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Come L’OMS risponde alle emergenze sanitarie

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Nonostante i continui miglioramenti nelle condizioni di vita di centinaia di milioni di abitanti del pianeta, possono verificarsi diffusioni improvvise di batteri o virus, per i quali la crescente mobilità di persone e merci, e l’addensarsi delle popolazioni nelle aree urbane, accresce molto i rischi di contagio.

di Antonio Virgili, Vicepresidente Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo – LIDU onlus e Presidente del Corpo Italiano di San Lazzaro OdV

L’esperienza dell’epidemia di Covid-19 ha lasciato traccia in molte persone, in Italia come in Europa. Nonostante i continui miglioramenti nelle condizioni di vita di centinaia di milioni di abitanti del pianeta, come lo stesso Covid ha dimostrato, possono verificarsi diffusioni improvvise di batteri o virus, noti oppure sconosciuti, per i quali la crescente mobilità di persone e merci, e l’addensarsi delle popolazioni nelle aree urbane, accresce molto i rischi di contagio. Periodicamente, le alterazioni e sfruttamento degli ecosistemi, il riscaldamento globale, la persistente povertà e la costante urbanizzazione delle popolazioni portano alla ribalta focolai epidemici. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è trovata quindi a dover migliorare e aggiornare progressivamente il proprio schema di intervento e le strutture di risposta alle emergenze e ai disastri.

Infatti, anche molti disastri, di origine naturale o sociale, comportano degli allertamenti sanitari sia per la prevenzione di malattie che per il miglioramento delle condizioni di quanti coinvolti nei disastri stessi.   I recenti aggiornamenti messi a punto dall’OMS nelle procedure di analisi e risposta, pubblicate proprio quest’anno con la versione 2.1 dell’Emergency Framework Response, prevedono un articolato sistema di raccolta informazioni e verifiche che dovrebbe consentire il monitoraggio della situazione e interventi mirati.  Va precisato che l’intervento diretto dell’OMS riguarda solo i casi più gravi e consistenti, e comunque avviene con una specifica gradualità.

Mentre l’Organizzazione monitora soltanto, ma senza interventi diretti, tutti quegli eventi di minor portata che ricadono sotto la responsabilità dei singoli Stati, a meno che non ci siano impossibilità tecniche o economiche evidenti nel fronteggiare la crisi.  Si può dire che l’intervento dell’OMS miri ad integrare, in misura crescente, quelle situazioni critiche che non risultino affrontabili dal singolo Paese, o dai Paesi coinvolti. Ciò presuppone anzitutto degli osservatori indipendenti che possano verificare e documentare l’entità e l’ampiezza della crisi segnalata, poi una struttura gerarchica che sia in grado di cooperare con le organizzazioni e raccordarsi alle procedure presenti su di un dato territorio, garantendo un costante sistema di controllo e sorveglianza.  Ciò avviene utilizzando anche degli enti esterni, delle ONG e delle strutture che possano mettere a disposizione competenze e materiali.

Nell’erogare il supporto vige il principio che sia preferibile una azione lievemente superiore a quanto necessario piuttosto che una inferiore.  Tutte le spese sostenute devono essere autorizzate e documentate sia a livello locale che centrale, utilizzando o i fondi di risposta rapida disponibili presso l’ufficio regionale dell’OMS o attraverso il Contingency Fund for Emergencies (CFE).   Il fondo CFE è stato istituito nel 2015 proprio per coprire i costi iniziali legati alle emergenze qualora non ci siano altri fondi disponibili.  I finanziamenti hanno durate variabili in proporzione ai danni e alla vastità dell’emergenza. Come per tutte le attività legate alle emergenze è fondamentale che ci siano un rilevamento precoce degli eventi ed una valutazione rapida del tipo di necessità e di intervento.  Quindi, una valutazione rapida del rischio (RRA – Rapid Risk Assesment), realizzata in relazione agli eventi di salute pubblica, e l’analisi della situazione di salute pubblica (Public Health situation Analysis – PHSA) condotta per determinare i bisogni immediati di una popolazione a seguito di emergenze o crisi umanitarie. Questa procedura vale pure per quelle emergenze improvvise (terremoti, alluvioni, uragani, terrorismo, conflitti, ecc.) di difficile previsione.

Tra le altre linee guida dell’OMS ci sono: la neutralità e la priorità dei principi umanitari per migliorare le condizioni di vita delle persone, e una programmazione basata sull’evidenza e sulla conoscenza. Ciò include la promozione e l’adesione agli standard tecnici e alle migliori pratiche, e il monitoraggio attento degli indicatori chiave di prestazione (KPI) per guidare le operazioni. Fondamentale la collaborazione, poiché una risposta efficace dipende da molti e l’efficacia è ottimizzata attraverso l’azione collettiva, l’OMS sostiene perciò e ricerca la collaborazione a tutti i livelli. I partner chiave sono gli Stati membri, le Agenzie delle Nazioni Unite, il Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, il GOARN (Global Outbreak Alert and Response Network), il Cluster Salute Globale e gli altri cluster dello IASC (Inter-Agency Standing Committee), gli EMT (tecnici medici di emergenza), le reti di esperti, reti tecniche, e molti altri. A livello nazionale, l’OMS sollecita la collaborazione con gli attori locali, comprese le organizzazioni non governative (ONG) e altri gruppi della società civile. Il lavoro di altri settori, in particolare acqua e servizi igienici, salute pubblica ambientale, alimentazione, nutrizione, protezione, salute e allevamento degli animali e sicurezza, è anch’esso fondamentale per migliorare i risultati sanitari durante le emergenze.

Non ultimo, l’OMS si adopera per garantire che tutti i soccorritori di emergenza possano operare in modo sicuro e protetto nell’interesse della popolazione colpita, in linea con il Sistema di Gestione della Sicurezza delle Nazioni Unite e le procedure di sicurezza stabilite per i vari contesti.   Nell’aggiornamento delle procedure e dei principi di lavoro sono anche stati inseriti dei riferimenti specifici a tutela dei gruppi più sensibili per motivi di genere o di età.  Le vulnerabilità e i bisogni speciali di altri gruppi, come i bambini, gli anziani, le persone con disabilità, persone affette da HIV, minoranze etniche o religiose e rifugiati devono essere affrontati nella progettazione e nella attuazione delle operazioni di emergenza. Spesso le donne e le ragazze sono particolarmente a rischio, soprattutto in contesti di conflitto. Assicurarsi che abbiano accesso ai servizi per la salute riproduttiva e che siano protette dalla violenza di genere sono priorità della risposta umanitaria. Come i recenti accadimenti in Ucraina, in Palestina, in Afganistan e in altri Paesi meno all’attenzione dell’opinione pubblica, bisogna costantemente assicurare la protezione dallo sfruttamento sessuale, dagli abusi e dalle molestie.

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