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Ucciso con altri nove compagni Óscar Pérez che con un aereo lanciò bombe contro il palazzo del governo a Caracas

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La strage all’interno di una Chiesa della capitale. Tutto il mondo condanna il “ massacro di El Junquito” dei militari del presidente Maduro.

di Vito Nicola Lacerenza

L’ex militare ribelle venezuelano, Óscar Pérez, è stato ucciso, insieme ad altri nove compagni, durante un’operazione di polizia il 15 gennaio  nella chiesa di El Junquito, a Caracas, capitale del Venezuela. Oscar Perez è colui che, il 27 giugno scorso, ha rubato un elicottero per colpire, con due bombe, il ministero degli interni e la corte di giustizia venezuelana, come atto dimostrativo contro la dittatura e le continue violazioni dei diritti umani perpetrate dal presidente venezuelano Nicolas Maduro. Dopo quel lancio di bombe il presidente Maduro ha dato il via ad una caccia all’uomo conclusasi con la strage di pochi giorni fa, e che verrà ricordata come “il massacro di El Junquito”. Un episodio di inaudita violenza che ha scosso l’opinione pubblica mondiale. «Ci stanno attaccando coi lanciagranate, abbiamo la casa tutta piena di buchi- diceva Óscar Pérez in un video postato su twitter, mentre era accerchiato da reparti speciali dell’esercito- stiamo negoziando per consegnarci perché qui c’è gente innocente, ci sono civili. Ci vogliono ammazzare- continuava l’ex militare, col volto insanguinato- C’era un pubblico ministero fuori. Mentendoci, ci hanno detto che sarebbe stato la nostra garanzia e invece ci stanno sparando».

Minuti di disperazione, ripresi con uno smartphone, che non hanno lasciato dubbi sul fatto che l’obiettivo dell’operazione di polizia non fosse di arrestare i “ribelli”, ma di eliminarli. Ciò che resta ancora avvolto nel mistero è come siano stati uccisi. A far luce ci hanno provato gli attivisti della comunità informatica di Anonymous Venezuela, che, però, tramite il loro account di instagram, hanno dato due versioni distinte su come si sarebbero svolti i fatti.  Secondo la prima ricostruzione, la polizia avrebbe ingannato Pérez e i suoi uomini promettendo, in cambio della consegna delle armi, l’incolumità fisica e la possibilità di rilasciare dichiarazioni a dei giornalisti, accompagnati da un pubblico ministero. Quelli, fidandosi, avrebbero accettato l’offerta ritrovandosi, due minuti dopo l’avvenuto disarmo, prigionieri e sotto tortura. Dopo averli uccisi, gli agenti si sarebbero accaniti su una donna incinta, prima sparandole al ventre per farla abortire, poi, sparando il feto davanti a lei che, agonizzante, avrebbe assistito alla scena. Solo dopo tale atrocità, la donna sarebbe stata finita con un colpo d’arma da fuoco. L’altra versione, invece, sostiene che Pérez e un altro suo commilitone, ormai feriti e in stato di incoscienza, sarebbero stati trasportati dai soldati nel complesso militare di Fuerte Tiuna, a Caracas, per essere torturati e giustiziati. Al momento, nessuno è stato in grado di confermare se almeno una di queste ricostruzioni sia vera e quale. In un mondo o nell’altro, questa tragedia ha scritto un’altra pagina sanguinosa della storia della crisi venezuelana.

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