Attualità
La geopolitica delle reti energetiche
Il Nord Stream inaugurato nel 2011, ha lo scopo di garantire alla Germania la fornitura di gas russo senza attraversare Paesi che avrebbero potuto bloccare o limitare l’afflusso del gas, privilegiando invece il transito attraverso il Mar Baltico
di Alexander Virgili
La recente vicenda dei danni ai gasdotti Nord Stream, dovuti probabilmente ad attentati mirati, ha richiamato l’attenzione sulla grande rete energetica internazionale o, forse sarebbe meglio dire, sulle reti energetiche, costituite da centinaia di migliaia di chilometri di tubature e cavi, che disegnano come gigantesche ragnatele. Lungo queste reti corrono, attraversando i principali cuori pulsanti dell’economia, miliari di metri cubi di gas e milioni di tonnellate di petrolio. Poi ci sono le reti elettriche internazionali, anche esse strumento di transito per grandi quantità di energia, mentre le reti telematiche garantiscono il transito di miliari di dati per gran parte delle comunicazioni internet. Tutte queste reti, poco visibili se non nascoste anche per motivi di sicurezza, garantiscono, come il sistema circolatorio del corpo umano l’ordinario funzionamento delle società. Infatti ogni giorno il mondo consuma circa 100milioni di barili di petrolio e 60milioni di barili di gas naturale. Per trasportare questa enorme quantità di energia le condutture sono fondamentali e sono spesso al centro di dinamiche geopolitiche e geostrategiche collegate ai conflitti in corso.
Il Nord Stream ne è un esempio. Inaugurato nel 2011, ha lo scopo di garantire alla Germania la fornitura di gas russo senza attraversare Paesi che avrebbero potuto bloccare o limitare l’afflusso del gas, privilegiando invece il transito attraverso il Mar Baltico. Nel 2012 veniva inaugurato il raddoppio della conduttura che, dato importante, otteneva dall’Unione Europea lo status di progetto prioritario per garantire gli approvvigionamenti europei, ma di fatto principalmente tedeschi.
I progetti del Nord Stream2, per la realizzazione di altre due linee aggiuntive, che avrebbero consentito un raddoppio della quantità di gas transitabile, sin dal 2011 hanno incontrato perplessità di ordine geopolitico, per la paventata possibilità di pressioni politiche improprie da parte della Russia grazie alle ampie forniture. Difficoltà molto maggiori sono state riscontrate nella realizzazione del South Stream, un analogo mediterraneo-balcanico del gasdotto voluto dalla Germania, sia per motivi legati alle modalità di partecipazione della Bulgaria (importante Paese di transito) sia, dal 2014, per le vicende dell’occupazione e poi dell’annessione della Crimea da parte della Russia. Questo progetto è stato poi accantonato (probabilmente anche per lo scarso sostegno tedesco ad una linea potenzialmente concorrenziale e alternativa a quella del Nord Stream che consente alla Germania di esportare gas in Italia), così come il progetto Nabucco, e si è privilegiata la TAP Trans Adriatic Pipeline, operativa dal 17 ottobre 2020.
Le recenti notevoli scoperte di gas nel Mediterraneo orientale – in particolare nelle acque al largo di Israele, Cipro ed Egitto – sarebbero tali da giustificare la creazione di un nuovo sistema di trasporto, che dovrebbe portare il gas in Italia passando per Cipro, Creta e Grecia continentale. Il progetto, conosciuto come EastMed, costituisce probabilmente una grande opportunità per l’Italia. Allo sviluppo di questo progetto, riconosciuto dall’Unione Europea come di interesse prioritario, si oppone però la Turchia che reclama dei diritti su gran parte delle aree dove dovrebbe essere realizzato, ritenendole aree di proprio Esclusivo Interesse Economico.
In tutti questi progetti mediterranei attore non marginale è stata la Turchia, Paese che sempre più apertamente mira ad avere una propria area di influenza marittima ed un ruolo internazionale, a volte di presunto mediatore, che ne rinforzi il potere. La Turchia, sembra svolgere, in questo quadrante del Mediterraneo, lo stesso ruolo condizionante che sta assumendo la Russia sul fronte Baltico, cercando di trarre il massimo profitto dalla instabilità e conflittualità dell’area. Il ruolo di collettore e punto nevralgico per i rifornimenti europei provenienti da Africa e da parte dell’Asia potrebbe, in prospettiva, essere italiano, come aveva ipotizzato qualche analista, tenuto conto anzitutto della centralità geografica della penisola e poi dei collegamenti già esistenti, infatti i sistemi che collegano l’Italia con l’estero sono cinque: due con l’Europa, due con il Nord Africa ed uno con l’Azerbaijan. Questo ruolo appare però molto limitante e volto al passato se non associato ad un forte impulso delle energie rinnovabili, poiché altrimenti significherebbe solo spostare la dipendenza da un Paese all’altro.
A scala globale, la distribuzione di gasdotti e di oleodotti nel mondo non è omogenea; poco più della metà (il 51%) della lunghezza totale di oleodotti e gasdotti si trova nelle Americhe, in Europa si trova circa un quarto (27%) della lunghezza totale, in Medio Oriente e Africa si trova circa il 6% della lunghezza (una delle principali condutture è il gasdotto trans-Mediterraneo, che nasce in Algeria, passa per la Tunisia e attraversa il Mar Mediterraneo fino all’Italia), nella Regione Asia Pacifico si trova circa il 16% della lunghezza totale degli oleodotti mondiali. Questo per quanto riguarda le strutture fisse, ma altrettanto importanti sono i flussi marittimi, che si caratterizzano per avere alcuni punti strategici, strettoie che possono paralizzarne l’andamento. I principali produttori di petrolio sono gli Usa, seguiti da Arabia Saudita, Russia, Iran e Cina. Ed è proprio dalla penisola arabica che si dipana gran parte del traffico navale: 19 milioni di barili al giorno passano dallo stretto di Hormuz. Al centro tra Oman ed Iran, Hormuz collega il Golfo Persico al Golfo di Oman ed al Mar Arabico e nel suo punto più stretto misura appena 21 miglia.
L’economia mondiale dipende dal rifornimento energetico che transita in quelle acque. Segue lo stretto di Malacca, uno snodo fondamentale che collega oceano Indiano e Pacifico (16 milioni di barili): è la rotta marittima più vicina al mercato asiatico di Cina, Giappone, India, Corea del Sud e Singapore. Poi a seguire: il canale di Suez e lo Stretto di Bab el-Mandab (a nord e sud del Mar Rosso), lo Stretto del Bosforo e Dardanelli (un vero e proprio imbuto molto tortuoso che unisce il Mar Nero al Mar Mediterraneo), ed il canale di Panama. Quasi tutto il greggio commerciato via mare deve passare attraverso questi colli di bottiglia sempre a rischio di attentati terroristici o di azioni armate. Con i Paesi che vi si affacciano che tentano di sfruttare il dato geografico per imporre vincoli o esigere contropartite politiche.
Esaminando a scala internazionale l’intera gamma dei temi energetici (domanda e offerta di petrolio, gas e carbone, tecnologie per le energie rinnovabili, mercati dell’elettricità, ecc.) si constata che dal nuovo millennio alcune delle linee di tendenza che hanno caratterizzato i movimenti geopolitici del passato non dipendono più soltanto dalla conformazione o dalla ricchezza dei suoli e dei mari. Discendono invece, forse sempre più, dal presente e dal futuro dell’andamento climatico, che condiziona l’abitabilità dei territori, il transito di merci e persone, la possibilità di occupazione con le armi, la forzata migrazione di popoli, la praticabilità delle vie degli scambi economici e commerciali. L’introduzione crescente di fonti rinnovabili locali ha indebolito i flussi energetici rigidi e predeterminati caratteristici delle fonti fossili e nucleari, contraddistinti da luoghi fissi di estrazione, percorsi rigidi di trasporto, localizzazione pluridecennale degli impianti di combustione.
L’ approvvigionamento energetico introdotto dai sistemi territoriali eolici, fotovoltaici e idrici è slegato dal sistema di trasporto internazionale, che diviene è marginale o irrilevante. Sono due paradigmi localizzativi energetici molto diversi, quello tradizionale più statico e concentrato, le nuove tecnologie invece molto più diffuse e disperse sul territorio. L’unica fonte fossile che ha visto espandere negli ultimi decenni la propria quota di mercato è il gas naturale (23,4% nel 2020 con 6.268 TWh), che ha iniziato una crescita più sostenuta a partire dal 1997. Dal 2008 si nota anche per essa una tendenza al rallentamento rispetto al decennio precedente.
Ecco quindi che la transizione energetica, il passaggio progressivo dalle fonti energetiche fossili e dell’uranio a quelle rinnovabili a tecnologia più moderna, potrà avere, se realizzata in modo ampio, non solo una ricaduta ambientale ma anche vasta portata su alcuni equilibri geopolitici e strategici, riducendo la presenza di impianti di distribuzione e stoccaggio, riducendo la dipendenza da almeno alcuni dei Paesi fornitori, determinando un mutamento ampio delle reti energetiche ed un loro parziale ridimensionamento. Se dipendenza si verificherà sarà più tecnologica che fisico-geografica.