Attualità
In Tanzania giovani donne rischiano 30 anni di carcere perché calciatrici
Nel Paese africano il calcio è riservato ai “maschi” e l’unico sport riservato alle donne per non essere emarginate è una specie di pallacanestro.
di Vito Nicola Lacerenza
Nell’arcipelago tanzaniano di Zanzibar, situato vicino le coste dell’Africa, si trova un villaggio di circa mille abitanti, Dole, dove un gruppo di ragazze ha deciso di creare una squadra di calcio chiamata “ragazze combattenti”. In un qualunque Paese occidentale la notizia non avrebbe destato interesse, ma in Tanzania il fatto che alcune giovani si organizzino autonomamente e giochino a calcio ha dell’incredibile. La stragrande maggioranza dei tanzaniani è di religione musulmana che fa della disparità tra i sessi uno dei suoi elementi fondamentali. Nell’Islam l’uomo ha un’importanza tre volte superiore a quella della donna, obbligata in virtù della sua inferiorità ad adottare solo “comportamenti femminili”. E il calcio non rientra tra questi. Ecco perché “le ragazze combattenti,” per praticare il loro sport preferito, devono lottare ogni giorno contro una società che tenta di emarginarle. «I miei genitori non mi hanno mai aggredita fisicamente ma hanno cercato in tutti i modi di non farmi giocare a pallone- ha detto Riziki Abdallah, 19 anni, componente della squadra delle “giovani combattenti”- In Tanzania il calcio è considerato un’attività esclusivamente maschile mentre alle donne sono riservati altri sport, come la “palla-rete”, una versione semplificata della pallacanestro, in cui non è necessario né palleggiare né effettuare passaggi col rimbalzo. Attenersi alla separazione tra attività maschili e femminili è indispensabile se non si vuole rischiare l’arresto.
La Tanzania è tra i 38 Paesi africani che proibiscono “l’omologazione della condotta”. In altre parole le autorità vietano categoricamente al “maschio” di adottare “condotte o atteggiamenti femminili” e alle donne di comportarsi in modo mascolino. Per gli “uomini effeminati” la legge tanzaniana prevede una pena detentiva che va dai 30 anni al carcere a vita. Nell’arcipelago di Zanzibar però gli anni di reclusione per lo stesso reato sono inferiori e la legislazione è “meno severa”, specie con le donne. Per loro esiste una legge speciale denominata “Sessione 153”, valida soltanto a Zanzibar. “Ogni donna che adotta condotte lesbiche con altre donne, sia che abbia un ruolo passivo o attivo, sarà colpevole di offesa e soggetta ad una pena carceraria non superiore ai cinque anni e ad una pena pecuniaria non superiore ai mille scellini”. Sebbene il calcio non sia catalogato tra le “condotte lesbiche” e non esista nessuna legge che vieti esplicitamente alle donne di giocare a pallone, gran parte della società tanzaniana considera le calciatrici lesbiche o eccessivamente mascoline. «Alle donne di Zanzibar piace essere femminili- ha detto il ministro tanzaniano dell’Informazione, cultura, turismo e sport Balozi Ali Abeid A.Karume- Se provi a chiederle di fare sport, loro ti risponderanno: “No, non voglio essere come un uomo”». Ma le atlete della squadra di calcio delle “ragazze combattenti” non sono della stessa opinione del ministro, così come le giovani che compongono le altre sei squadre della Lega di Calcio Femminile Tanzaniana. L’associazione non gode di alcun sovvenzionamento statale e le atlete non usufruiscono di nessuna struttura per potersi allenare. Giocano su terreni incolti pieni di dislivelli e pietre, rischiando continuamente di infortunarsi. Ma il pericolo non frena le “giovani combattenti” che, dopo aver resistito ai pregiudizi della società e alle pressioni delle loro famiglie, affermano “di non aver più paura di niente”.