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Italia

Per paura del virus si muore d’infarto

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Per timore del contagio da covid19 i pazienti con patologie cardiovascolari sono rimasti a casa rischiando morte o disabilità. Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao esprime allarme chiedendo un rilancio della sanità pubblica per arginare future pandemie e i molteplici fattori di rischio salute della popolazione

 

I primi a lanciare l’allarme sono stati i cardiologi. In tutto il paese da quando c’è il Covid si è registrato un drastico calo di accessi al Pronto Soccorso per infarto fino al 50%, e per ischemia o emorragia cerebrale fino al 70%, pur essendo consapevoli che il tempismo nella cura di queste patologie è determinante. Per paura del virus si resta a casa aumentando così le probabilità di morte o disabilità. Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte in Italia. Anche per questo gli ospedali si sono affrettati ad adottare percorsi sicuri per gli ingressi dei pazienti noCovid ben distinti dai pazienti Covid, per loro e per pazienti con altre patologie urgenti, che se non trattate vanno a complicarsi inevitabilmente.

“Sull’onda della ripresa si è deciso di tenere conto strategicamente delle famose tre T: tampone, trattamento e tracciamento, ma si parla anche di territorio per l’individuazione di eventuali nuovi casi che potranno esserci – spiega Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao – Per le patologie tempodipendenti come infarto e ictus, nel periodo Covid è stato segnalato un incremento della mortalità, perchè all’inizio dell’epidemia l’apparato ospedaliero era rivolto al contenimento del virus, con il grande impegno per il trasporto dei pazienti da parte del 118. La paura ha determinato che i cittadini non si sono più rivolti all’ospedale, così i Pronto Soccorso si sono svuotati di quei casi che necessitavano di un intervento immediato per paura di essere contagiati. In questo contesto sono arrivate notizie che si vedevano meno infarti”.

Nel periodo iniziale dell’epidemia, mentre tutti eravamo a casa, è stato consigliato specialmente agli anziani e alle persone più fragili, a coloro che già avevano in atto delle patologie, di restare irremovibilmente a casa. Ricordiamo che anche le visite ambulatoriali erano sospese ed era consigliato non intasare lo studio del medico di famiglia che però rispondeva proponendo triage telefonico, come da invito della protezione civile. Così è stata usanza comune quella di autogestire e forse autodiagnosticare qualche malessere. Alcune patologie, come infarto o ictus, necessitano di tempestività negli interventi, specie perchè le terapie o la chirurgia siano efficaci.

“Andare in ospedale entro un arco temporale in cui la patologia è gestibile, salva la vita – ha continuato il segretario Anaao, il principale sindacato dei medici ospedalieri italiani – ma andare dopo sei o sette ore o non andare per niente tenendosi il dolore al petto con condizioni cliniche peggiorate, aumenta la probabilità della mortalità. C’è stato un lavoro della società italiana di cardiologia che ha dimostrato come in questi pochi mesi la mortalità è passata dal 4% al 14%. Un ritardo o una riduzione degli interventi di angioplastica determina questo, la causa è la paura. Ma vale anche per altre patologie che necessitano di altre emergenze chirurgiche. Un paziente con una necessità chirurgica che non vuole sottoporsi adesso ad intervento perchè ha paura potrebbe pagare in termini di buon esito delle cure, le possibilità di buona riuscita in seguito si riducono.

Un incremento di dieci punti di mortalità ordinaria. Se i casi di infarto e di ictus sono circa duecentomila all’anno, se si immagina una mortalità incrementale di questo tipo in un anno sono ventimila casi in più. Poi c’è l’incremento di mortalità per tutto il resto delle patologie. Ci sono tutte le altre grandi cause, la prima le malattie cardiovascolari, siamo al 37%, ma da non trascurare i tumori circa al 30% delle cause di mortalità. In questo caso i malati che seguono terapie sono circa un milione e 200mila e di questi circa 300mila, quindi un quarto del totale, sono coloro che fanno chemio e radioterapia, che devono fare regolari controlli”.

Poi ci sono 410mila persone che attendono interventi chirurgici, perchè in questo periodo di emergenza coronavirus non si sono avvicinati agli ospedali. “410mila interventi corrispondono al 10% degli interventi che si fanno in un anno – dice fermamente Carlo Palermo – che sono più di 4 milioni, siamo intorno al 10% e per recuperarli si tratta del 10% del lavoro in più in un anno o in sei mesi il 20% , quindi almeno sei mesi di lavoro extra, tutto questo in una situazione critica della sanità che già ci è nota, un sistema sanitario tirato al parossismo sotto il profilo dell’efficientamento e del produrre prestazioni, tirato al massimo, che ha 45 mila posti letto in meno, una carenza di settemila medici negli ultimi dieci anni. Se poi ci mettiamo la dirigenza sanitaria portata avanti da fisici, chimici, biologi e quindi aggiungendo questi che sono altri duemila in meno, arriviamo a novemila persone che mancano nel nostro SSN; meno 36mila infermieri e operatori sanitari e una carenza di posti letto che ci mette in coda rispetto alla media europea poiché parte da 3,2 per mille il numero dei nostri posti letto in Italia, in Germania siamo all’8 per mille, in Austria siamo a 7 per mille e la media europea è 5 per mille. La nostra è una risposta estremamente ridotta, la stessa Commissione Europea sulla sanità nella previsione dei Fondi europei, i famosi 170 miliardi, ha raccomandato un intervento particolare perchè la resilienza e la capacità di risposta del sistema va migliorato. L’Italia (in emergenza covid19- ndr) si è salvata grazie allo sforzo straordinario di tutti gli operatori che hanno retto per quanto possibile in condizioni difficili”.

Pensiamo soltanto che siamo entrati in una pandemia che non potevamo, forse, prevedere, con solo cinquemila posti in terapia intensiva in tutto il paese. Del tutto impreparati quindi ad affrontare una evenienza del genere, sebbene avessimo già avuto delle “prove generali” con altre epidemie alcuni anni prima e oggi con la globalizzazione e con la generosità che ci contraddistingue, fatta di accoglienza e di aperture, dovevamo immaginare che le emergenze sanitarie ci avrebbero investito, e “investire” che è una parola che ha più significati, deve essere il nocciolo della questione, non tagliare.

“Ne avevo parlato proprio il 24 febbraio, lo ricordo bene, e rilevavo proprio questo problema – ci racconta il segretario Carlo Palermo – Avevamo un tasso per centomila di posti letto in Italia estremamente basso, ma soprattutto estremamente variegato. Il tasso medio europeo era 8,9 per 100mila abitanti. Per avere un’idea il Belgio ne ha 15 per centomila, la Germania 28 per centomila. La Calabria, pur dichiarando un tasso di 7 per centomila, in realtà quelli operativi dove c’è il personale, sono 5 per centomila. Per cui una situazione pesante, infatti dissi allora, menomale che l’epicentro è scoppiato dove le strutture sono più solide rispetto al sud dove rapidamente saremmo andati alla saturazione dei posti letto di terapia intensiva se ci fosse stata un’epidemia con la stessa virulenza che ha colpito il nord”.

Ma l’OMS ci ha avvisato che dobbiamo abituarci ad avere ciclicamente delle pandemie, quindi sarà bene attrezzarci e abituarci da questo momento a convivere con l’idea che i virus sono con noi e ci resteranno.

Non ci sarà più nord o sud del mondo o del Paese. “Il rischio è molto alto – conferma il segretario – e sarà necessario fare degli investimenti. Un primo incremento del Fondo Sanitario Nazionale c’è stato, ma ho l’impressione che non sia sufficiente. Bene invece l’investimento per l’incremento dei posti letto per la terapia intensiva che verranno portati al 14,5 per centomila, quindi un bel salto che aiuterà a smaltire l’arretrato di interventi chirurgici accumulato, che si rendono necessari per il post operatorio. Non abbiamo un numero adeguato di medici. Mancano anestesisti, medici dell’emergenza-urgenza, pneumologi, infettivologi. Le unità di infettivologia sono state massacrate nell’ultimo decennio e ora ne stiamo pagando il prezzo. C’è bisogno di un investimento in personale specializzato. C’è bisogno anche di ortopedici, di quei 410mila interventi, circa 150mila sono interventi di ortopedia”.

Il nostro è un Paese che sta invecchiando, nascite molto al di sotto della media, a causa della mancanza del lavoro i giovani stentano a mettere su famiglia. La popolazione italiana è prevalentemente adulta. Le figure dell’ortopedico, del geriatra, dei medici che seguono la popolazione anziana contano molto. “Serve un’iniezione di risorse che diano risposte al settore sanitario – conclude il segretario Carlo Palermo – che poi il Servizio Sanitario Nazionale deve gestire in modo adeguato. I finanziamenti sono importantissimi. Non avrei tante ritrosie per il Mes finalizzandolo al SSN per le spese dirette e indirette legate al Covid, come dice la Comunità Europea, anche perchè abbiamo bisogno di un ammodernamento delle strutture. Quando è sopraggiunta l’epidemia abbiamo dovuto correre ai ripari per tracciare i percorsi separati, Covid e noCovid, costruire le tende fuori dagli ospedali per il pretriage, la mortalità piano piano si è ridotta. Ma in termini di personale è costato moltissimo, fra medici e infermieri sono mancate oltre 220 persone. Non va dimenticato.

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