Attualità
La modernità

Mentre l’epoca moderna volge al termine, quale eredità resta di un periodo convulso che prese il via con la scoperta delle Americhe?
di Antonio Fugazzotto
Se andiamo a guardare, l’aggettivo ‘moderno’ indica, nei libri di storia delle scuole medie, quel non lungo periodo storico (circa tre secoli) che prende avvio con la scoperta dell’America e termina con la Rivoluzione francese.
Non lungo si diceva se paragonato al Medio Evo, circa 1000 anni, e soprattutto all’epoca antica, più di 3000 anni.
Ma oggi? Oggi siamo nell’epoca cosiddetta contemporanea, che prende avvio sempre convenzionalmente dalla Rivoluzione francese e che definisce anche i nostri giorni. Compreso il giorno in cui sto scrivendo. Ma “contemporanea” non assume un significato specifico di alcun genere se non appunto l’epoca che stiamo vivendo in compagnia dell’Ottocento, del Novecento e dei primi decenni del duemila.
L’epoca moderna inizia nel 1492 con lo straordinario viaggio di Cristoforo Colombo che divide in due la storia e la fa diventare moderna con un taglio deciso col passato. Vera e propria cesura storico antropologica corroborata da un umanesimo già in fieri che assegna all’uomo la denominazione di individuo e che nella sua evoluzione acquista libertà di coscienza e che in seguito nel tardo settecento inaugura l’esaltazione della ragione. E’ un’epoca che si contraddistingue principalmente con un autentico stravolgimento del rapporto dell’individuo con lo Stato. L’uomo individuo infatti prende pienamente coscienza del fatto che l’unico soggetto della politica sempre più internazionale è costituito dallo Stato che inizia a porsi sempre di più come garanzia contro i poteri locali spesso arbitrari e non riconosciuti giuridicamente e istituzionalmente. Ma soprattutto l’uomo modernus è in grado di mettere il proprio intelletto, le proprie conoscenze e le proprie competenze al servizio della natura (vera grande novità questa) al fine di dominarla, di entrare nei suoi segreti e, perché no, cercare di migliorarla.
Va sottolineato che verso la fine dell’epoca moderna prende forma, ad opera degli intellettuali più prolifici e attivi un nuovo e rivoluzionario modo di concepire ed intendere la realtà storico sociale. Questi teorizzano che essa va concepita, non più come status monolitico figlio di eredità neoclassiche stigmatizzate, ma come elemento attivo che si evolve e prende sempre nuove forme. Ecco che qui va sottolineata una rivoluzionaria funzione del tempo che finalmente assume un ruolo di tipo moderno, un ruolo da protagonista dell’evoluzione antropologica in senso storicistico. Il tempo come elemento fondamentale nei processi storici. Quel tempo così “stigmatizzato” e forse un po’ troppo “sottolineato” da Karl Popper che assegna allo storicismo guidato dal tempo il delicato compito di un determinismo per il quale il futuro è indipendente dall’uomo, già definito dalle necessità.
A questo punto una domanda appare d’obbligo. Perché il “Modernum” ha provocato nell’uomo e nella società, subito dopo la Rivoluzione francese e all’apparire dell’Ottocento, un profondo senso di smarrimento a livello culturale sociale e storico? Smarrimento che ha finito per trasformarsi in crisi manifestatasi dapprima a livello filosofico e nelle arti figurative, e successivamente dopo il primo conflitto mondiale in uno stravolgimento dei valori universali che sembravano pilastri alla base dell’Europa e non solo di essa. Di qui il nascere tra l’altro delle tre utopie dittatoriali che purtroppo hanno contraddistinto tragicamente il novecento. Una possibile risposta può essere ricercata nell’assunto di Herbert Marcuse che teorizza ripetutamente, in quei decenni, sulla “perdita totale della dimensione critica”.
Ma il termine moderno oggi assume un valore concettuale diverso e forse anche un’accezione che merita un approfondimento.
E’ moderno tutto ciò che non è antico, che non è vecchio e soprattutto ciò e chi non è datato.
Uno sguardo all’etimologia ci viene incontro, cito testualmente dal latino tardo: modernus cioè “recentemente, poco fa, al presente”; lemma simile a modus, limite, termine, nel senso generale di “entro i limiti del tempo presente”, a cui si aggiunge la desinenza -ernus per indicare appartenenza simile a modus”.
Ma dal moderno al modernismo il passo è breve. E qui dobbiamo fare un salto in avanti rispetto all’epoca Moderna. La fine dell‘Ottocento e gli inizi del Novecento vedono apparire sulla scena del pensiero filosofico estetico il “Modernismo” che era espressione di un nuovo modo di concepire ed esprimere una realtà che era frutto di enormi cambiamenti e trasformazioni sul piano industriale e sociale, con un’urbanizzazione galoppante e masse di figure di lavoratori che dai campi si recavano in città per diventare classe operaia. Sul piano filosofico il modernismo si contrappose spesso alle certezze del pensiero illuminista, e molti degli intellettuali di quel periodo assunsero anche e persino posizioni che si ponevano all’opposizione della fede religiosa.
Nelle arti figurative e nella letteratura era modernista, in generale, il pittore, lo scultore, l’architetto o lo scrittore che sentiva le forme tradizionali di arte, architettura, letteratura, filosofia, organizzazione di classi sociali, attività varie della vita quotidiana e scienze come obsolete rispetto al nuovo panorama. Un panorama economico, ambito sociale e politico di un mondo emergente pienamente industrializzato e proiettato in pieno verso nuove frontiere. In questo spirito, le innovazioni, la totale libertà espressiva che si caratterizza come libera rappresentazione dei pensieri trova possibilità di attuazione. Così come, la musica dodecafonica, l’arte astratta e le varie libere avanguardie, ebbero dei precursori già nel XIX secolo.
In architettura soprattutto rintracciamo le più interessanti peculiarità di questo che possiamo considerare un vero e proprio movimento. Basti pensare che lo sviluppo dell’architettura modernista ha posto le basi per una vera e propria rivoluzione concettuale che ha interessato non solo le città, ma persino le fabbriche, i luoghi di lavoro, di svago e di cultura. I suoi principi di progettazione erano portavoce e portatori sani del riflesso dei nuovi sviluppi nella scienza, nella tecnica che avanzava a grandi passi, nei progressi nella medicina e nella salute, nella parità e nell’’uguaglianza sociale. Tutto questo veniva attuato obbedendo a una nobile mission: quella di cercare di aiutare questi ideali non solo a non deperire ma persino a prosperare.
Pertanto l’architettura moderna, nata e sviluppata all’interno del movimento artistico, sociale e culturale denominato appunto Modernismo, si pasce di sperimentalismo e si alimenta di assoluta libertà di espressione rigettando le “regole” che venivano da ambiti culturali che si ispiravano a modelli classici e un po’ limitanti. Non a caso in quegli anni nasce e fiorisce in modo esilarante tutto un nuovo concetto “moderno” di design. Nello stile individuiamo il concetto di bellezza che prende spunto da semplicità e linearità non mancando di rimuovere i famosi dettagli che si presentavano come assolutamente superflui. Non è un caso che il Modernismo, che ha il suo massimo sviluppo nel secondo dopoguerra, tende a trarre spunto da temi e stili propri del razionalismo che nei primi decenni del novecento vede grandi interpreti come Piacentini, Terragni e Moretti.
Ma torniamo alla domanda: e oggi? Cosa scriveranno gli storici e gli intellettuali del futuro sui nostri giorni? Sulla nostra epoca attuale? Con quale ISMO saremo definiti e classificati?
Una prima risposta ce la fornisce il filosofo Gianni Vattimo con suo pensiero debole e con la sua attenta e precisa definizione dell’epoca “contemporanea“ che stiamo vivendo. Vattimo, e non solo lui, dice che stiamo nel bel mezzo del “postmodern”. Siamo tutti postmodernisti. In altre parole tutto quanto fin qui teorizzato è superato. Ci troviamo in una condizione di profonda crisi, che ci porta ad una endemica e inevitabile debolezza nel rapporto con la realtà. Pertanto l’uomo postmoderno sta imparando a convivere con questo limite che lui chiama “infondatezza”. Di qui il “pensiero debole”, è l’espressione dell’uomo incapace di porre sé stesso al centro dell’interesse globale sia etico che filosofico. Vattimo lascia anche immaginare un uomo ormai un po’ soggiogato dalla globalizzazione che non si cura più dell’individuo ma che ragiona in termini globali e transnazionali.
Postmodern, allora. Così ci definiranno i posteri, critici, pensatori e intellettuali storici. Postmodern epoca definita nel suo rapporto con la società in continua evoluzione e con la filosofia.
E l’architettura? Gli stili che colpiscono il nostro osservatorio e che non sono più modern ma postmodern, effettivamente definiscono alcune esperienze che iniziarono a manifestarsi solo nella seconda metà degli anni settanta. Il Postmoderno in architettura si caratterizza per il ritorno dell’ornamento e per la voglia della citazione che si riferisce spesso al neo classicismo abbandonato e vituperato dai modernisti. Il Postmodern è considerata una valida risposta al formalismo “dell’International Style e del Movimento Moderno”.
Ma i posteri ci definiranno, ne sono certo, all’interno di un ciclo storico in profonda crisi individuando nell’alba del terzo millennio una tempesta di nubi minacciose che si alternano a rasserenanti squarci di speranze.
Diranno che il sogno di un’armonia globale, di un nuovo ordine mondiale basato sulla pace si è dileguato o forse trasformato in una inquieta incertezza, in un sentimento di confusione o in pericolose e malsane paure diffuse. Denunceranno con lucido e inquietante realismo che l’Occidente ha il dovere di prendere coscienza che si trova immerso nelle nebbie della crisi della postmodernità.
Una crisi che si consuma sul crinale di due sentimenti in profondo contrasto tra di loro. Da un lato l’inquietudine e il conseguente pessimismo per il perdurare, senza vere prospettive di uno scontro tra civiltà segnato dalla violenza delle guerre e dal terrorismo fondamentalista, dall’ inevitabile conseguente trasformazione dei nostri modelli di vita e delle nostre libertà e dagli sconvolgimenti provocati dal processo di globalizzazione. Dall’altro lo sconcerto ottimistico per i progressi in economia, per le straordinarie conquiste della scienza, per le applicazione tecnologiche nella medicina (la robotica ecc.) e l’intelligenza artificiale.
Come dice qualcuno, noteranno e descriveranno come i tasselli delle due linee di tendenza si dispongono nella nostra vita quotidiana secondo logiche di casualità, di irrazionalità, di frammentarietà e di istantaneità. Noteranno e racconteranno il desiderio di noi cittadini, figli della postmodernità, che tendiamo fortemente ad una linea di ordine ed ad una prospettiva pregna finalmente di senso.
Antonio Fugazzotto: Regista, Autore TV (RAI – Radio Televisione Italiana)- Conferenziere – Presidente del Circolo politico culturale di Roma CIRCOLO DELLE VITTORIE, Presidente dell’Associazione culturale LA GINESTRA di Santa Restituta (Terni).