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Arte & Cultura

Turchia: sviluppo economico e modernità viaggiano su binari diversi

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Tempo di lettura: 4 minuti

Ragazza con mani in segno di vittoria Taksim copyrightLa rivolta in Turchia nasce dal ceto medio per ottenere le libertà di opinione, di espressione e di riunione pacifica. Il governo svolge azione repressiva attraverso la polizia che mette a tacere anche la stampa estera

Di Paolo Calo

È molto difficile analizzare e interpretare il corso e il significato delle proteste in Turchia.  In realtà è molto facile capire da che parte non stare. Stiamo ai fatti! La Turchia sta vivendo notevoli congiunture espansive da circa dieci anni. La cavalcata economica è iniziata nel 2002. In quell’anno l’AKP, il partito di Recep Tayyip Erdogan, ha vinto le elezioni e da allora è stata una vera e propria marcia trionfale. La Turchia è stata, inoltre, vista, tra i paesi a maggioranza musulmana, come un esempio di nascente nazione democratica. Ha presentato domanda di adesione all’Unione europea rivendicando con forza la propria modernità e democrazia. Il dato economico è stato di fatto incredibile. Dal 2002 il Pil pro capite si è praticamente triplicato, liberando dalla povertà enormi strati di popolazione e offrendo una gamma di opportunità economiche straordinarie rispetto al passato. Ma libertà, diritti civili sono realmente andati di pari passo al boom economico? Sembra proprio di no!Anche se il Paese è una Repubblica Parlamentare democratica dal 1923, i turchi oggi godono di un livello decisamente basso di libertà e diritti. Per contro hanno un livello di istruzione sempre più alto e un’economia in crescita vertiginosa. I giovani parlano più lingue, frequentano ottime Università. Camminando tra le strade di Istanbul si assapora il futuro che sta arrivando e tutto il benessere che ne consegue. La poca libertà e l’insufficiente riconoscimento dei diritti umani come si conciliano con lo sproporzionato sviluppo economico?   L’impressione è quella di essere di fronte ad un sollevamento politico della borghesia urbana, per contro il governo di Erdogan è protagonista di deriva autoritaria, di una maggiore compressione dei diritti e di politiche fortemente islamizzanti. Contraddizioni non da poco! Le recenti proteste e scontri  indicano che a prescindere dall’eterogeneità di questo segmento sociale  (progressisti, conservatori, liberi professionisti, impiegati pubblici, laureati ecc.) la classe media turca, da sempre culturalmente avanzata,  è più consapevole del proprio peso e delle proprie potenzialità. Chiede al  governo di fare a livello sociale e politico ciò che è stato fatto in campo economico. Pretendono riforme, aperture, liberalizzazioni.  Turkey ProtestTutto è iniziato due mesi fa con lo sradicamento di un parco urbano (Gezi Park) ed il progetto di ricostruzione della ex-caserma Taksim (demolita nel 1940) da utilizzare come centro commerciale. Tutto nel cuore di Istanbul, la porta tra Occidente ed Oriente. E’ stata solo la scintilla! A dimostrazione di ciò occorre rammentare che le proteste, degenerate  poi in scontri con la polizia, sono cominciate quando i cinque maggiori sindacati della Turchia (che rappresentano il settore pubblico, i medici, gli architetti, i lavoratori nei settori dei trasporti, delle costruzioni, dei media, e di ingegneria) hanno cominciato a dimostrare e protestare per le strade per un “grande movimento” nel paese. La reazione violenta e intransigente del governo sui manifestanti di fatto ha esteso la rivolta. Nessuno poteva aspettarsi una reazione così sproporzionata e soprattutto i manifestanti stessi! I militari hanno usato gas lacrimogeni, proiettili di gomma e cannoni ad acqua, arrestando centinaia di persone. La “polis” turca ha arrestato soprattutto professionisti (avvocati, giornalisti, medici, uomini di cultura) mentre Erdogan ha annunciato di aver ampliato i poteri stessi di polizia scagliandosi contro la stampa estera, i social network e accusando gli altri paesi di ingerenza in affari interni. Si vuole spezzare le gambe alla mente della rivolta e cioè a alla classe media. Il risultato, poco confortante per Erdogan,  è stato che la protesta di Gezi Park si è allargata  a macchia d’olio anche ad Ankara, Izmir, Bursa e Manisa. Una protesta libera, apparentemente caotica, definita di minoranza, si sta organizzando e soprattutto avanza. Anche se  la maggior parte della vita quotidiana in Turchia non è stata colpita dalle proteste e dalle violenze è credibile che tutto questo sia accaduto solo per lo sradicamento di un parco urbano? No!  In realtà, come detto, si è resa evidente un profonda contraddizione: lo sviluppo economico non ha camminato di pari passo con i diritti umani e la libertà! Chi ha percepito e dato eco a questa contraddizione è stata proprio la classe media. Questa si è auto-sdoganata, è vigile, attenta, attiva. Non a caso, dopo i primi scontri e calata l’attenzione dei media, il governo ha iniziato una vera e propria “caccia alle streghe”, silenziosa ma efficace, nei confronti di professionisti, di ONG, partiti e movimenti politici progressisti, negli ambienti universitari. Una “caccia alle streghe” fatta di rastrellamenti in dormitori di studenti, case private.  Nelle principali città ci sono stati arresti di “sospettati” piuttosto discutibili per usare un eufemismo. I social media diffondono video di testimoni che riferiscono di fermi fatti senza spiegazioni e senza alcuna prova. Immagini di persone che vengono prelevate dalle loro case o dalle strade mostrano anche il modo poco professionale in cui si sono verificati i raids. L’assistenza legale ai detenuti è stata negata così come la possibilità di contattare le proprie famiglie.  Il governo ha preso di mira anche i membri della stampa estera colpevoli di aver coperto la “violenza cieca ed insensata” dei manifestanti, i medici e gli infermieri che hanno prestato soccorso ai feriti. Verrebbe da domandarsi se la protesta è caotica , disorganizzata, spontanea e senza un preciso scopo perché il bersaglio è così facilmente identificabile? Si capisce con estrema chiarezza che viene colpita l’Intellighenzia Turca.
Mentre i quotidiani Turchi rivendicano con orgoglio che il paese è diventato il quarto più grande donatore di aiuti umanitari al mondo, il popolo turco sta lottando per esercitare le libertà fondamentali di opinione, di espressione e di riunione pacifica.  Forse, prima di celebrare la sua classifica sugli aiuti umanitari, la Turchia ha bisogno di riprendere un livello accettabile di sviluppo umanitario e rispetto dei diritti. Non si può più “spacciare” al proprio Paese il solo successo economico come vera modernità.

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