Salute
Salute, “Quando il male rende cattivi. La cattiveria, un ostacolo sconosciuto nei percorsi di cura”
E’ il titolo di una tavola rotonda promossa dal Prof. Paolo Marchetti e organizzata da Simep e Ne.T.On., che per la prima volta spiega come l’incomprensione della sofferenza interiore di chi è affetto da patologia tumorale rende la malattia ancora più terribile
di Vito Nicola Lacerenza
“Il dolore dell’anima è più grande del dolore del corpo”, ha scritto nel I sec. aC. il drammaturgo Publilio Siro. Tale sofferenza è presente anche nelle persone colpite dal cancro, che, a volte, nell’impossibilità di accettare il proprio male, cadono nella rassegnazione, nella depressione oppure nella “cattiveria”. La parola chiave della tavola rotonda dal titolo “Quando il male rende cattivi. La cattiveria, un ostacolo sconosciuto nei percorsi di cura”, tenutasi il 12 aprile nell’oratorio Arciconfraternita S.Caterina, via di Monserrato – Roma, con la partecipazione dello psichiatra Vittorino Andreoli, del filosofo Piergiorgio Donatelli, dell’attore Remo Girone e dell’oncologo Paolo Marchetti.
Quest’ultimo, che ha promosso l’incontro, responsabile del reparto di oncologia dell’ospedale Sant’Andrea di Roma, ha spiegato come alcuni pazienti, in seguito ad un prolungato periodo di terapie antitumorali, sviluppino un senso di “rivalsa” nei confronti dei medici e dei loro cari, che si traduce in un atteggiamento di repulsione delle cure. Percepite da alcuni ammalati come “un accanimento terapeutico”, mentre la vera ragione del rifiuto del trattamento è dato, secondo il prof. Marchetti, da “un mal espresso bisogno d’aiuto”, che, a volte, finisce per essere frainteso per “cattiveria”. Ovvero, per “il desiderio di fare del male agli altri”. Dottori e familiari, vittime non certo della crudeltà del paziente, bensì del “rapporto negativo della psiche rispetto al tumore che deprime il sistema immunitario”, aggravando il quadro clinico dell’infermo. Bisognoso, secondo Marchetti, di essere assistito tanto sul piano umano, quanto su quello medico, onde evitare che “il male lo renda cattivo”.
Ma la cattiveria in realtà è già un giudizio, come rilevato dallo psichiatra Vittorino Andreoli che nel suo intervento, evidenziando che compito dello psichiatra è comprendere senza emettere giudizi, spiega l’importanza di parlare della vita e mai della morte con il paziente, per evitare che nelle persone scattino meccanismi distruttivi. Per un paziente terminale essere a conoscenza del tempo che gli resta azzera la speranza che è la molla che lo aiuta a resistere e lottare. Un corollario che Piergiorgio Donatelli, docente di filosofia all’Università La Sapienza esprime in modo chiaro ed evidente: la cattiveria è il risultato della difficoltà umana di accettare il proprio essere mortale, e questo accade ancor di più in un percorso di malattia grave.
A dare vita al pathos la recitazione di alcuni ritagli dei Racconti di Dostoevskij interpretati dall’ottimo Remo Girone, che ha saputo portare il pubblico presente nella dimensione autodistruttiva del malato senza speranza, in preda alla rabbia, allo sconforto e che in qualche modo cerca di riappacificarsi con la vita che gli sfugge di mano.
La tavola rotonda costituisce un primo approccio al problema e lascia una serie di interrogativi aperti a possibili soluzioni, affinchè ciascun malato trovi conforto e supporto umano al di là delle normali terapie farmacologiche, perché l’esito di una cura può andare oltre, nel bene e nel male, ogni certezza scientifica.