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L’attenzione delle multinazionali per le minoranze di genere. Il caso P&G

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La storia di Anna Maria Antoniazza – l’avvocatessa d’affari in una multinazionale e prima manager transgender italiana a fare coming out di cui abbiamo scritto di recente (https://thedailycases.com/anna-maria-antoniazza-la-diversita-che-diventa-eccellenza-in-un-mondo-inclusivo/) – è uno esempio della particolare attenzione che varie multinazionali hanno nei confronti delle politiche di inclusione di genere.

di Francesco Bellizzi

Da dove nasce questa sensibilità nelle big company per il tema degli ambienti di lavoro inclusivi?

La risposta a questa non semplice domanda arriva da un’esponente di una delle maggiori realtà industriali di prodotti di largo consumo: Procter&Gamble.  Nata a Cincinnati in Ohio (USA), P&G è presente anche in Italia, dove occupa 450 persone nella sede di Roma e a cui si aggiungono le oltre 400 dei centri produttivi distribuiti sul territorio nazionale.

Il suo nome è Sonia Anelli ed è la responsabile italiana di Omnichannel e di GotoMarket Innovation oltre che coordinatrice del programma diversity&inclusion per P&G Southern Europe. Lo stesso progetto in cui si ritrovano altre grandi aziende come Accenture.

Etnia, religione, orientamento sessuale, identità sessuale…. I fronti aperti dalle big company sono tanti ed hanno come unico obiettivo la creazione di un ambiente di lavoro sereno e, quindi, maggiormente produttivo. Vanno in questo senso le varie iniziative messe in campo da P&G: il piano di assistenza sanitaria durante l’orario di lavoro, Health& Well-being; e l’attivazione, a partire dall’anno scorso, di un welfare aziendale che prevede crediti utilizzabili dai dipendenti per ottenere flessibilità e agevolazioni destinati all’assistenza di familiari anziani e figli.

«La forza delle multinazionali – spiega Sonia Anelli – sta nel potersi confrontare in tutto il mondo e quindi di poter assorbire le diverse caratteristiche che ogni società presenta. La loro attenzione per gli usi e i costumi è fondamentale per comprendere in che modo presentare i propri prodotti e per scegliere quali proporre». Un approccio che è nel DNA delle big company e che, da una decina d’anni, si è arricchito di un percorso parallelo dedicato alla condizione di lavoro dei propri dipendenti. «Nel rispetto delle leggi nazionali, ovviamente».

Oggi Procter&Gamble è uno dei partner del Pride Roma. «L’anno scorso per la prima volta l’azienda ha deciso di aderire all’importante manifestazione scendendo in piazza in più di 100. Con noi c’era anche il nostro Ceo, e le nostre famiglie. Perché anche i nostri figli? Perché non è vero che i temi LGBTQ appartengono soltanto al mondo degli adulti», aggiunge Anelli.

P&G è concentrata sulla creazione di ambienti di lavoro ospitali ed inclusivi e sull’aumento della presenza nel proprio organico delle donne e delle altre fasce riconosciute come svantaggiate.

Una visione progressista ma non per questo meno aziendalista, dato che lavoratori e lavoratrici sereni sono anche dipendenti con rendimenti migliori.

«Entrare in un’azienda significa viverci. Quindi, dover stare attenta a cosa dire e cosa non dire di te incide inevitabilmente anche sulla tua performance. In P&G siamo fortemente convinti che un’azienda aperta sia anche più produttiva. Ce lo dicono vari studi di case di consulenza che confermano un assunto: diversità equivale a innovazione. Anche perché – aggiunge – tutti sappiamo che se intorno ad un tavolo siedono persone che la pensano allo stesso modo sarà difficile che ne escano novità. È il confronto tra diversità a generare innovazione».

Sonia Anelli è la persona giusta con cui parlare di questi temi dato che è con lei che P&G ha avviato in Italia una riflessione sui temi LGBTQ.

Il percorso delle politiche di tutela e inclusione delle diversità di genere inizia nel 2009 con il ritorno di questa professionista da un periodo di lavoro nella sede svizzera. «Sono tornata in Italia letteralmente innamorata dalle moderne politiche di valorizzazione delle identità dei singoli lavoratori e lavoratrici. E come spesso accade – mi racconta – quando si rientra a casa dopo un viaggio in altri Paesi, mi resi conto delle differenze che corrono tra Italia e resto d’Europa».

«Ho iniziato a lavorare sul tema gender su input dei colleghi svizzeri impegnati proprio in quel periodo in una survey, ovviamente anonima, dedicata alle diversità sessuali. Mi domandarono: “perché non le fate anche voi in Italia?”. La prima domanda a cui ho dovuto darmi una risposta è stata l’esatto opposto: perché dovremmo?». La risposta, Sonia Anelli, l’hatrovataneidatiufficiali.

«L’Italia è ferma al 46% delle donne impegnate in un lavoro. La percentuale più bassa in Europa che si riduce ulteriormente se parliamo dei ruoli di responsabilità o l’accesso alle opportunità di carriera. Sentirsi pronti ad essere inclusivi, non è immediato – aggiunge -, bisogna creare una sensibilità più alta, mettersi in discussione, rompere gli schemi e procedere con la consapevolezza di non essere soli; le richieste di partecipazione sono cresciute».

Ma non basta la buona volontà. Per formare i dipendenti (a partire dai vertici) è necessaria una professionalità che le società interessate trovano in Parks, un consorzio composto da datori di lavoro specializzato nel Diversity Management LGBTQ.

Alla base dei programmi di inclusion&diversity ci sono dei principi che l’azienda deve assorbire per andare a modificare prassi consolidate da lungo tempo. «Il concetto da superare – spiega la manager di P&G – è quello secondo cui la popolazione lavorativa si divide in maschi e femmine. Perché è sue queste due categorie che vengono poi fatte le analisi e le quote di pari opportunità e salario, lasciando fuori tutti coloro hanno fatto scelte di orientamento e di identità sessuale diverse».

La survey svolta da P&G Italia è stata anonima e si è basata su due fattori: senso di appagamento e felicity dei dipendenti sul posto di lavoro.

«Siamo partiti tre anni fa ed è stato interessante notare la differenza delle percentuali delle dichiarazioni sul proprio orientamento sessuale da parte degli italiani rispetto ai colleghi delle altre sedi – racconta Anelli -. In Italia la percentuale di chi ha dichiarato scelte di orientamento sessuale diverse dall’eterosessualità si è fermata all’1, rispetto alla media internazionale del 7-11%. Un divario che ho trovato shockante. Anche perché, in alcuni casi, le stesse persone una volta trasferitesi all’estero sono diventate attiviste in gruppi interni LGBTQ. Questo vuol dire che l’Italia non fa sentire le persone serene di condividere il proprio orientamento sessuale».

Il divario tra i risultati dell’indagine italiana e quelli degli altri paesi europei ha spinto la società a riflettere molto sia sul livello di libertà con cui le persone parlano di loro stesse, e sia, sulla effettiva capacità di P&G di reclutare personale senza cadere nella trappola di preconcetti.

«Abbiamo così iniziato a lavorare su entrambi i fronti: reclutamento e ambiente di lavoro. Qualcosa non tornava dato che nella nostra azienda vengono riconosciuti da molto tempo diritti a prescindere da orientamenti e appartenenze a generi e minoranze. Ad esempio – continua la manager -, le coppie di fatto di qualsiasi composizione siano, ricevono gli stessi benefici da ben prima dell’arrivo della legge di due anni fa. Dalla guida dell’automobile aziendale, al trattamento del lavoratore che richiede il trasferimento all’estero». In questo senso va anche il programma “flex@work” con strumenti di flessibilità personalizzati.

P&G ha scelto di portare all’esterno il dibattito su diritti ed inclusione. «Se crediamo in questi valori, possiamo essere elemento di cambiamento. Un cambiamento non solo in ambito lavorativo ma anche nelle famiglie dei nostri dipendenti e nelle loro sfere sociali».

Un’apertura verso l’esterno che si riflette sulla strategia di comunicazione che l’azienda usa per il proprio advertising. «In alcuni paesi – racconta Anelli – abbiamo scelto coppie omosessuali per raccontare i nostri prodotti. In italia siamo finalmente usciti dall’associazione bucato/donna, portando avanti il principio di eguaglianza rispetto all’uomo accostando scherzosamente l’entità maschile ai lavori di casa». Lo avete presente l’ultimo spot del detersivo per panni che vede un ex capitano della Roma, Francesco Totti, un po’ impacciato alle prese con una lavatrice? Ecco, quello è un esempio.

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