Italia
La politica dei colori

La politica fatta di idee e di uomini e donne che si tengono per mano è cosa del novecento, oggi si ragiona per colori e per schieramenti: verde-blu, giallo-verde, rosso-giallo, rosso-blu.
di Michele Marzulli
Con i colori, in Italia, abbiamo imparato a dipingere grandi opere d’arte, ma con l’avvento delle tecnologie digitali la mano d’opera e l’arte si deve essere persa per strada ed oggi i colori servono a distinguere i gusti ed a imbellettare i packagings. O, al massimo, a colorare felpe, magliette, vessilli e bandiere.
Come nel rinascimento italiano, le persone si vestono con abiti sgargianti e personalizzati, con fazzoletti e nodi colorati. E mentre nelle contrade storiche scompaiono gli antichi simboli e si dimenticano i mestieri, nei paesi e nelle città, alle finestre, ricompaiono vessilli e bandiere.
Come nel più cupo rinascimento, personalismi e magnificenze sono tornati in auge. Ognuno ha il proprio stendardo, ognuno ha la propria bandiera. Capitani di ventura strillano al vento comandi starnazzanti e gonfiano il petto, mentre si spartiscono poltrone e seggi d’onore. La politica fatta di idee e di uomini e donne che si tengono per mano è cosa del novecento, oggi si ragiona per colori e per schieramenti: Verde-blu, giallo-verde, rosso-giallo, rosso-blu.
Scomparsi i partiti e ciò che rappresentavano, si ritorna alla distinzione dei popoli: il popolo forzista, il popolo leghista, il popolo della destra, quello dei cattolici, quello dei laici, il popolo della sinistra e quello dei centristi. Ed i popoli portano con loro i nomi dei loro governati: i Berluscones, i Salviniani, i Grillini, i Renziani, tutti impettiti e schierati come plotoni di esecuzione pronti a fare fuoco al primo gesto del proprio leader. Tutti pronti a far la guerra, ma per conquistare cosa, libertà? Diritti? No. L’obiettivo è il potere, o meglio, il potere dell’estetica del potere. Non il potere di fare qualcosa, di scrivere leggi o persino la storia. No. L’obiettivo più ambito è il potere di apparire potente.
Quanto accaduto negli ultimi giorni ne è il sintomo più esaustivo: Matteo Salvini, leader e porta stendardo del popolo leghista, Vice di un Premier in suo pugno, ministro degli Interni e vero manovratore del governo, semi-duce del moderno sovranismo, invece di usare il potere che aveva in pugno per cambiare l’Italia a sua immagine e somiglianza, apre una crisi di governo nella speranza di tornare alle urne.
Perché mai una scelta del genere? Errore di calcolo, bieca strategia politica o abbaglio estivo?
No, nulla di tutto ciò. Lo ha fatto per dimostrare di averne il potere.
«Non abbiamo paura del voto» è il motto che oggi campeggia su ogni vessillo, «ma all’occorrenza siamo disposti a salvare il Paese». Altra manifestazione di potenza di potere.
Alcuni sostengono che prima o poi doveva avvenire, che il problema vero è stato il momento estivo, ma a ben guardare ciò che deve preoccupare è ben altro. Siamo dinanzi ad un gioco d’ombre e luci, e rischiamo di scambiare un miraggio per realtà. La cruda verità è che non esiste più alcun sapere politico, non vi sono più capacità utili per mettere in piedi le idee. Non c’è capacità o minima idea di come mettere in pratica una visione politica. Perché una visione politica non c’è.
Lo spettacolo cui Mattarella, il Presidente della Repubblica, dovrà assistere in queste ore è come un teatrino di fantasmi: pallide ombre saliranno nelle sue stanze e suggeriranno idee private, desideri ed obiettivi personali, e ricordi. Come fantasmi, anime della politica defunta, si siederanno pallidi al suo cospetto per ascoltarne tremanti il giudizio. Ma cosa potrà mai inventare il nostro Capo dello Stato, se gli attori in campo sono solo pallide macchiette?
Che vi siano elezioni o meno, il panorama non è che può cambiare: la legge elettorale proporzionale è la medesima.
Mandare alle urne il paese e affrontare la notte che verrà nel caos e senza una direzione? O tirare fuori ago e filo per cucire insieme altri vessilli in modo da poter alzare un’altra bandiera del momento?
L’unica certezza è che qualsiasi alchimia il Capo dello Stato possa ipotizzare i colori in campo saranno sempre gli stessi: verde-blu, giallo-verde, rosso-giallo, rosso-blu. A meno che non sorga un arcobaleno di tutti i colori in nome della patria, ma anche in quel caso, in realtà, l’arcobaleno è un illusione ed in natura, per inciso, dura sempre per troppo poco tempo.
L’unica speranza è che dalle ceneri della politica sorga come una fenice qualche nuova idea, del resto si sa: l’Italia dà il meglio di sé in “zona Cesarini”, ed il tempo adesso è veramente agli sgoccioli.