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Maduro inventa nuove banconote per “salvare” il Venezuela dalla crisi

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L’inflazione che ha ridotto sul lastrico milioni di venezuelani rischia di raggiungere percentuali milionarie. Il governo vuole impedirlo con l’introduzione della nuova moneta.

di Vito Nicola Lacerenza

Pochi giorni fa le Zecca dello Stato venezuelano ha iniziato a stampare le nuove banconote “anti-inflazione” volute dal presidente Nicolás Maduro. Sono i “bolivar sovrani”. Tanto nel nome quanto nell’aspetto somigliano ai vecchi “bolivar” (la valuta nazionale venezuelana), ma c’è un elemento sostanziale che differenzia le nuove monete cartacee dalle precedenti: le prime hanno cinque zeri in meno rispetto alle ultime. In altre parole significa che, con l’introduzione delle nuove cartemonete, le vecchie banconote da 5.000.00 bolivar saranno convertite in 5 bolivar sovrani, quelle da 10.000.00 in 10 e così via.

L’assenza di zeri conferisce ai “bolivar sovrani” maggior potere d’acquisto, risolvendo quello che in Venezuela viene ormai chiamato il “problema della carriola”. Metafora utilizzata per descrivere l’inflazione record del 32.714% che ha distrutto il potere d’acquisto dei venezuelani, costretti ad impiegare enormi quantità di banconote, da “trasportare in una carriola”, per acquistare i più semplici beni di consumo.

La nuova moneta, il bolivar sovrano, evita tale disagio. La misura economica rientra in un piano d’emergenza messo a punto dal governo venezuelano che prevede inoltre l’aumento della pressione fiscale, il rincaro del gas per i non iscritti al partito del presidente Maduro, e un incremento degli stipendi del 3.000%. Provvedimento che ha gettato nel panico commercianti e dipendenti. Gli imprenditori, già sull’orlo del fallimento, non sanno dove trovare le risorse economiche per riempire le buste paga dei propri salariati il che accresce in questi ultimi il timore di essere licenziati. Tale incertezza ha fatto sì che moltissime attività commerciali rimanessero chiuse.

Ad esprimere preoccupazione però non è soltanto il devastato mondo dell’imprenditoria venezuelana, ma anche moltissimi economisti, scettici nei confronti di quello che Maduro ha definito un “programma di recupero, crescita e prosperità economica”. Le perplessità sono motivate dalla tutt’altro che “prospera” situazione di PDVSA (Petróleos de Venezuela), la compagnia petrolifera statale su cui si regge l’economia della nazione. Sebbene in Venezuela si trovino i giacimenti petroliferi più grandi del mondo, lo scorso mese la produzione di greggio è calata di 1.3 milioni di barili. Un vero e proprio tracollo finanziario, dovuto non solo alle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti al governo dittatoriale di Maduro, ma anche al collasso degli impianti di estrazione e raffinazione del petrolio, che spesso vengono depredati e distrutti dagli stessi lavoratori del settore.

Operai, ingegneri e persino dirigenti di PDVSA, vedendo i propri stipendi polverizzati dall’inflazione, hanno deciso di abbandonare il posto di lavoro portando via, come liquidazione, macchinari e materiali presenti nell’azienda: generatori elettrici, centraline, sensori, computer, cavi di rame. Articoli richiestissimi dal mercato nero. Le “orde” di ex dipendenti insoddisfatti non hanno risparmiato neppure gli autobus e i diversi mezzi di trasporto presenti nei parcheggi della azienda, che sono stati smontati e rivenduti sotto forma di pezzi di ricambio. Sulle spalle della già disastrata compagnia petrolifera grava inoltre un debito finanziario di 50 miliardi di euro.

La cifra astronomica è il risultato dell’insolvenza del governo Maduro, che ha venduto a Cina e  Russia, “Paesi amici del Venezuela”, milioni di titoli di Stato i cui interessi non sono stati pagati. Ora spetta a PDVSA “pagare il conto”, cedendo ai due Paesi la quasi totalità del greggio estratto. Si tratta di un vero e proprio “pignoramento” delle fonti petrolifere che soffoca l’ economia venezuelana e minaccia di annientare nuovamente il valore della moneta nazionale, facendo schizzare l’inflazione a un livello pari a 1 milione per cento.

Il valore della nuova valuta venezuelana, il “bolivar sovrano”, è direttamente legato alla produzione petrolifera, unico settore economico ancora in piedi. Al calo delle estrazioni di greggio, corrisponde una diminuzione del valore del denaro. Una nuova impennata dell’inflazione sembra inevitabile.

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