Arte & Cultura
L’italiano negli anni 2000: quella lingua che in Italia ormai non si parla più – Italian in the 2000s: the language that Italy no longer speaks
L’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo, un dato attribuibile alle conseguenze della globalizzazione.
di Giulia Dettori Monna – Introduzione di Gianni Pezzano
Se paragoniamo un film italiano degli anni 30 o 40 con un film degli stessi anni dagli Stati Uniti o l’Inghilterra notiamo subito che la lingua italiana è cambiata molto di più nel corso dei decenni della lingua inglese. Notiamo questo in modo particolare anche nel programma della RAI “Techetechete” che presenta spezzoni di programmi televisivi italiani dalla sua introduzione nel 1954 fino al giorno d’oggi.
Questo , come dice l’articolo che segue, è già un problema per chi abita in Italia, ma diventa un problema non indifferente per chi abita all’estero. Non solo per chi torna in Patria dopo decenni nel nuovo paese per scoprire che i parenti e amici rimasti a casa non parlano più allo stesso modo, ma soprattutto per chi all’estero vuole imparare la lingua italiana e scopre che i testi nuovi contengono parole ed espressioni che sono evidentemente prese da altre lingue e dal linguaggio dell’informatica (i neologismi) e in modo particolare dalla lingua inglese (gli anglicismi) che sono sempre più evidenti nel linguaggio quotidiano nel Bel Paese.
Questo presenta un problema, ma soprattutto una sfida per chi vuole promuovere la nostra Cultura, in modo particolare la nostra lingua, perché dobbiamo far capire ai figli, nipoti e discendenti degli emigrati italiani, che la lingua italiana è un tesoro nazionale che ha creato un patrimonio letterario importantissimo, anche a livello internazionale, come testimoniano i sei Premi Nobel italiani per la Letteratura.
Quindi abbiamo il dovere di proteggere e di diffondere non alle future generazioni non solo in Italia, ma anche e soprattutto ai nostri parenti e amici all’estero perché fa parte del loro patrimonio culturale personale.
Questa è una sfida che tutti gli italiani, in Italia e all’estero, devono affrontare e vincere perché la posta in gioco è proprio quella cosa che ci definisce, la nostra lingua.
Di Giulia Dettori Monna
L’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo, un dato attribuibile alle conseguenze della globalizzazione. Oggi, infatti, gli italiani all’estero (di solito oriundi) sono circa 95 milioni (in pratica è come se ci fosse un’altra, cospicua Italia distribuita in tutto il globo) e 5 di questi hanno la doppia cittadinanza.
Tuttavia, proprio nel nostro paese è sempre più difficile parlare (ma soprattutto scrivere) correttamente la lingua italiana, a causa della moltitudine di neologismi, anglicismi e ignorantismi – termine purtroppo rappresentativo dei tempi attuali – che la contaminano.
A tal proposito le istituzioni competenti – in primis l’Accademia della Crusca (che salvaguarda la lingua italiana)– si sono interrogate sulle conseguenze di questi supplementi linguistici, proponendo come soluzione di includerli nel vocabolario. Così, oltre al famigerato neologismo “petaloso” e ad altre parole della sua categoria (fra queste “no-vax”, “black friday”, “ciaone” o “salvinata”), sono state ammesse (seppure non in contesti ufficiali), persino espressioni tipiche dei dialetti del Sud Italia come “Esci il cane” e “Siedi il bambino”.
Ora, nella caotica società odierna le tesi in merito alla qualità dell’italiano sono in realtà molte, perciò risulta difficile individuare la teoria più attendibile sul suo attuale stato.
Semplificando al massimo la questione e dividendo i vari punti di vista al riguardo in due gruppi, si può parlare di conservatori e riformisti: da una parte c’è chi considera la lingua italiana come la principale vittima di un certo neocolonialismo linguistico – ad esempio il giornalista di MicroMega Giacomo Russo Spena, autore del libro Itanglese – dall’altra chi reputa tali influenze un arricchimento culturale (per citare qualche nome, Giovanni Iamartino, storico della lingua, o il linguista Salvatore Claudio Sgroi).
Evitando di entrare troppo nel merito di una delle grandi battaglie culturali della nostra epoca, rimane indubbio che siano soprattutto le nuove generazioni a risultare ignoranti in grammatica, considerando pure il loro costante uso dei social e dell’estrema sintesi espressiva che ne consegue.
Che fare, quindi, per salvare l’italiano dall’oblio? Probabilmente la soluzione migliore consiste in un’opera di rinnovata scoperta che, lungi dall’essere conservatorismo, diventa ogni giorno più necessaria, anche per quanto riguarda la conoscenza dei classici della letteratura e degli illustri autori di quest’ultima da parte dei giovani.
Italian in the 2000s: the language that Italy no longer speaks
By Giulia Dettori Monna – Introduction by Gianni Pezzano
Italian is the fourth most studied language in the world, a figure that can be attributed to the consequences of globalization.
If we compare an Italian film of the 1930s or 40s with a film of the same period from the United States or England we immediatately notice that the Italian language has changed much more than English over the decades. We notice this especially in RAI’s programme “Techetechete” which presents clips from Italian TV programmes from its introduction in 1954 to the present day.
This, as the following article states, is already a problem for those who live in Italy but it becomes a major problem for those who live in other countries. Not only for those who come home to Italy after decades in a new country to discover that the relatives and friends who stayed behind no longer speak in the same way, but above all for those people overseas who want to learn our language and discover that the new texts contains words and expressions that are evidently taken from other languages and from the language of computer science (the neologisms) and especially from the English language (the anglicisms) that are increasingly evident in daily language in Italy.
This presents a problem and above all a challenge for those who want to promote our Culture, especially our language, because we must make the children, grandchildren and descendants of Italian migrants understand that Italian is a national treasure that created a very important literary heritage, also internationally as shown by the six Italian winners of the Nobel Prize for Literature.
Thus we have a duty to protect and distribute our language to the future generations not only in Italy but also and above all to our relatives and friends overseas because it is part of their personal cultural heritage.
This is a challenge that all Italians, in Italy and overseas, must face and win because what is at stake is the very thing that defines us, our langauge.
Italian in the 2000s: the language that Italy no longer speaks
by Giulia Dettori Monna
Italian is the fourth most studied language in the world, a figure that can be attributed to the consequences of globalization. In fact, the Italians overseas (usually oriundi) number about 95 million (in practice it is as if there was another sizeable Italy distributed around the world) and 5 million of these have dual citizenship.
However, in our own coutry it is increasingly difficult speaking (and above all writing) Italian correctly due to the multitude of neologisms, anglicisms and ignorance – terms that sadly represent current times – that contaminate it.
In this regard the competent institutions, primarily the Accademia della Crusca (the body that oversees the Italian language), have questioned themselves about the consequences of these linguistic supplements and have offered as a solution to include them in the dictionary. Such that, in addition to the infamous neologism “petaloso” (petalous, having petals) and the others in its categories (including “no-vax”, “black friday”, “ciaone” (a big ciao) or “salvinata [something related to Italian politician Matteo Salvini]), they have admitted (even if not in official contexts, even typical expressions from Southern Italian dialects such as come “Esci il cane” (literally “out the dog”) and “Siedi il bambino” (literally “sit the baby”.
Now in today’s chaotic society the theories on the quality of Italian are truly many, therefore it is hard to identify the most reliable theory on its current state.
Simplifying the question as much as possible and sharing the various points of view concerning the two groups, we can identify the conservatives and the reformists. On the one hand there are those who consider Italian as the main victim of a certain linguistic neo-colonialism – for example, Giacomo Russo Spena of the magazine “MicroMega”, author of the book “Itanglese”– and on the other hand those who consider these influences cultural enrichment (to cite a couple of names, the historian of the language Giovanni Iamartino, or the linguist Salvatore Claudio Sgroi).
Avoiding going too far into the merits of one of the great cultural battles of our times, it is unquestionable that above all the new generations are ignorant in grammar, also considering their constant use of the social media and the extreme expressive synthesis that is the consequence.
What must be done therefore to save Italian from oblivion? The best solution probably consists of a work of renewed discovery, which becomes more necessary every day, also as regards the knowledge of the classics of literature and their illustrious authors on the part of young people.