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Arte & Cultura

‘Queste tre futili cose’: il ritorno sulla scena editoriale di uno scrittore tutt’altro che in crisi

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Tempo di lettura: 4 minuti

Ciò che mi ha attirato, leggendo la quarta di copertina, è stato sapere che Carlettoni, in questo caso, non è solo autore, ma è al contempo personaggio del proprio romanzo.

Di Luca Rinaldi

A volte, un evento è talmente grande, talmente macroscopico, che l’occhio umano non riesce a percepirlo. Questo accade anche quando uno scrittore affermato torna a scrivere e a pubblicare dopo anni di buio, dopo aver fatto perdere le sue tracce, dopo aver fatto sparire dalla circolazione ogni suo scritto, ogni suo romanzo, dopo aver fatto perdere letteralmente memoria di sé, tanto che neanche l’onnipresente Google o la so-tutto-io Wikipedia si ricordano di lui.

Eppure, Giovanni Carlettoni, il cosiddetto Scrittore degli animi umani, soprannome affibbiatogli per la sua capacità di dar voce e volto a personaggi e personalità decisamente veri, ha lasciato una traccia indelebile nell’Italia della seconda metà del Novecento, raccontandone le evoluzioni, le contraddizioni e prevedendone le inevitabili derive.

Ma ora è tornato, dicevamo. E lo ha fatto a suo modo: alla chetichella, in sordina, affidandosi a una neonata casa editrice indipendente. Una sorta di scambio di favori, per uno che, come si definisce lui stesso nel sottotitolo del suo nuovo romanzo, si ritiene uno scrittore in crisi.

Ed è proprio di Queste tre futili cose. Appunti di uno scrittore in crisi su cui mi appresto a dare un giudizio. Premetto che io, come la maggior parte degli italiani a cui lo chiedete, al sentire il nome Giovanni Carlettoni, ho pensato: “Mi dice qualcosa…”. È un pò come la sensazione che si prova appena svegli, quando si cerca di ricordare il sogno appena interrotto e… niente! Eppure, trovato quasi per caso negli elenchi Amazon, poco o per niente pubblicizzato (mi vien da pensare, su stessa richiesta dell’autore), questo romanzo si è meritato, non so come e non so perché, un mio click su “Acquista”.

In realtà, il perché lo so: ciò che mi ha attirato, leggendo la quarta di copertina, è stato sapere che Carlettoni, in questo caso, non è solo autore, ma è al contempo personaggio del proprio romanzo. Mi ha incuriosito il voler sapere come una persona potesse dipingere sé stessa, se si sarebbe autocelebrata o sarebbe stata onesta, nel bene o nel male. E devo ammettere che Carlettoni non ha paura di mostrare i suoi punti deboli, dando allo scritto una nota divertente e rassegnata, regalandoci uno dei suoi migliori animi umani di sempre, decisamente reale nella sua ipocondria, nella sua vecchiaia, nella sua insofferenza per il mondo che è andato avanti senza di lui, ma soprattutto nei suoi rimorsi e rimpianti, nel suo rapporto con la vita e con la morte. Nel suo confrontarsi con la scrittura. Una settimana nella quotidianità dello scrittore è tutto ciò che Carlettoni ci concede in questo romanzo.

Ma questa è solo una delle tre futili cose del titolo. Ci sono altri due personaggi che, in un modo o nell’altro, intrecciano le proprie vite con quella dello scrittore protagonista, regalandoci capitoli altrettanto poetici. Valerio Monent è il primo, giovane universitario che scandisce la propria esistenza milanese con la spinta costante sul pedale dell’inseparabile bicicletta. Di lui, sfalsata rispetto alla più lunga settimana di Carlettoni, ci viene raccontata una sola giornata, consentendoci l’accesso al flusso turbinoso e confuso dei suoi pensieri. Confuso è la parola giusta, perché Valerio affronta la sua realtà in modo impacciato, spesso dispersivo, con preoccupazioni quotidiane che toccano in egual misura la malattia della nonna, il rapporto con la madre, l’urgenza di chiudere il capitolo universitario della sua vita, l’indecisione nel capire se Ruggero è veramente il ragazzo che fa per lui. Problemi più o meno gravi e impellenti, che riempiono la sua mente e la nostra, di rimando.

La terza protagonista è Rea, una neurologa che deve affrontare la più dura delle prove: lasciarsi alle spalle un’intera vita, bruscamente interrotta, e ricominciare con occhi nuovi. Il suo arco narrativo inizia proprio con l’aprirsi dei suoi occhi in un letto d’ospedale e dura la bellezza di dieci anni, in cui ricordi, desideri, progetti e aspirazioni subiscono cambiamenti, frenate e ripensamenti. Una donna fragile e tosta allo stesso tempo, a suo agio tra i dottori della splendente Svizzera, così come tra i medici senza frontiere africani, ma spesso a disagio nel suo piccolo studio milanese, nel quale si materializza l’ultimo disarmante capitolo del romanzo di Carlettoni.

Il capitolo 16 ritorna, infatti, prepotente in tutta la vicenda, condizionando, nella narrazione, le azioni di Valerio e spiazzando al contempo, nella realtà, il lettore che non sa se sentirsi più disorientato, colpito o chiamato in causa per capire, per collegare, per decifrare e interpretare ciò che ha letto fino a quel momento.

Farò, a questo proposito, qualcosa che non ho mai fatto e che odio che venga fatto a me: vi svelerò la fine. L’ultima parola del romanzo è puzzle. E, forse, è anche la descrizione migliore che si possa dare a questa cornice di vita, una e trina, regalataci da Carlettoni, scrittore a mio avviso tutt’altro che in crisi.

Eppure, leggendo, si capisce che Queste tre futili cose sarà il suo canto del cigno, il suo testamento spirituale, redatto alla veneranda età di 82 anni. Il suo modo per confrontarsi, una volta per tutte, con il lutto e la morte che lo hanno portato lontano dalle scene, un riguardare la propria vita alla flebile luce del suo tramonto personale per rendersi infine creazione di sé stesso, un’animo umano finalmente immortale, perché immortalato nero su bianco.

Queste tre futili cose è un romanzo che va letto. Ma soprattutto è un libro che va acquistato e conservato, prima che l’autore decida di farlo sparire dalla circolazione e farlo cadere per sempre nell’oblio, come tutto ciò che lo riguarda.

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