Arte & Cultura
Arte e cultura. “Nero di Seppia, dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare”.

Gregorio Corigliano, quando il giornalismo era azione e non sensazionalismo
Nel suo libro, Tsugumi, Banana Yoshimoto scrive “Nelle città senza mare… chissà a chi si rivolge la gente per ritrovare il proprio equilibrio…”, equilibrio che non può certo mancare a chi, come Gregorio Corigliano, ogni giorno è in riva al mare con il suo taccuino. In “Nero di Seppia, dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare” lo storico giornalista Rai e per lunghissimi anni inviato speciale e massimo esperto della RAI sui sequestri di persona, che hanno riguardato in particolare la Calabria, racconta se stesso e la sua vita da “marinaio”.
Laureato in Economia all’Università di Messina nel 1970, è giornalista professionista. È stato Capo Ufficio stampa dell’Ente provinciale per il Turismo di Reggio Calabria. Dal 1982 in RAI, dove percorre tutta la carriera professionale fino a diventare Capo Redattore della sede regionale della Calabria. Per la RAI ha seguito i principali avvenimenti di cronaca degli anni ’80-’90 e poi gli eventi politici fino al 2010. Ha curato le Tribune politiche e realizzato numerose inchieste sulla Calabria anche per le testate radiofoniche e televisive nazionali. È stato dirigente nazionale organizzativo dell’USIGRAI; dal 2012 al 2015 ha ricoperto il ruolo di commissario del CO.RE.COM Calabria. Numerosi i riconoscimenti tra cui il “Premio Cultura” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il “Premio Brutium”, il “Premio Crotone Pitagora”, il “Premio Valarioti”. Ha pubblicato i volumi: Un po’ di noi – Storia di un viaggio in Calabria che ancora continua. (Ed. Pentagono), I diari di mio padre (Pellegrini editore). Editorialista del “Quotidiano del Sud”.È stato Presidente del Circolo della Stampa “Mariarosaria Sessa” di Cosenza.
Nel libro “Nero di Seppia, dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare”, edito per Pellegrini, appare il suo grande rispetto ed amore per il mare, la nostalgia per i ricordi e le forti emozioni. Un rispetto associato ad un rapporto così stretto da essere vissuto con tutti i sensi, un mare “visto”, “gustato”, “respirato”, “ascoltato” e “toccato” che profondamente ha segnato e segna la sua vita.
Sicuramente la cosa da chiederle è il perché di questo rapporto così intimo col mare. Cosa ha innescato questo “amore”?
Mio padre, in assoluto. Maestro, agricoltore, amante della caccia e della pesca. Quando sono nato lui in casa non c’era. Solo mia nonna e l’ostetrica. Pur sapendo che sarei nato in quelle ore, era andato a mare a pescar seppie, con la sua barchetta di legno e con i remi classici. Ho respirato aria di mare prima e al momento di nascere, ma anche dopo. Il mare mi è rimasto dentro. Eppoi la casa dei miei genitori era ed è rimasta lì, a 200 metri dal mare. Lo ammiro, lo vivo e lo respiro da quando sono nato.
All’interno del libro il racconto della sua vita, dei suoi viaggi e della sua professione. Cosa ha significato essere giornalista in quel periodo e, secondo lei, i giornalisti l’inchiesta esistono ancora?
Essere giornalista significa far proprio quanto diceva Alfieri: Volli, sempre volli, fortissimamente volli. L’ho voluto fare e ci sono riuscito per più di 40 anni. E l’ho fatto convinto di doverlo e volerlo fare, anteponendo la professione ad ogni altra cosa, affetti compresi. Ed è quanto dire. Il giornalismo d’inchiesta o di strada, come preferisco dire, purtroppo non esiste più, salvo rare eccezioni. C’è la crisi dei giornali, non si vendono, leggono in pochi, e c’è la prevalenza dei social. Le retribuzioni non sono adeguate, ma anche la passione è scemata. Si preferisce altro, non c’è amore, si guarda l’orologio, non si salta più un riposo. Sono pochi quanti come me che sono andati in quiescenza con quasi due anni di ferie non godute, per dire!
Sicuramente un altro sentimento fortissimo che emerge nel libro è quello verso il padre, i cui diari sono stati fonte di ispirazione per la precedente pubblicazione. Quanto ha influito la forte personalità di suo padre nella sua formazione?
Moltissimo. E’ stata determinante. Mio padre, l’ho già detto, era maestro, coltivatore della terra, rappresentante di commercio, politico, amministratore. Non riposava mai, girava come una trottola, pur senza strafare. I suoi alunni lo ricordano ancora con ammirazione. E’ stato finanche dal Ministro della Pubblica Istruzione per la frequenza assidua alle lezioni e alla scuola. Lo vedevo e lo ammiravo ed a lui ho fatto sempre riferimento. Anche mia madre, proveniente da una famiglia di agricoltori, è vissuta nel culto del lavoro.
Anche i luoghi e la gente assumono un aspetto particolare nel suoi libro: un senso di appartenenza che forse risulta ad oggi sconosciuto ai più. Luoghi ai quali si appartiene e che ci appartengono, luoghi e gente che continuano ad attenderci. Anche qui ciò che traspare potrebbe essere definito amore?
Certo che è amore. Amore per il luogo natio, amore per l’aria respirata, amore per gli amici, per i compagni di scuola e per quanti pur essendo emigrati tornano spesso, almeno una volta l’anno. Non amo chi non torna perché significa che non ha radici. Il profumo della terra lo trovi solo ed esclusivamente lì. Lì la gente ti appartiene e tu appartieni alla gente che ti saluta con lo sguardo. Significa che c‘è comunione di sentimenti ed intesa profonda.
“C’è un uomo che ha il mare dentro e nelle pagine cammina, osserva, guarda, pensa, scrive. E quel mare, che è avvolgente quanto inquietante, feroce quanto rassicurante, ha una forza espressiva totale quasi fosse umano. O, forse, divino. Il mare ha cromatismi che variano, odori che avvolgono, “sprizzii” che toccano, silenzi che parlano. E quell’uomo vi è immerso tutto. Seduto in riva al mare. E quell’uomo riempie i suoi taccuini di nero di seppia e i fogli si bagnano di storie e narrazioni che sanno d’infanzia, di adolescenza e di una vita che cresce. E sanno di quel piccolo mondo antico che è sedi ne memoria dell’uomo che scrive e che, d’un tratto, appartengono a tanti. Forse a tutti. Ci sono fichi, clementine, uva, pescato, profumi e sapori che hanno palpiti e ticchettii d’anima. E quel nero di seppia lentamente si fa osservazione del mondo e racconta altre storie perché quell’uomo, l’uomo del mare, diventa giornalista e le sue pagine si fanno mondo e storie di umanità, spesso dolorosa e dolente. Ma anche ironica, eroica, immaginifica, progressiva, scottante. Perché un giornalista dipinge nei suoi taccuini il mondo tutto con le sfaccettature più diverse e complesse. Come il mare. Dove torna e ritorna sempre. Seduto in riva al mare. E lì, l’uomo del mare, si fa mare.”