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Il giornalista Jamal Khashoggi fatto a pezzi mentre era ancora vivo nel consolato dell’Arabia Saudita in Turchia

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I suoi assassini hanno cominciato a tagliargli le dita per interrogarlo. La comunità internazionale condanna l’Arabia Saudita.

di Vito Nicola Lacerenza

Il 2 ottobre il giornalista saudita  Jamal Khashoggi è entrato nell’ambasciata dell’Arabia Saudita a Istanbul e non è più stato visto uscire. Le autorità turche indagano da due settimane sulla scomparsa dell’uomo e ritengono che sia stato ucciso proprio all’interno del consolato, sotto lo sguardo dell’ambasciatore saudita Mohammed al-Otaibi. Nomi e volti dei probabili assassini sono stati resi noti già da giorni dagli inquirenti. Si tratta di 15 persone di nazionalità saudita, tra cui figura il nome di Salah Al-Toubegi, medico forense direttore del consiglio generale di “Prove del Crimine” e membro del Dipartimento di Sicurezza Generale dell’Arabia Saudita. È lui ad aver ucciso e poi smembrato il giornalista mentre era ancora vivo. A sostenere tale tesi è il giornale turco Yeni Safak, al quale la polizia ha riferito alcuni dettagli relativi a un documento audio, trovato nel consolato saudita, che descrive le dinamiche del delitto: dapprima  Salah Al-Toubegi ha tagliato le dita al giornalista per farlo parlare durante un interrogatorio. Successivamente i 15 hanno trascinato Jamal Khashoggi su un tavolo, dove il medico forense, lo ha decapitato e fatto a pezzi. Nel compiere il delitto  Salah Al-Toubegi ha indossato delle cuffie per sentire la musica e ha consigliato ai suoi complici di fare lo stesso.

Gli assassini, secondo quanto riportato dagli inquirenti, hanno agito in sintonia mentre l’ambasciatore saudita  Mohammed al-Otaibi si è lamentato con loro del fatto che l’esecuzione fosse avvenuta all’interno del consolato. «Fatelo fuori di qui, mi metterete nei guai»- ha gridato al-Otaibi, al quale uno dei 15 ha risposto: «Se vuoi continuare a vivere in Arabia stai zitto». Dopo la minaccia  l’ambasciatore dell’Arabia Saudita non ha più obiettato. Probabilmente perché il cruento omicidio del giornalista è stato voluto dal potentissimo principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammad bin Salmān, il quale, esattamente come i suoi predecessori, non ammette critiche e reprime con forza ogni forma di dissidenza, sia dentro che fuori il suo regno. L’omicidio di  Jamal Khashoggi ne è un esempio.

Lui, pur avendo frequentato gli ambienti della monarchia saudita, ha sempre criticato il governo del suo Paese. Per tale ragione aveva deciso di trasferirsi negli Stati Uniti credendo di essere al sicuro da ritorsioni. Ma si sbagliava. Il principe ereditario  Mohammad bin Salmān ha dimostrato di poter raggiungere i suoi nemici in qualunque parte del mondo. Tale atto di forza però ha attirato sull’Arabia Saudita le condanne della comunità internazionale.  Anche la presidente del Fondo Monetario Internazionale (FMI), Christine Lagarde, si è detta “inorridita” da quanto riportato dagli investigatori turchi a proposito dell’omicidio di Khashoggi e ha negato la sua partecipazione a una conferenza sui fondi in programma in Arabia Saudita.

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