Italia
La protesta dei giovani futuri avvocati in emergenza covid19
In fibrillazione i 20mila aspiranti avvocati che dopo la prova scritta di dicembre per l’accesso alla professione, a causa del covid19 ad oggi non hanno l’esito dell’esame e nessuna notizia sull’eventuale prova orale da affrontare
Di Macrì Martinelli Carraresi
Il destino di ventimila aspiranti avvocati e magistrati italiani è sospeso e minacciato dal caos scaturito dall’emergenza Covid-19 che in questo caso sta colpendo la categoria dei giovani giuristi. Le lentezze che accompagnano la correzione delle loro prove scritte, effettuate a dicembre, blocca l’accesso a quelle orali mettendo a rischio lo stesso ingresso alla professione. Per ora un’ipotesi che potrebbe portare ad una soluzione, mettendo d’accordo anche la commissione, sarebbe quella di permettere agli idonei degli scritti 2019 ad accedere direttamente alla prova orale 2020 senza dover rifare nuovamente lo scritto.
La situazione di stallo è stata da più parti denunciata e si sono levate azioni di protesta da parte di giovani praticanti, tra le quali la lettera aperta al direttore del Corriere della Sera di Giulia Brugnerotto , aspirante magistrato che, dopo aver spiegato passo passo le ragioni della protesta della sua categoria così penalizzata, suggerisce anche alcune proposte riformatrici, che stanno aprendo un tavolo di discussione che potrebbe portare all’avvio di una riforma dell’esame di abilitazione per gli avvocati la cui disciplina, ricordiamolo, risale ad una legge del 1934.
La lettera di Giulia si conclude così ”che le cose siano così , non vuol dire che debbano andare così”.
Qui di seguito la lettera di Giulia Brugnerotto al Corriere della Sera
Egr. sig. Direttore,
mi permetto di scriverLe per sottoporLe una serie di problematiche, fino adesso sconosciute o comunque non oggetto di meritevole trattazione.
Mi chiamo Giulia, sono una praticante Avvocato e aspirante Magistrato. Nel dicembre 2019 ho sostenuto l’esame di avvocato e, come altri 20mila praticanti, sono in fremente attesa dell’esito della prova scritta al fine di potermi preparare, in caso di esito positivo, alla prova orale.
Le scrivo con la speranza che il Suo giornale possa dare finalmente voce ad una categoria che non è mai stata sufficientemente ascoltata e tutelata: noi giovani, più in particolare i giovani giuristi.
Sebbene l’art. 3 Cost. disponga che “tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali,” io, nelle vesti di aspirante giurista, come penso molti altri, non ci credo più molto.
L’inaspettata sopravvenienza del Covid -19 ha comportato gravose conseguenze in tutti i campi, nessuno escluso. Tuttavia, occorre precisare che le categorie già benestanti ne stanno uscendo quasi illese, mentre quelle ab origine in difficoltà sono costrette a sopportare condizioni sempre più degradanti.
Una lettera non basterebbe per elencare tutte le categorie precarie e le relative problematiche, ecco perché mi limito ad indicarne solo una: la categoria dei giovani giuristi, più in particolare gli aspiranti avvocati caduti nel dimenticatoio.
Lungi dall’evitare immediate critiche, sono perfettamente consapevole del fatto che vi è un’epidemia in corso e che i problemi sono altri e anche più gravi, ma questo, a mio avviso, non giustifica le evidenti disparità di trattamento.
Invero se i diversi decreti emanati hanno cercato di garantire una tutela – seppur minimale- alle maggior parti delle categorie professionali, è evidente come alcune siano state completamente dimenticate. Difatti ancora oggi, i 20mila praticanti avvocato che hanno sostenuto lo scritto di abilitazione, sembrano essere dimenticati nel nulla, vivendo così in una ingiusta situazione di limbo ed incertezza.
A partire dall’emanazione del Decreto cd. Cura Italia, l’Onorevole Manfredi, in qualità di Ministro dell’Università e della ricerca, ha stabilito che ai fini dell’abilitazione all’esercizio di specifiche professioni quali ad esempio architetto, assistente sociale, geometra,ingegnere,dottore commercialista, esperto contabile etc., in ordine alla prima sessione d’esame fissata nell’anno 2020, sia sufficiente sostenere un’unica prova orale secondo le modalità “a distanza”.
Tuttavia, tra queste specifiche professioni non è inclusa quella degli aspiranti avvocati.
Sul punto non si comprende quale sia la ragione che abbia indotto l’esecutivo a non parificare – circa le modalità di svolgimento dell’esame di Stato – la professione forense a tutte quelle interessate dal suddetto provvedimento, preferendo invece optare per una correzione da remoto delle prove scritte espletate nel dicembre 2019.
Non vi è chi non veda come vi sia un’evidente disparità di trattamento del tutto ingiustificata in ordine ad una professione di pari dignità rispetto a quelle sopra richiamate.
Mi chiedo quindi, assieme a tanti colleghi:qual è la differenza fra la professione di dottore commercialista e avvocato? Forse il Ministro a cui si deve dar conto.
Non da ultimo, la situazione viene ulteriormente aggravata con l’emanazione del Decreto cd. di Rilancio – che di rilancio per noi giovani ha poco o nulla- dove viene presa una scelta che si sarebbe potuta prendere ben due mesi fa: riprendere la correzione degli elaborati scritti dell’esame di avvocatura 2019 con modalità telematica, investendo le sottocommissioni di poteri discrezionali
e oneri, previsione solo volta ad alimentare l’incertezza dell’azione dei commissari; il tutto senza nemmeno prevedere un termine entro cui dover concludere le correzioni.
Da ciò derivano numerose e impattanti conseguenze a catena:
l’ulteriore prolungamento dei tempi di correzione con forte ritardo nella pubblicazione degli esiti (in tempi normali in genere è a giugno) comporterà la necessità per la maggior parte degli aspiranti avvocati – non ancora sottoposti ad esame orale – di dover sostenere in via cautelativa lo scritto previsto a dicembre 2020. Questo ha come conseguenza il dover affrontare nuovamente dei costi per l’iscrizione all’esame, l’acquisto di nuovi codici, il viaggio e l’eventuale alloggio per sostenere un esame che si sarebbe potuto evitare. Un peso importante per chi ha in media 27 anni, studia da anni e grava ancora sull’economia menage familiare, con la prospettiva – ancora troppo lontana – di dispiegare le proprie ali nel mondo professionale . Pensate quanto sia ancor più grave tutto questo quando riguarda i giovani che hanno sostenuto l’esame scritto nel dicembre 2018 e non hanno potuto sostenere il loro esame orale telematicamente, nonostante questa sia stata la modalità favorita da tutti gli atenei universitari nazionali, che hanno predisposto lezioni, esami di profitto ed esami di laurea, tutto attraverso un pc.
Ad aggravare il tutto si è aggiunta la mancanza di tutela non solo giuridica, ma anche economica.
Invero, nonostante il Decreto Rilancio si sia prodigato a tutelare tutte quelle categorie che nel decreto Cura Italia erano state escluse (i cd. invisibili), si è dimostrato – ancora una volta – totalmente incurante delle sorti dei giovani giuristi siano essi praticanti avvocato o tirocinanti presso gli uffici giudiziari.
Difatti, per i praticanti avvocati, per i quali (come noto da ormai troppi anni) non è previsto alcun obbligo di retribuzione dal momento che non sono classificati come lavoratori, non è stata prevista alcuna indennità.
Invero, nell’arco dei 18 mesi di tirocinio, per la maggior parte dei praticanti, la normalità è non ricevere alcun trattamento economico. Ricevere un rimborso spese è un privilegio e questo può accadere solo a fronte di un dominus compassionevole e riconoscente.
Per i tirocinanti presso gli uffici giudiziari lo Stato invece prevede una borsa di studio, assegnata solo mesi dopo lo svolgimento del tirocinio e neanche a tutti i tirocinanti (la borsa è infatti vinta solo da chi ha un reddito minimale ed entro le risorse stanziate dallo Stato). Peccato che, a seguito dell’emergenza COVID-19, solo pochi giorni dopo dall’uscita del bando, i termini per il deposito della richiesta di borsa di studio siano stati sospesi e lo siano tuttora. Nel 2020, infatti, appare impossibile richiedere questo piccolo riconoscimento in via telematica.
Stiamo parlando di “laureati eccellenti”, tutti laureati con un voto dal 105 in su, incaricati di affiancare i Magistrati affidatari in tutta l’attività giurisdizionale, dallo studio dei fascicoli, all’affiancamento in aula, fino alla redazione delle bozze della sentenza, per un periodo di 18 mesi dalla laurea
Occorre rammentare, soprattutto alle istituzioni, che anche i praticanti svolgono attività lavorativa, intesa come lo svolgimento di un’attività intellettuale, e, in quanto tali, dovrebbero essere ricompresi nella categoria dei lavoratori che, ai sensi dell’art.36 Cost. hanno diritto ad una retribuzione che deve essere, oltre che proporzionata al proprio lavoro, anche sufficiente “ad assicurare a sé alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” .
Nonostante ciò, non si giustificano le ragioni per le quali la maggior parte dei praticanti/tirocinanti non sia meritevole di alcun compenso o comunque sia sottopagato rispetto alla attività quotidiana che compie, costringendo le famiglie, quando vi siano le possibilità, a mantenerli anche oltre la fine degli studi.
A fronte di tale situazione mi pongo diverse domande:perché per perseguire la strada di avvocato, magistrato o notaio bisogna affrontare e far affrontare così tanti sacrifici? Tale percorso è davvero sostenibile solo da chi nasce in condizioni agiate ? Perché chi sceglie un certo percorso deve inevitabilmente rinunciare o rimandare la propria vita privata?
Sono risposte che non ho, che non trovo.
Da ultimo, ciliegina sulla torta: il nuovo Decreto Rilancio non solo ha aggravato un problema già esistente, ma ha altresì disposto una serie di concorsi in campo giudiziario del tutto inaccessibili alla categoria giovanile in virtù degli alternativi titoli esperenziali richiesti quali:
-aver svolto almeno 5 anni di servizio nell’amministrazione giudiziaria;
-aver svolto per almeno 5 anni funzioni di magistrato onorario;
-essere stato iscritto per almeno 5 anni consecutivi all’albo professionale degli avvocati;
-aver svolto per almeno 5 anni scolastici interi attività di docente di materie giuridiche.
Queste condizioni del tutto inique scoraggerebbero chiunque a intraprendere il percorso di studi di giurisprudenza. Ma non passi il messaggio sbagliato: voglio ancora credere che qualcosa possa cambiare e vedere uno spiraglio di luce in fondo al tunnel. Voglio urlare a me stessa e a tutti i miei colleghi – come ha sostenuto uno dei Magistrati che per tutti noi costituiscono un modello- che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così.
Giulia Brugnerotto