Attualità
L’Italia ha dimenticato le nostre comunità all’estero
I tanti italiani all’estero sono una ricchezza perché tanto hanno da darci e non solo in termini di tornaconto economico. Ma ormai di loro non si parla più, impegnati come sono i nostri politici a scannarsi, anche su argomenti assolutamente marginali nell’agenda di un Paese apparentemente normale.
di Mario Innocenzi
”Prima gli italiani”, ammettiamolo, come slogan, da un punto di vista delle strategie della comunicazione, non è granché, anche perché riecheggia, con troppa facilità, altre frasi ad effetto spesso usate in politica. Ma, nonostante ciò, queste tre parole hanno fatto la fortuna della Lega e del suo leader perché, in fondo, hanno tradotto in un messaggio politico le tante insicurezze degli italiani, ai quali è stato raccontato un Paese che forse non c’è. Una Italia in preda a bande di criminali che la attraversano, dalle città alle contrade, razziando, uccidendo, violentando.
Davanti alla Paura, con la ”P” maiuscola, ”Prima gli italiani” ha lo stesso impatto che, nel ventennio fascista, avevano le immagini di Gino Boccasile, incutendo nella gente il timore che il peggio è sull’uscio di casa. E che il ”nemico” non è italiano. Anche se, negli anni, ”Prima gli italiani” ha dovuto inserire un messaggio subliminale rispetto a quello evidente. Cioè, ”Prima gli italiani”, anche di quelli che italiani già sono, ma hanno una pelle di colore diverso, magari nomi esotici, magari pregano un Dio che non è il nostro.
Ma non è questo ciò su cui credo sia opportuna una riflessione. Perché a furia di occuparsi degli italiani, consentendo loro forme di difesa che lasciano troppo spazio alla discrezionalità ed alla percezione personale del ”pericolo”, ci siamo (si sono, parlo del Governo) dimenticati di chi ha la nostra stessa nazionalità, ma vive lontano dal Paese, per scelta, per motivi di lavoro o soltanto perché fa parte delle tante nostre comunità all’estero.
Nel dibattito politico contemporaneo i nostri fratelli che vivono lontani dai confini italiani sono letteralmente evaporati, forse perché, come accade purtroppo sempre, di loro ci si occupa solo in periodo elettorale.
Intendiamoci: può darsi che il nostro Governo si stia occupando delle comunità italiane all’estero, ma, se lo fa, ha deciso di non farlo sapere a nessuno. E questo appare abbastanza improbabile, visto il modo compulsivo con cui alcuni nostri governanti fanno uso dei social, che sono diventati il mezzo di comunicazione principe, ben più importante dell’ufficialità e delle sedi istituzionali preposte.
Così, nei post dei nostri reggitori della cosa pubblica, tra insulti e bacioni, tra minacce e condivisioni di messaggi che augurano agli avversari (meglio se avversarie) dolori e violenze indicibili, meglio se sessuali, non trovano più posto parole che oggi appaiono fuori moda: solidarietà, convivenza civile, condivisione, comprensione. Parole che le nostre comunità all’estero ascolterebbero volentieri, magari accompagnate da atti concreti per colmare i vuoti ed accorciare le distanze.
I tanti italiani all’estero (anche quelli che hanno preso la nazionalità ereditandola dai genitori, dai nonni o da avi nemmeno conosciuti) sono una ricchezza perché tanto hanno da darci e non solo in termini di tornaconto economico. Ma ormai di loro non si parla più, impegnati come sono i nostri politici a scannarsi, anche su argomenti assolutamente marginali nell’agenda di un Paese apparentemente normale.
Ma ormai l’Italia è tutto fuorché un Paese normale, e piuttosto che pensare ad affrontare le problematiche quotidiane, che spesso riguardano la sopravvivenza, si appassiona ad un finto matrimonio di una finta diva che si dice innamorata di un finto uomo per un amore che è solo finzione.
I connazionali all’estero guardano con sconcerto alle cose di casa nostra ed è difficile dare loro torto, se solo si dà un’occhiata al contenuto dei quotidiani, dove – solo per parlare di cose di questi giorni – un presidente di Regione, non vedendo accolte le sue richieste, etichetta il governo (meglio, una parte del governo) di cialtroneria.
Ma forse il mio è un discorso ipotetico, anzi assurdo perché c’è da chiedersi chi, italiano all’estero, vedendo quel che siamo capaci di fare, sia talmente pazzo da volere venire da noi.