parlamentari e segreti militari

Secondo quanto riportato dal giornalista Dani, nel 1983 due interrogazioni parlamentari sollevarono ufficialmente il caso. Deputati e figure di alto rango, come l’ammiraglio Falco Accame, chiesero chiarimenti: da dove era partita l’imbarcazione? Quali erano le condizioni meteo? Chi coordinò le operazioni di soccorso e perché non si procedette al recupero delle salme?

Le risposte ricevute sembrano non aver chiarito i dubbi. Alcuni si sono chiesti se, dietro questi silenzi, si celassero pressioni legate a equilibri internazionali delicati. È possibile che, in un Mediterraneo segnato dalla Guerra Fredda, il mare italiano sia stato teatro di manovre militari riservate?

Avvistamenti, silenzi e documenti secretati

Nel corso degli anni, si sono accumulati racconti di pescatori su avvistamenti insoliti: colonne d’acqua che si alzavano improvvisamente in mare, bagliori notturni, disturbi ai radar. Fenomeni che, negli anni Settanta e Ottanta, vennero in alcuni casi attribuiti agli “USO” – oggetti sottomarini non identificati.

Nel 1979, l’allora deputato Falco Accame segnalò questi episodi in un’interrogazione al Presidente del Consiglio Andreotti, chiedendo che si facesse luce sui fenomeni e che si informassero le popolazioni costiere. Ma i dossier raccolti dall’Aeronautica Militare italiana, incaricata di indagare, sono tuttora classificati.

Video intervista di Laura Mará a Giuliana Gualá, figlia e sorella di Nicola e del giovanissimo Giuseppe Massimo, scomparsi 43 anni fa nella tragedia dell’affondamento dell’Angelo Padre.

Di seguito, l’intervista della giornalista Paola Peluso a Giuliana Gualà, ospite dopo 31 anni dalla scomparsa di papà Nicola e del fratello Giuseppe, presso la trasmissione di Teleponte “In nome della legge”. La sua voce, ferma e dolorosa, racconta il silenzio di chi ha perso tutto senza mai avere giustizia.

Giuliana e il fratello minore Gianfranco, già orfani di madre, erano certi che il mare non avrebbe potuto tradire papà Nicola, marinaio con 33 anni di esperienza ed erano certi che in quella Settimana Santa dell’82 sarebbe tornato per festeggiare la Pasqua. La certezza si infrange giorno dopo giorno man mano che le ricerche attivate prima da altri pescherecci e in seguito dalle autorità, svelano che l’Angelo Padre è affondato e che dei tre marittimi purtroppo non ci sono tracce.

Le foto in bianco e nero scattate mesi dopo dalla ditta incaricata di tentare il recupero del peschereccio, rivelano che il radar a bordo è fermo alle 5:40 del 5 aprile, segno evidente che l’Angelo Padre è affondato a poche ore dall’inizio della sua navigazione ma rivelano soprattutto una drammatica prima verità: è stato speronato sulla fiancata sinistra… Ma da chi? E soprattutto chi si è allontanato senza prestare soccorso all’equipaggio in pericolo?

I giornali di quei giorni e dei mesi successivi racconteranno di ditte contattate per recuperare il relitto, di interrogazioni in Parlamento, di interventi del Comune presso i vertici regionali per trovare risorse sufficienti a riportare a galla l’Angelo Padre.

Giuliana, orfana due volte, guarda le onde e lotta sola contro tutti perché nessuno osi far calare il sipario sul mistero di un peschereccio inghiottito dal mare, quel mare che non riesce proprio a odiare perché lì sotto ci sono ancora papà Nicola e il fratello Giuseppe e una verità che forse qualcuno preferisce non vedere.

In quei giorni, una volta rinvenuto il relitto, scatta l’intervento delle autorità. Cosa ricordi di quegli interventi ufficiali ed istituzionali?

Ricordo che inizialmente furono inviati fax su tutta la costa del Balcani per verificare che l’Angelo Padre non fosse stato bloccato, poiché si era verificato in passato che superando i confini nazionali alcuni pescherecci fossero stati sequestrati dalle autorità locali. Tutti i fax ricevettero risposta negativa.

Le attività ufficiali di ricerca e di recuperò da parte delle nostre autorità sono state inspiegabilmente avviate solo due mesi dopo quel 5 Aprile.

Perché pensi che l’Angelo Padre dopo così tanto tempo non sia mai stato recuperato? Cos’è emerso dalle foto e dal filmato che la ditta incaricata ha fornito dopo l’intervento dei sommozzatori?

Bozzetto che ricostruisce, in modo errato, le dinamiche dell’affondamento del peschereccio Angelo Padre.

Credo che le cose non siano andate come loro dicono, sono convinta che ci sia sotto qualcosa di ben diverso. Ci sono persone che sanno ma non parlano. Il motopeschereccio che presentava un enorme squarcio sulla fiancata sinistra è stato speronato da qualcosa di molto più grande rispetto ad una comune imbarcazione. Il filmato girato dalla ditta non mi è mai stato mostrato, sebbene più volte abbia fatto richiesta di poterlo visionare, non mi è mai stato permesso, neppure durante le udienze. Ciò mi spinge ancor di più a pensare che i miei dubbi siano fondati.

Non sono stati recuperati neppure i corpi dell’equipaggio?

Poco tempo dopo l’incidente fummo contattati dall’allora sindaco di Giulianova F.Gerardini comunicandoci che la Regione aveva stanziato una somma di ben duecento milioni di vecchie lire per consentire il recupero delle salme, che per altro non è mai avvenuto. In seguito fu proposto sia a me che ad un’altra donna rimasta vedova, di accettare un risarcimento in danaro senza però eseguire le ricerche, ma noi rifiutammo. Fui ancora più insospettita da questa richiesta che ho trovato estremamente offensiva. Ad oggi vedo ancora molti punti oscuri che hanno bisogno di essere messi in luce attraverso risposte concrete.

Da dove vuoi ripartire nella tua personale battaglia per scoprire la verità? Hai mai pensato che la vicenda dell’Angelo Padre sia stata strumentalizzata?

Vorrei innanzitutto che ci sia trasparenza: che le carte e i documenti vengano mostrati realmente per quelli che sono, e che chi sa parli, perché sono passati 31 anni e credo di avere il diritto di poter dare una degna sepoltura, anche simbolica ai miei cari.

È un mio diritto acquisire e visionare i fascicoli ufficiali custoditi dalla Capitaneria di Porto di Pescara per questo motivo presenterò una diffida per ottenere il materiale entro i tempi di legge stabiliti.

Credo assolutamente che la vicenda sia stata strumentalizzata e manipolata, approfittando della mia ingenuità dovuta alla giovanissima età.

C’è qualcosa che è stato recuperato dell’Angelo Padre?

Giuseppe Massimo e Nicola Gualá, fratello e padre di Giuliana, vittime nell’affondamento del peschereccio Angelo Padre

Sì, dopo un anno e due mesi è stato recuperato da un peschereccio un arto di gamba che venne poi consegnato in Capitaneria di Porto a Giulianova. Quell’arto apparteneva al mio adorato papà. Fui io a riconoscerlo, poiché ricordavo esattamente com’era vestito: ero stata io a cucire l’orlo di colore nero dei jeans che indossava per andare a lavoro.

Quando osservi il mare o ti rechi al porto di Giulianova, a cosa pensi?

Penso a molte cose… Penso che avrei potuto condurre una vita diversa, avrei potuto seguire i miei sogni e proseguire gli studi; invece, sono stata costretta a crescere molto in fretta. Penso che a mio fratello sia stata strappata la vita ingiustamente, troppo presto. Penso a molte cose che mi fanno davvero male.

Giuseppe Massimo e Nicola Gualá, fratello e padre di Giuliana, vittime nell’affondamento del peschereccio Angelo Padre.

La poesia di Giuliana Gualà:

Lu mar, gross e immens
(il mare grande ed immenso)

Ti sti sempr n’muvmend
(tu sei sempre in movimento)

Ji nu lemb senz cimos
(sei un lembo senza cimosa)

Chist ucchje mje t’agurard
(questi miei occhi ti ammirano)

E t rincorre com fusse na ballerine virtuose
(e ti rincorrono come fossi una ballerina virtuosa)

Che danz sotto la lun pe fa gudò li stoll
(che danza sotto la luna per far godere le stelle)

Ti pird all’orizzond ti lu mar
(ti perdi all’orizzonte tu, il mare)

Ng lu cel sembr a vulott accumpagnare
(con il cielo che sembra volerti accompagnare)

Jir t so guardat e tra li rmir de la nott
(io ti ho guardato tra i rumori della notte)

M so sndt mar je de bott
(mi son sentita di colpo mare anch’io)

Lu vend m’a purtat li parole
(il vento mi ha portato via le parole)

Ma lu sal d lu mar m’a briciat a mo lu cor
(ma il sale del mare mi ha bruciato il cuore)

La vt mji sgnat, t so capt quand stì ngazzat
(mi hai segnato la vita, capisco quanto tu sia arrabbiato)

Pccò pir je me sent come n’aneme ngabbiate
(perchè anch’io mi sento come un’anima ingabbiata)

Nghè tto m so sfugate
(mi sono sfogata con te)

Titta la raje e l’amarozz so cacciat
(ho tirato fuori tutta la mia rabbia e la mia amarezza)

E finalmend l’altre jurne te so guardat
(e finalmente l’altro giorno ti ho guardato)

E dendr d mo la pace so rtruvate
(e dentro di me la pace ho ritrovato)

E lu sorris a mi a to so r’galate
(e ti ho regalato il mio sorriso)

Come quand er frechè pccò je de to so ngor nnamurate
(come quando ero bambina, perché sono ancora innamorata di te).

L’intervento di Gianni Lannes, scrittore, fotografo, documentarista, esploratore, subacqueo, ex giornalista investigativo autore del volume “NATO colpito e affondato”:

C’è un filo rosso che attraversa la storia del nostro paese, un filo al quale restano appesi sessant’anni di misteri che purtroppo avvelenano la memoria ed impediscono di definirci una Democrazia matura ragionevole e compiuta. È una verità scomoda da accettare quella che si cela dietro le barriere di omertà istituzionale, reticenze e distrazioni mediali pilotate ad arte.

Il Mediterraneo, da sempre mare di confine, è stato per decenni un teatro di manovre militari segrete, di esercitazioni non dichiarate e, purtroppo, anche di incidenti poco chiariti, spesso occultati.

La presenza di sommergibili statunitensi e di altre forze navali Nato ha rappresentato un fattore di rischio non solo per le imbarcazioni civili, ma anche per la sicurezza nazionale e per la tutela della vita dei pescatori che operavano lungo le nostre coste.

Molti dei naufragi non si sono verificati per semplice fatalità o per condizioni meteo avverse, ma si collocano in un contesto di silenzi, insabbiamenti e responsabilità che non possono più essere ignorati.

Le istituzioni italiane hanno il dovere di aprire gli archivi, di fare piena luce sui fatti, di restituire dignità e giustizia a chi ha perso la vita, ai familiari e alla memoria collettiva.

È tempo di rompere il silenzio e di affrontare con coraggio queste verità sommerse.

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