Attualità
Le difficoltà del trasporto marittimo globale tra coronavirus e guerra in Ucraina
Il trasporto navale è di fondamentale importanza per il commercio globale poiché quasi il 90% delle merci viene spedito via mare. Il forte rallentamento è stato causato soprattutto dal rallentamento delle attività a terra dell’intera filiera logistica
di Alexander Virgili
Il prolungato confinamento imposto dalle Autorità cinesi agli abitanti di Shanghai per l’aumento dei casi di Covid-19 ha colpito duramente le attività di quel sistema portuale. Il successivo ingorgo navale registratosi nel porto hanno riacceso i riflettori sul trasporto marittimo e sulle catene logistiche. Il trasporto navale è di fondamentale importanza per il commercio globale poiché quasi il 90% delle merci viene spedito via mare. Il forte rallentamento è stato causato soprattutto dal rallentamento delle attività a terra dell’intera filiera logistica. Il porto, infatti, è aperto ma i contenitori si accumulano nelle aree retrostanti perché i trasportatori, soprattutto quelli stradali, non riescono a smaltirli. Secondo alcune stime di operatori specializzati l’attività portuale funziona a un quarto della sua normalità capacità e le navi devono ancora attendere da tre giorni a una settimana.
Da metà aprile di quest’anno alcune tra le maggiori compagnie, come Maersk, hanno sospeso le prenotazioni sulle navi che toccano Shanghai perché non ha più spazio per stoccare i contenitori. Ad aumentare i problemi, l’intasamento del porto sta anche bloccando il traffico fluviale del fiume Yangtze, che serve importanti località industriali e commerciali come Changzhou, Zhenjiang, Nanjing e Wuhan. Non solo le conseguenze di questa situazione dureranno a lungo, ma coinvolgeranno anche i porti europei e nord-americani e stanno sollevando alcuni interrogativi sulla inadeguatezza del sistema mercantile e di rifornimento, alcuni parlano oramai di una vera e propria crisi della filiera. La situazione per gli addetti al settore non giunge inattesa, sebbene poco o nulla si sia avviato per rimediare ad essa. Già nel 2021 VesselsValue aveva posto la questione della congestione senza precedenti causata dalla pandemia di Covid-19 e dalla frattura delle filiere di rifornimento in molti settori. Con la usuale politica di cancellazione delle informazioni scomode, la Cina già nel 2021 aveva bloccato l’accesso pubblico ai dati di localizzazione delle spedizioni, citando preoccupazioni di sicurezza nazionale. “Un altro segnale della sua determinazione a controllare le fonti di informazioni sensibili”, aveva commentato il Financial Times, anche perché i dati AIS danno agli analisti intuizioni sulle attività portuali a livello globale, ma la Cina è l’unica nel ritenere questi dati un problema di sicurezza nazionale.
Shanghai è il primo scalo al mondo per volumi di merci movimentate, il che lo rende un hub strategico per il commercio. Inoltre, tra i primi dieci porti a livello mondiale, ad esclusione di Rotterdam, figurano solo terminal situati nel Sud-Est asiatico, di cui sei sono cinesi. La predominanza di tali scali è data dal fatto che questa determinata area geografica è diventata negli anni la fabbrica del mondo, cosa che ha concorso a strutturare le principali rotte navali, che hanno permesso alle merci prodotte in questa zona di accedere ai mercati più redditizi. Infatti, i volumi movimentati nella via euroasiatica e transpacifica vedono una prevalenza dei prodotti asiatici rispetto a quelli europei o americani. Una sfida ma anche un rischio strategico. Le problematiche attuali comportano un dispendio di tempo importante, stimato in 12 giorni contro una media di 5, il che si traduce in un successivo aumento dei costi, di per se già aumentati per le conseguenze dovute alle pandemia. Confrontando i dati del 2021 con quelli del 2019, si può notare un aumento dei prezzi relativi ai container, dai 1.421 ai 7.556 dollari, ed una dilatazione dei tempi medi di consegna, da 39 a 68 giorni. Alcuni effetti si vedono già, dove porti europei come Rotterdam ed Amburgo iniziano ad essere congestionati, ma per avere un quadro chiaro della situazione bisogna ancora attendere.
I problemi relativi al porto di Shanghai si sommano con quelli provocati dalla guerra tra Ucraina e Russia. L’Ucraina è un Paese importante quale esportatore di materie prime, semilavorati e componentistica per auto. L’invasione russa ha di fatto bloccato l’export, poiché i suoi porti principali, Odessa e Mariupol, sono andati distrutti o sono stati resi inaccessibili. Le rotte che partono dal Mar Nero sono fondamentali per Ucraina e Russia, in quanto via di comunicazione diretta per la vendita dei propri prodotti. Quasi il 60% del grano ucraino viene trasportato via mare, mentre per quanto riguarda la Russia, circa il 65% dell’export totale ed il 38% del petrolio venduto all’estero viaggia via mare. Le ripercussioni della guerra rischiano di limitare l’operatività dei porti di altri Paesi rivieraschi come Costanza (Romania) e Varna (Bulgaria). La prolungata presenza del Covid-19 e le previsioni di una guerra lunga in Ucraina hanno allarmato molti operatori e posto nuovamente il problema dei colli di bottiglia nel traffico marittimo che improvvidamente si immaginavano superati.
Oltre al Bosforo (controllato da una Turchia sempre meno affidabile), altri punti sensibili sono gli stretti di Malacca, Hormuz, Bab al-Mandab ed infine i canali di Panamá e Suez. Lo sviluppo di navi container sempre più grandi ha spinto le autorità dei Paesi su cui ricade il controllo dei canali ad adeguamenti strutturali tali da permettere il transito delle megaship. Tuttavia gli eventi recenti riguardanti la nave Ever Given bloccatasi nel Canale di Suez hanno dimostrato la vulnerabilità di queste importanti vie di comunicazione. Quanto sta accadendo negli ultimi anni sta portando significative trasformazioni nelle filiere a livello mondiale, dove i grandi player del mercato mondiale (che fanno riferimento a tre grandi alleanze: 2M Alliance, Ocean Alliance e The Alliance) stanno intervenendo a riorganizzare alcuni sistemi logistici. L’interruzione delle catene logistiche sta infatti spingendo a rimodulare il commercio mondiale, con una tendenza verso una maggiore regionalizzazione ed un ritorno all’accumulo di scorte strategiche. Le sfide per il settore includono anche la sostenibilità ambientale, con la priorità per l’utilizzo di carburanti meno inquinanti e con la necessità di investire per migliorare le infrastrutture portuali, puntando molto sull’elettrificazione delle banchine e trasformando i porti in hub energetici.
Dopo anni di miope immobilismo e di boria localistica, anche l’Italia sta riscoprendo pian piano l’importanza dei suoi porti, giustificata soprattutto dalla posizione geografica del Paese, nel centro del Mediterraneo. Forse si sta constatando che concentrare tutto a Trieste e Genova, per ingordigia di investimenti “padanocentrici”, ha solo congestionato quelle aree. Ci sono nel resto dal Paese ampie carenze infrastrutturali e dei collegamenti intermodali, per cui tornare a parlare oggi dei problemi del Sud Italia, è solo ipocritamente funzionale ad un rischio di blocco per l’economia del Nord Italia più che un’esigenza di giusto riequilibrio. Solo oggi alcuni si accorgono che le infrastrutture dei trasporti nel Sud Italia sono molto inferiori a quelle presenti nel Nord, che lo sviluppo costiero offre numerose alternative e che gli investimenti nel Sud sono una opportunità di sviluppo per l’intero Paese.