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Calabria. Delitto Parretta, non regge la presunta disabilità dell’omicida Gerace

Le testimonianze dolorose di giovedì scorso rese dalla sorella di Giuseppe Parretta e dalla fidanzatina, chiariscono che il Gerace è entrato correndo nei locali di Libere Donne senza l’ausilio di stampelle e con una calibro 38 in pugno.
di T. Primozich
Un ambiente in degrado quello del centro storico di Crotone in via Ducarne dove coesistevano due realtà opposte. L’impegno sociale dell’associazione Libere Donne, che opera in supporto a donne in difficoltà, e l’abitazione del pregiudicato 56enne Salvatore Gerace, ora in carcere in attesa di giudizio per l’omicidio di Giuseppe Parretta del 13 gennaio del 2018. Proprio in questo luogo, sprovvisto di telecamere nonostante le ripetute richieste di Caterina Villirillo madre di Parretta e presidente di Libere donne, si è consumato il delitto che ha visto come vittima il giovane Giuseppe morto a soli 18 anni. Ma quali sono i veri motivi che hanno spinto il Gerace a sparare su un ragazzo innocente all’interno dei locali dell’associazione presieduta dalla madre del giovane? A questa domanda sta cercando di trovare la risposta la corte del Tribunale d’Assise di Catanzaro dove giovedì scorso si è svolta l’udienza che ha ascoltato due testimonianze chiave: quella della sorella dell’omicida Salvatore Gerace e quella di Benedetta Parretta, sorella della vittima Giuseppe.
Ricostruendo i fatti Elena Gerace ha riferito in dibattimento al procuratore Giuseppe Capoccia che da tempo il fratello era malato tanto da doversi servire di stampelle per la deambulazione, ma era anche ossessionato dal timore di vendette che riteneva potessero arrivare da ambienti criminali, tanto da possedere una pistola per difendersi da chissà chi. La Gerace ha riferito anche di essere stata presente mentre il fratello esplodeva l’ultimo colpo ai danni del giovane Parretta già steso al suolo dai colpi precedenti, anzi fu proprio lei a tirare via il fratello forse per evitare una strage.
Ancor più puntuale la testimonianza di Benedetta Parretta che ha descritto Salvatore Gerace attimo per attimo, evidenziando come lo stesso il 13 gennaio 2018 fosse entrato correndo e senza l’aiuto di alcuna stampella, all’interno dei locali dell’associazione di Caterina Villirillo, con un’arma in pugno, una calibro 38 special. Ha raccontato tra le lacrime ma con determinazione la giovane Benedetta che il Gerace, vedendo Giuseppe Parretta andargli incontro disarmato per difendere la madre Caterina, esplose prima due colpi alle gambe del ragazzo e poi uno alla spalla. Ed infine il colpo di grazia al petto mentre il 18enne era già steso al suolo. Testimonianza confermata anche dalla allora fidanzatina di Giuseppe Parretta, che ha affermato di aver visto il Gerace accanirsi con l’ultimo colpo sul giovane ormai accasciato a terra.
Forte lo sconcerto in aula quando, mentre la ragazza testimoniava, la sorella del Gerace la apostrofava a gran voce come ‘bugiarda’, motivo per il quale il presidente della Corte Alessandro Bravin ha deciso di allontanarla dall’aula. Molte le domande che restano sospese. Come può un uomo che cammina solo con le stampelle all’improvviso mettersi a correre senza il loro supporto, tanto veloce da commettere un omicidio in pochi attimi? E la sorella del Gerace, che al termine di quella che sembra una esecuzione lo trascina via, dov’era mentre il fratello schizzava dalla sua abitazione all’interno dei locali dell’associazione Libere Donne? Se era a conoscenza di un disturbo mentale del fratello, perché non ha denunciato prima della tragedia? Ma soprattutto il Gerace che sembra fingere una disabilità fisica, non starà anche fingendo quella mentale?
Appare assai ‘fumosa’ la versione data dal Gerace e da sua sorella secondo la quale il pregiudicato avrebbe agito d’impeto per una inspiegabile paura di essere perseguitato, se così fosse stato, come si spiegano le modalità dell’efferato omicidio che appare più come una esecuzione punitiva? E, considerato che la madre del giovane, Caterina Villirillo, ha salvato molte ragazze da prostituzione e droga, chi poteva avere interesse a spaventarla a tal punto da mettere fine alla sua attività benefica?
A tutte queste domande la Corte d’Assise cercherà una risposta affinchè un delitto così atroce che ha sconvolto una famiglia e la città di Crotone, che si è costituito parte civile, non resti impunito. La prossima udienza è stata fissata per il 2 luglio quando saranno ascoltati altri testimoni. Salvatore Gerace è assistito dagli avvocati Antonio Pucci e Maria Sammarro, Caterina Villirillo ed i suoi figli dagli avvocati Emanuele Procopio e Jessica Tassone