Attualità
Anna Maria Antoniazza, la diversità che diventa eccellenza in un mondo inclusivo

La storia di Anna Maria Antoniazza è quella di una donna speciale: transessuale per destino e Legal & Commercial Executive Manager in Accenture Italia per la sua grande capacità nello studio e nel lavoro.
Di Francesco Bellizzi
Anna Maria Antoniazza firma ancora con il suo nome di battesimo, Andrea, ma in tutte le sedi della multinazionale in cui lavora è registrata e riconosciuta con quello che rappresenta la sua nuova identità. Anna Maria, appunto.
Milanese di origine ma con base operativa a Roma, 38 anni, due lauree alle spalle in Economia e in Giurisprudenza all’Università Cattolica di Milano. Anna Maria oggi è legal & commercial executive manager in Accenture Italia e vanta una grande competenza nel settore della privacy online e delle applicazioni dell’intelligenza artificiale nei servizi alle imprese. Due settori di estrema attualità.
«Si può essere transessuali e vivere in grande stile con sobrietà ed eleganza, senza doversi vergognare della propria condizione. Puoi continuare a lavorare e fare carriera come chiunque. Ciò che ti deve distinguere dagli altri non è la tua identità di genere ma il tuo percorso di studi e professionale».
Lei è la prima in Italia ad aver reso pubblico il suo percorso di transizione di genere. Per questo motivo, Global Accenture – la sede madre americana della multinazionale – ha dedicato grande attenzione alla sua storia e in Italia, nel maggio del 2018, è stato organizzato un meeting a cui hanno partecipato 100 persone LGBT provenienti da vari paesi in cui l’azienda è presente.
La incontriamo nella sede milanese di Accenture. «Dentro di me vive l’ambizione di continuare ad essere una grande professionista nell’ambito del diritto delle tecnologie informatiche. Il senso del mio discorso pubblico durante l’incontro in Accenture voleva essere proprio questo: da transessuale vivo una condizione di totale serenità, perfettamente integrata nella società. Lo so, siamo in poche a non avere alle spalle storie di degrado e sfruttamento. Ma ci siamo, esistiamo e abbiamo una voce».
Prima di capire quale fosse la sua strada, Anna Maria era un ragazzo che viveva da lungo tempo la propria omosessualità serenamente, grazie anche a due genitori che le sono stati sempre vicino. Un sostegno che non è mancato anche dopo la scelta del cambi di sesso e durante il conseguente periodo di transizione: 12-24 mesi fatti di cure ormonali, operazioni chirurgiche e sedute di psicoanalisi.
Figlia di due piccoli imprenditori milanesi, per Anna Maria le donne della famiglia sono state importanti per iniziare e affrontare quest’avventura. Proprio come per chiunque di noi, avere percorsi già battuti e condivisi con amore e generosità è fondamentale. A maggior ragione se si decide di dare una sterzata radicale alla propria esistenza, quale è la scelta di cambiare la propria identità sessuale.
«Sicuramente tutta la linea materna della famiglia, mia madre Carla, mia nonna Marisa e zia Emanuela, rappresentano il grande modello femminile presente nella mia vita. Donne che amano leggere – spiega Annamaria con orgoglio – e che frequentano ambienti di cultura». Un ambiente familiare che l’ha tenuta al riparo dal mondo dell’emarginazione a cui molto spesso, in particolare, le persone transgender sono relegate dalla società italiana.
Nell’ambiente transessuale Anna Maria, di amiche, ne ha trovate davvero poche. «Purtroppo», commenta. «Le poche e vere amiche che ho incontrato rispecchiano il modello materno. Vivono come donne, molto curate, devote alla lettura, al lavoro, allo sport e lontane dai vizi della vita. Con una di loro sono andata alla prima dell’Opera di Roma – ricorda -. Eravamo stupende, mi truccò e mi vestì lei. Ricordo ancora l’emozione. La seconda, invece, mi ha accompagnata per la prima volta in spiaggia con uno splendido bikini nero lucido. E’ successo due anni fa. E la ringrazio ancora. Da allora, posso considerarmi anche io una piccola sirena».
Anna Maria racconta della sua precedente vita, di Andrea, con tenerezza e riconoscenza. «Per me Anna Maria, ciò che sono oggi, resterà sempre la sorellina di Andrea». Non c’è ombra di rimpianto o di rimorso nelle sue parole.
«Sin da quando ero un bambino mi era chiaro che il modello maschile, nonostante il destino che la natura mi aveva affidato, non era di mio interesse. E questo era percepito dai miei compagni di gioco, sia maschi che femmine». Annamaria ricorda un episodio in particolare in un parco giochi della Capitale. «I miei amichetti mi cacciarono dal gruppo e mi rifugiai tra le femminucce che, ovviamente – commenta con ironia -, si dimostrarono molto più inclusive. Accolsero immediatamente e con naturalezza quel bambino a cui piacevano le bambole».
Mentre si racconta sono evidenti la fatica e l’impegno che questa “neo-donna” si trova ad affrontare ogni giorno per costruire e sintetizzare (prima di tutto davanti a se stessa) la sua rinnovata educazione sentimentale. Un nuovo passato da far conciliare con l’altro, quello biologico, quello iniziato con l’uscita dal grembo materno.
«Andrea era un ragazzo gay molto bello e con una vita sociale meravigliosa. Intorno ai 30-32 anni mi sono resa conto che qualcosa non andava, fino a maturare la decisione di avviare la transizione. Così, mi sono rivolta ad una struttura pubblica, il San Camillo Forlanini di Roma, dove un endocrinologo ed un chirurgo plastico mi hanno assistito nell’avvio di questo percorso».
Ma la vita di una persona che sceglie di intraprendere una strada tanto impervia non è tutta rose e fiori. «L’unico vero imbarazzo che si deve essere pronti a vivere non è tanto il punto di arrivo delle cure, quanto l’anno di transizione – spiega -. Perché la barba sparisce a chiazze, il seno inizia a spuntare e la ricrescita dei capelli è lenta. Da quando inizi a prendere gli ormoni hai 12-24 mesi di tempo per cambiare la tua immagine. In questo lasso di tempo si fa i conti con il riconoscimento e l’accettazione sociale e, quindi, con le difficoltà che le persone vivono nel relazionarsi a te».
La transizione
Tecnicamente questa fase viene detta “transizione di genere”. Quella di Annamaria è iniziata nel 2012 con l’incontro con Ferdinando Valentini, l’endocrinologo dell’ospedale San Camillo di Roma che ha firmato il protocollo delle cure ormonali riconosciuto e applicato dal Sistema Sanitario nazionale.
Con lui ha iniziato e sta portando a termine il delicato passaggio da maschio a femmina. «Un percorso durato 5 anni e privo di interventi di chirurgia plastica – racconta -. Ho reagito molto bene alla terapia ormonale di antiandrogeni ed estrogeni. Nel giro di un paio di anni avevo già i capelli lunghi, un accenno di seno e avevo eliminato la barba. Negli ultimi 24 mesi ho alleggerito la terapia portandola ad un semplice mantenimento. Gli interventi clinici sul suo fisico hanno seguito e raggiunto «l’aspetto finale che desideravo».
In questa fase così delicata sia dal punto di vista psicologico che fisico, il ruolo e il comportamento che il datore di lavoro ha è fondamentale. «L’azienda mi ha supportata in questa trasformazione adeguando da subito l’enterprise ID (le credenziali di accesso agli strumenti di lavoro informatici, ndr.) e il badge al nuovo nome, così da evitare fraintendimenti e mettendomi al riparo da situazioni spiacevoli. Sia le risorse umane che le persone dell’area business hanno seguito con estrema delicatezza ed eleganza tutti i vari step della mia trasformazione. Posso dire di essermi sentita veramente supportata da un punto di vista non solo professionale ma umano».
La reazione dei clienti di Accenture alla trasformazione fisica? «A loro interessa il business. Ti faccio l’esempio di un nostro cliente italiano storico e molto importante. Davanti alla novità non c’è stato alcun tipo di problema. Anzi. Devo dire che la mia storia diventa spesso un esempio a cui le società che si affidano a noi per consulenze, per affrontare il tema della identità di genere. Accenture è, in questo senso, un esempio a cui ispirarsi».
Transessuali e stereotipi
Riguardo alla condizione in cui le persone transessuali italiane vivono, Annamaria ha un punto di vista per niente scontato. «Io non ho una visione tragica. È un dato di fatto che il 90% di noi ha un passato o un presente da prostituta. Io faccio parte di quel 10% che non vive in condizioni disagiate». E non è per niente d’accordo sul taglio che i stampa e TV danno il più delle volte al tema. «Non mi piace l’immagine che offrono programmi come quello della Ferilli (“Storie del genere”, programma a più episodi andati in onda su Rai 3 qualche mese fa, ndr.). Non siamo tutte vittime di rifiuti delle famiglie e dell’isolamento sociale. In ogni caso, io posso parlare della mia esperienza. Un’esperienza di inclusione e serenità».
Per lavoro Antoniazza si occupa da tempo di privacy e ha approfondito il GDPR (il GeneralData Protection Regulation, ossia il Regolamento Ue 2016/679 sulla gestione dei dati online), diventando uno dei consulenti aziendali in materia. Il suo punto di vista su questo tema è, quindi, doppiamente importante.
«Nessuno può arrogarsi il diritto di giudicare gli altri: siamo tutti terribilmente uguali nei nostri errori, nei nostri sbagli – dice -. Chi è intorno a noi – continua – non ha il diritto di entrare nella nostra intimità; siamo noi, in totale libertà, a scegliere i compagni di viaggio della nostra vita e di conseguenza dei nostri segreti».
Ci sono momenti in cui è necessario non solo ascoltare ma anche uscire allo scoperto. «Bisogna essere capaci di capire quando l’ambiente in cui ci troviamo è in grado di darci il dovuto ascolto e rispetto. Per questo è importante creare un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle diversità. Dobbiamo camminare verso una società che amplifichi il senso dell’ascolto e la serenità di potersi aprire al prossimo».
Le tutele sul lavoro
Annamaria Antoniazza è entusiasta soprattutto dei tempi che sono stati necessari per il riconoscimento formale da parte di Accenture del suo cambio di identità. In tutto 24 mesi. La celerità è un fattore fondamentale per i lavoratori e le lavoratrici transessuali, perché al contrario di lesbiche e gay, la propria identità non è celabile.
Lo Stato italiano ha fatto passi in avanti importanti, come la novità entrata in vigore nel 2016 che abroga il requisito dell’intervento di vaginoplastica e di metoidioplastica per poter ottenere il riconoscimento del cambio di sesso. Da due anni per avere il cambio di nome e di stato basta la valutazione dello psicologo e dello psichiatra.
Restano le lungaggini burocratiche per il riconoscimento del nuovo status da parte dello Stato. A partire dagli uffici anagrafici fino ad arrivare alle motorizzazioni. È qui che varie aziende, in particolare multinazionali, bruciano le tappe per omogeneizzare il più possibile il trattamento dei propri dipendenti sparsi per il pianeta.
«È stupendo sapere che la propria azienda non aspetta i tempi dei giudici ma ti assiste e interviene a prescindere da altri procedimenti riconoscendo formalmente il tuo cambiamento». Non è così frequente sentire parlare un dipendente del proprio datore di lavoro in questi termini. Annamaria Antoniazza non nasconde la propria felicità per aver trovato sul proprio cammino una realtà professionale che non solo l’ha accettata ma l’ha innalzata a bandiera, ad esempio dei risultati del lavoro che si svolge quotidianamente, in azienda, sul fronte della valorizzazione della diversità».
Diversity makes us stronger è il motto che sintetizza la politica che Accenture applica da vari anni. Una politica che non mira soltanto alla tutela delle diversità ma anche alla loro valorizzazione. Una valorizzazione che punta a tutti i livelli della popolazione lavorativa, con l’obiettivo di costruire una “leadership inclusiva”.
L’attenzione nei confronti di Annamaria è un’attenzione che porta l’azienda, ad esempio, a coprire le spese mediche necessarie per affrontare il periodo di transizione di genere in quei paesi in cui il sistema sanitario nazionale non le copre. Come accade negli Usa dove la sanità pubblica non è estesa come in Italia e nel resto d’Europa.
L’obiettivo è garantire un ambiente di lavoro inclusivo per tutte le minoranze. Un principio che è alla base del lavoro svolto dal career counselor figura interna al personale che accompagna i dipendenti in un percorso di apprendimento continuo. All’interno di ogni sede esiste un team di inclusion&diversity responsabile di programmi di formazione e confronto e del monitoraggio dell’ambiente di lavoro. Battute fuori luogo e comportamenti discriminatori vengono stigmatizzati e gli autori richiamati al rispetto delle regole e della legge.
Le iniziative principali di Accenture sono tre: Online Training, disponibili sempre e per tutti i dipendenti, mirati ad aumentare la consapevolezza sui vari aspetti della diversità; LGBT Leading Learnings, per lo sviluppo della leadership di dipendenti LGBT+; Inclusive Leadership,volti a rafforzare le competenze più adatte per assicurare l’inclusione e la valorizzazione di tutti i talenti.