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Diritti umani

Il Vascello Letterario in tempi di sovraffollamento carcerario presenta il libro ‘Non solo carcere’

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Il Grande Oriente d’Italia apre le porte al mondo ‘profano’ e nel secondo appuntamento capitolino con il Vascello Letterario affronta  il delicato tema dell’universo della detenzione, offrendo il timone ad Alessandro De Rossi, architetto esperto di edilizia carceraria che con il testo ‘Non solo carcere’ affronta il problema in termini sistemici

 

 


Il 10 marzo il secondo appuntamento con il Vascello Letterario, svoltosi nella sede nazionale del Grande Oriente d’Italia, è stato dedicato alla presentazione del libro ‘Non solo carcere’ edito da Mursia. Si tratta di un testo nato dalla proficua collaborazione tra l’architetto Alessandro De Rossi, che ne è il curatore e coautore, con una rete di professionisti provenienti a vario titolo dal mondo della Giustizia, della Psichiatria e della Economia. Tutti impegnati a favore di un approccio sistemico del problema detenzione, in un’ottica di realizzazione delle indicazioni contenute nell’articolo 27 della Costituzione che, oltre alla pena, prevede un percorso di rieducazione del detenuto. L’incontro sapientemente moderato dal giornalista Angelo Di Rosa, ha visto tra i relatori, oltre al curatore del libro De Rossi, Pierluigi Marconi, psichiatra; Tiziana Primozich, giornalista; Leonardo Scarcella, architetto amministrazione penitenziaria.

Padrone di casa il Gran Maestro Stefani Bisi. Una realtà quella degli istituti di detenzione spesso sottaciuta, impopolare, ma che coinvolge oltre ai detenuti, le loro famiglie e tutti coloro che ruotano intorno ad essa per lavoro: guardie penitenziarie così come medici ed amministratori. Punto di partenza del dibattito la questione sovraffollamento che, come evidenziato da Alessandro De Rossi, nonostante la sentenza Torreggiani del 2013, ha raggiunto oggi il 123%: sono quasi 5mila infatti i detenuti in più nelle nostre carceri rispetto ai posti effettivamente disponibili. ”La pena deve essere vista per l’uomo che ha sbagliato come un occasione per migliorarsi, – ha spiegato De Rossi nel suo intervento – il lavoro del testo da me curato così come quello della commissione ‘Diritti delle persone private della libertà’ che coordino all’ interno della Lidu onlus,  punta ad un approccio sistemico che considera l’edilizia carceraria un punto di arrivo. Un team composto da avvocati, sociologi, psichiatri, architetti e criminologi con l’obiettivo di far confluire tutte le competenze contemporaneamente, tenendo conto in modo sistemico di tutti gli aspetti umani e culturali che l’architetto deve poi interpretare e progettare, concependo uno spazio per la finalità ultima, cioè quella della pena e del recupero.”

Una opinione accolta dallo psichiatra Marconi, anch’egli autore di ‘Non solo Carcere’, che ha voluto ricordare ai presenti come la pietra può scolpire la mente, ‘noi esseri umani – ha spiegato- siamo abituati a plasmare l’ambiente che ci circonda, ma dimentichiamo che può accadere anche il contrario. Ed appare evidente come  la struttura carceraria può influenzare il funzionamento della mente ai fini del recupero. Il sovraffollamento in questo senso  è motivo di ulteriore stress, aumenta l’aggressività tra individui costretti a vivere in spazi che nulla hanno di vitale.”

Una realtà quella detentiva del paese che emargina ancor di più le detenute donne, solo il 4% sul totale di coloro che scontano una pena detentiva, ma proprio per questo ancora più emarginate. “ La donna che entra in carcere – ha evidenziato Tiziana Primozich – non perde solo la libertà, ma pian piano viene privata della propria autostima. Le donne sono diverse dagli uomini e le nostre carceri sono progettate ‘al maschile’, niente lascia spazio alla preservazione della ‘femminilità’, così che in poco tempo qualsiasi donna detenuta viene spersonalizzata e non sa più chi è. Basti pensare che i regolamenti ammettono l’uso del rasoio, ma non la possibilità di avere una crema per il viso. E anche gli assorbenti, di uso costante e comune per ogni donna, sono un bene costoso e di non facile reperibilità.” La Primozich affronta anche la questione dei minori in carcere al seguito delle proprie madri, attualmente circa 46 bambini, costretti a vivere la prima parte della loro vita ristretti in quattro mura, dove l’attaccamento all’unica persona che conoscono, la madre, diventa viscerale e li priva dei normali processi di crescita. Meglio sarebbe predisporre un numero adeguato di strutture di detenzione attenuata per questa categoria di madri detenute con figli piccoli, nel rispetto della giovane vita di questi bambini e del loro diritto ad avere una madre. Come da poco realizzato nel Comune di Roma che sta aprendo a questo scopo la Casa di Leda all’Eur.

“Bisogna dare attuazione alla legge del 1979 che aveva alzato il livello delle strutture ma che poi è stata largamente disattesa” –  ha asserito nel suo intervento Leonardo Scarcella architetto della amministrazione penitenziaria – Il carcere è un luogo chiuso, ma è parte della città. I 191 istituti presenti a livello nazionale sono in parte obsoleti e sulla costruzione dei nuovi 11 istituti previsti siamo in ritardo a discapito di una situazione che sta esplodendo”. Tra i presenti alla tavola rotonda anche il presidente della Lidu onlus Antonio Stango che in un saluto ai presenti ha voluto ricordare  le analogie che idealisticamente legano Lega Italiana Diritti dell’Uomo al Grand’Oriente d’Italia. La Lidu onlus infatti, ha ricordato, fu fondata da Ernesto Nathan, sindaco di Roma e massone, un percorso comune che vede anche nel tempo alla presidenza della Lidu il compianto  Paolo Ungari, di cui lo stesso Stango è stato nel passato discepolo,  maestro di vita in diritti umani. “La dignità della persona – ha detto Stango – non si può togliere a nessuno, qualsiasi cosa un individuo abbia fatto. Ma quella stessa dignità deve essere difesa e tutelata anche per chi in carcere ci lavora:  il personale di polizia penitenziaria, i medici, gli  insegnanti.”

L’incontro è stato chiuso dal Gran Maestro Stefano Bisi che nel discorso di commiato ai numerosi presenti ha voluto ricordare il forte impegno del Goi a favore dei diritti umani. “ Noi liberi muratori non possiamo essere lontani dai diritti umani dei carcerati, dai diritti delle madri e dei bambini,- ha espresso nel saluto finale – il lavoro rituale nei templi ci aiuta a crescere, ma fuori ci sono le persone che hanno i diritti. Vogliamo essere una comunione viva, presente, che invita anche coloro che massoni non sono a confrontarsi, in una visione di fratellanza universale. Questo modo di procedere contiene in sé anche una risposta a chi vuole comprimere la nostra libertà, il diritto di esistere, noi vogliamo essere occasione di confronto, una palestra di educazione civica a tutela dei diritti umani fondamentali, anche di quelli che vanno in carcere, per i quali non si butta via la chiave! Sennò tanto varrebbe ripristinare la pena di morte.” In questa direzione non vanno dimenticate le molteplici azioni di solidarietà compiute dai componenti delle logge del Goi a favore di molte categorie svantaggiate, abiti e coperte per i senzatetto a Torino, oculista e occhiali gratis a Camerano, ambulatorio dentistico solidale e molte altre iniziative efficaci e silenti. Come silenzioso è il lavoro che fa sulla propria coscienza il libero muratore.

 

Carceri sovraffollate, invivibili per detenuti e lavoratori. Il problema giace irrisolto da decenni sui tavoli della politica nonostante svariati e spesso improvvisati tentativi di soluzione. Non si può affrontare il problema carceri se non si affronta una visione sistemica che tenga conto di tutti gli aspetti normativi, architettonici, finanziari, sociologici e politici. Questo nuovo testo, che fa seguito a “L’universo della detenzione” pubblicato nel 2011, affronta il problema con una visione d’insieme grazie all’apporto multidisciplinare. Al centro c’è la progettazione architettonica, la “pietra” come elemento determinante della qualità della pena. Un contributo per studiosi e professionisti che operano nel mondo penitenziario, che offre nuovi punti di vista, suggerimenti e analisi per ripensare l’esecuzione penale.

Luciano Bologna è professore aggregato alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma, La Sapienza, presso il Dipartimento di Management e Tecnologie.

Bruna Brunetti, già dirigente generale del ministero della Giustizia, è stata provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria degli istituti dell’Abruzzo e del Molise, ove ha realizzato un nuovo modello di detenzione secondo le linee di indirizzo europee.

Domenico Alessandro De’ Rossi, architetto e urbanista, è professore a contratto di Pianificazione territoriale, costiera e portuale alla facoltà di Ingegneria dell’Università del Salento. Nel 2005 è stato chiamato dal governo della Libia per la pianificazione del nuovo Programma Penitenziario conforme alle disposizioni dei Diritti umani sotto il patrocinio delle Nazioni Unite coordinando docenti universitari e professionisti per il Piano nazionale delle carceri dello Stato per oltre 6000 detenuti.

Roberto Liso, già dirigente dell’Amministrazione penitenziaria (negli ultimi anni di lavoro si è occupato della sanità nelle carceri) ed esperto di legislazione riguardante l’impiego pubblico, ha partecipato a commissioni di studio di livello nazionale.

Pier Luigi Marconi, psichiatra, studioso delle applicazioni cliniche dell’intelligenza artificiale, ha svolto attività di ricerca presso la Clinica psichiatrica dell’Università di Roma, presso l’Artemis Neurosciences di Roma e presso il dipartimento di Psicologia Clinica e Dinamica dell’Università di Roma.

Stefania Renzulli, architetto, esperta di riqualificazione ambientale e di pianificazione territoriale nel settore dei beni culturali, lavora presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri al dipartimento di Protezione Civile.

Enrico Sbriglia, specializzato in Diritto Amministrativo e Scienza dell’Amministrazione, è abilitato all’esercizio della Professione Legale. È dirigente generale, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria per gli istituti del Triveneto.

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