Diritti umani
L’Iran nel film ’Stai fermo lì’ di Clementina Speranza, la vera storia di Babak Monazzani

La vita senza tregua di Babak Monazzani in fuga dall’Iran diventa un film e vince il Premio per la pace con ’Stai fermo lì’, il lavoro della regista Clementina Speranza
di Isabel Russinova
Clementina Speranza nasce a Roma e vive tra la Sicilia e Milano. Giornalista, è stata docente di “Scrittura per il giornalismo”, collaboratrice del Corriere della Sera per le pagine del Corriere Economia, è oggi direttrice del magazine EMME22 e ha esordito alla regia con “Stai fermo lì”, un documentario con protagonista Babak Monazzani dedicato ai diritti umani, vincitore, tra gli altri, anche del Premio della Pace conferito dall’Ambasciata Svizzera in Italia all’interno del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli.
Clementina ci può raccontare come è iniziato il percorso che ha portato alla realizzazione del film con la storia di Babak?
Ho conosciuto Babak per caso a Milano, nella galleria d’arte di una mia cara amica, dove ha poi esposto 2 fotografie surrealiste supportate da un video realizzato da lui. Gli proposi di collaborare con la mia rivista che sarebbe nata di lì a poco.
Mentre lavoravamo insieme capitava che mi raccontasse aneddoti della sua infanzia e adolescenza in Iran. Mi parlava delle usanze, dei posti e delle sue montagne, e io gli facevo domande perché mi incuriosiva molto conoscere una cultura totalmente differente dalla mia. Mi raccontava la storia del grande Ciro, e mi piaceva discutere con lui ricordando quanto avevo studiato sui libri di storia. Babak conosce molto bene la storia del suo Paese. Poi, pian piano è arrivato a raccontarmi anche episodi dolorosi di cui era stato protagonista o lo erano stati i suoi amici. Così ho avuto l’idea di riassumere la sua storia e mettere in ordine i ricordi per proporla ai colleghi che si occupavano di cronaca, politica, inchiesta. La sua storia però non usciva sui giornali. Il mancato riscontro mediatico, mi ha portata a dare voce a lui stesso puntandogli la telecamera e registrando. Umanamente e deontologicamente non potevo rimanere in silenzio.
Non sapevo ancora cosa fare di quel materiale. Non avevo subito pensato a un documentario e mi ero limitata semplicemente a registrare, non c’era stato un ciak: iniziavo dicendogli “dai cominciamo” e forse è per questo che sono scaturite tante emozioni.
Il mio non è un docufilm: non ci sono attori che recitano, Babak Monazzami si racconta. È tutto reale: documenti, immagini di repertorio, le sue emozioni, le sue lacrime.
Un film avvolgente, originale, dove lo sguardo della regia si posa accogliente sul racconto valorizzando attimo dopo attimo nello stesso modo sia l’umanità, le fragilità che il coraggio e la forza di volontà, intelligenza del protagonista, con attenzione e sensibilità quasi materna che permettono di entrare nella storia non solo dell’uomo Babak ma anche in quella del suo paese e della condizione e situazione dei diritti umani tutti nella nostra società.
Cosa l’ha colpita soprattutto del racconto di Babak?
‘Stai Fermo lì’ è un viaggio nella vita di Babak e di giovani come lui. Un viaggio nelle città iraniane e italiane in cui Babak si è spostato per inseguire i suoi sogni. Sogni e diritti umani violati prima in Iran e poi in Germania.
Babak aveva 3 anni durante i bombardamenti degli aerei iracheni, quando con la sua famiglia si rifugiò sulle montagne. La sua vita inizia scappando e rifugiandosi. Babak è stato arrestato in Iran perché indossava i jeans e la t-shirt a maniche corte, perché colpevole di avere “un aspetto che provoca pensieri impuri nelle donne sposate”. È stato torturato perché ballava e poi di nuovo perché aveva partecipato a una manifestazione pacifica per la liberazione di suo cugino, un professore universitario. È stato espulso dalla nazionale under 18 perché portava i capelli come Nesta e Maldini e aveva un taglio di barba simile a quello di Roberto Baggio, suoi giocatori preferiti.
Tutte queste cose mi hanno colpita, ma ciò che proprio sgomenta è quanto fa la polizia tedesca: asserendo che i suoi documenti italiani siano falsi. Sottraendogli i documenti e facendogli perdere il diritto alla cittadinanza italiana, perché bloccato in Germania. Un errore troppo grande. La ‘perfetta’ burocrazia tedesca non può impiegare 2 anni per verificare un documento, annientando la vita di chi tentava di ricostruirsela. Oggi Babak ha la cittadinanza tedesca ma è in lotta continua per affermare i suoi diritti in quel Paese.
Ciò che mi colpisce del racconto di Babak è la sua forza nel rialzarsi e reinventarsi dopo ogni delusione. Lo vediamo a fianco di Giusy Ferreri nel video musicale del successo discografico del 2009 Stai fermo lì che conta quasi 4 milioni di visualizzazioni su Youtube. Lo vediamo nei panni di Captain Jack Sparrow quando costretto a lasciare Milano per aver subito delle minacce inizia a girare l’Italia e poi l’Europa con i panni di Johnny Depp vista la sua sua somiglianza con il celebre attore.
E ciò che mi colpisce moltissimo è il grande amore che ha Babak per le sue radici.
Crede che la visone del suo documentario può in qualche modo accendere riflessioni e azioni sulle tematiche affrontate?
Credo che la strada che stiamo percorrendo sia corretta. Raccontare il dolore dall’interno e far comprendere la sofferenza può aiutare a capire.
In questo anno e mezzo abbiamo girato l’Italia: abbiamo portato il documentario ai festival e, con proiezioni private nei teatri, nelle scuole, nelle Università, in alcuni Rotary, al Circolo Svizzero di Palermo e di Catania. Stai fermo lì stato inserito nello spettacolo della cantautrice Aida Satta Flores, a Palermo. È stato proiettato anche fuori dai confini italiani, al museo di arte moderna di Ulsan in Sud Corea con i sottotitoli in coreano.
Il pubblico è stato trasversale come fascia d’età e ambiente socio culturale.
Cosa ho notato girando tante sale e palchi? L’emozione sui volti. Ho visto tante lacrime in sala. Tanta gente viene sensibilizzata.
Alla fine di ogni proiezione molti si avvicinano a Babak, lo accerchiano, lo riempiono di domande e chiedono di poterlo abbracciare. Sì, abbracciare. Non lo conoscono, ma dopo aver visto il documentario, dopo aver ascoltato i racconti in cui apre il suo cuore, è come se lo conoscessero: “arriva forte come un pugno allo stomaco e smuove le coscienze”, così mi hanno detto spesso. Subito emerge la voglia di aiutarlo tanti sono venuti da me dicendomi “voglio aiutarti, voglio fare qualcosa”. Pochi, però, mantengono quanto detto.
La situazione geopolitica odierna vede tra i pericolosi scenari di guerra aperti anche quello su territorio iraniano, qual è la sua visione e pensiero riguardo?
Con Stai fermo lì abbiamo vinto il Premio per la Pace perché Babak diffonde messaggi di pace e non posso che desiderare pace e libertà per tutti i popoli. Vorrei concludere con una frase che Babak ha usato nel documentario “…e pensare che noi tutti dovevamo essere fratelli sulla terra, dovevamo condividere la felicità e proteggere la terra tutti insieme…”