Attualità
I NEET, giovani tra rassegnazione e marginalità

Il dramma della generazione NEET, ovvero giovani che non lavorano, non studiano e non seguono una formazione (Not in Education, Employment or Training).
di Antonio Virgili – vicepresidente Lidu onlus
Negli ultimi decenni, un numero considerevole di ricerche sui giovani ha evidenziato la diversità dei modelli di vita dei giovani contemporanei, in quanto la progressione verso l’età adulta è diventata sempre più prolungata, frammentata e in gran parte imprevedibile. Diversamente da quanto alcuni affermano, circa la “invenzione” della categoria dei giovani, essa è invece il risultato delle trasformazioni sociali ed economiche dell’ultimo secolo, che hanno dilatato a dismisura il periodo intermedio tra adolescenza e età adulta, sfumando i ruoli sociali e i relativi status, e deregolamentando il passaggio tra età giovanile e età adulta. Congiuntamente, l’alto livello dei tassi di disoccupazione giovanile osservato durante la crisi economica ha suscitato preoccupazioni economiche e sociali, poiché in Europa la disoccupazione ha colpito duramente proprio i più giovani.
Nel 2013 nell’UE-27 si era registrato un picco di disoccupazione media del 24,4%, ma in alcuni Stati membri il tasso aveva raggiunto il 50%, per tale motivo affrontare la disoccupazione giovanile è diventato un tema prioritario dell’agenda politica europea degli ultimi dieci anni. A partire dal 2014, le autorità dell’UE hanno lanciato il più grande pacchetto finanziario specificamente rivolto alla popolazione giovanile (Youth on the Move), con l’obiettivo di migliorare le prestazioni dei sistemi di istruzione, incentivare la creazione di posti di lavoro e facilitare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. I problemi che possono scaturire dal rischio di una cosiddetta “generazione perduta” hanno spinto a comprendere meglio la complessa natura del fenomeno giovanile, così sociologi e funzionari hanno iniziato a adottare nuovi modi per classificare e stimare la prevalenza della vulnerabilità del mercato del lavoro tra i giovani, utilizzando anche la definizione di NEET, ovvero: giovani che non lavorano, non studiano e non seguono una formazione (Not in Education, Employment or Training).
Nata nel Regno Unito negli anni ’80, tale denominazione è poi stata adottata dal Comitato per l’occupazione della Commissione europea (EMCO), che nel 2010 ha concordato una definizione e una metodologia per un indicatore volto a misurare e monitorare le tendenze della popolazione NEET dell’Unione europea nell’ambito della strategia Horizon 2020. Una volta entrato nel dibattito politico europeo, il termine NEET è diventato rapidamente uno strumento per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle molteplici vulnerabilità dei giovani e per mobilitare gli sforzi di ricercatori e politici nell’affrontare il problema. Da allora, la classificazione NEET è stata ampiamente utilizzata nel dibattito e nei media europei. L’aumento del numero di giovani che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione è foriero di numerosi problemi ed è stato riscontrato che la condizione di NEET ha conseguenze negative diffuse per gli individui, le comunità e le società, ad esempio un minore benessere, un aumento dell’esclusione sociale e una minore crescita economica. I NEET sembrano oramai un problema globale che colpisce ovunque i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni in particolare (nella classificazione ISTAT i NEET comprendono i giovani dai 15 ai 34 anni, l’EUROSTAT usa la fascia 15-29 anni).
Prima della crisi economica del 2008-2009, i tassi di NEET stavano diminuendo in tutta Europa, nel 2008 si era registrato il livello più basso di NEET per tutte le categorie di età. Tuttavia, con l’inizio della crisi economica, questo miglioramento è terminato bruscamente e i tassi di NEET sono aumentati notevolmente. I tassi europei di NEET hanno raggiunto il massimo nel 2013, quando in media il 15,9% dei giovani di età compresa tra 15 e 29 anni era NEET, rispetto al 13% del 2008. I tassi di NEET hanno poi iniziato a diminuire lentamente, scendendo sotto il 15% nel 2015 per i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni. In termini di caratteristiche socioeconomiche, le analisi dell’EU rivelano una notevole eterogeneità tra gli Stati membri. A livello europeo, i NEET sono più numerosi tra le donne che tra gli uomini. Nella categoria di età 15-29 anni, il tasso di NEET femminile era del 16,7% a livello europeo nel 2015, rispetto al 13% dei maschi. Sebbene si riscontri una notevole variabilità di genere a livello di Stati membri, in Lussemburgo, Cipro, Croazia e Finlandia la quota di giovani maschi è superiore a quella delle giovani donne tra i NEET.
Al contrario, il divario di genere tra i NEET è maggiore nel Regno Unito, in Germania, a Malta, in Ungheria e nella Repubblica Ceca, dove la grande maggioranza dei NEET in questa categoria di età sono giovani donne. I disoccupati di breve durata sono la categoria più numerosa tra i NEET in Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito. Questo gruppo varia dal 39% del Lussemburgo al 28% del Belgio e della Finlandia. Tutti questi Paesi sono inoltre caratterizzati da un tasso di NEET inferiore alla media UE, il che indica che i giovani riescono a entrare più rapidamente nel mercato del lavoro. Al contrario, in Irlanda e in alcuni Paesi dell’Europa centrale e mediterranea, come Croazia, Grecia, Italia, Portogallo, Slovenia e Spagna, il gruppo più numeroso di NEET è composto da disoccupati di lunga durata. Ciò è in parte dovuto alla crisi economica, ma indica anche problemi strutturali più profondi nella transizione dei giovani dalla scuola al lavoro. La dimensione di questa coorte varia dal 48% in Grecia al 26% in Italia, e in tutti questi Stati membri è ben al di sopra della media UE. Sia in Italia che in Croazia, la percentuale di giovani che sono lavoratori scoraggiati è anch’essa ben al di sopra della media UE.
Dopo la pandemia di COVID-19, il numero di giovani NEET è generalmente aumentato. Secondo uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), il tasso globale di NEET giovanili è aumentato dell’1,5% tra il 2019 e il 2020, raggiungendo il livello più alto da almeno 15 anni a questa parte. Gli sforzi della ricerca e delle politiche si sono concentrati soprattutto sulla comprensione dei fattori di rischio associati alla condizione di NEET tra i giovani. La transizione dei giovani NEET verso percorsi di vita produttivi e soddisfacenti è impegnativa, ostacolata da diverse barriere e spesso si tramuta in contratti precari temporanei. A livello globale, la condizione di NEET è emersa come una presenza crescente, con tassi di prevalenza compresi tra il 6 e il 30% nei Paesi OCSE. La maggior parte dei giovani NEET proviene da contesti svantaggiati ed è vulnerabile alle avversità come la povertà, gli scarsi risultati scolastici, i problemi di salute e la mancanza di sostegno sociale, anche prima di lasciare l’istruzione. Diversi fattori individuali, familiari e sociali sono stati associati a un aumento del rischio di NEET nei giovani. Tuttavia, le evidenze esistenti su questo tema sono caratterizzate da ampia eterogeneità e incertezza riguardo alla forza comparativa dei diversi fattori o alla potenziale presenza di effetti mitigatori. La ricerca su questo tema è stata frammentata tra le varie discipline, popolazioni e disegni di studio, sottolineando la necessità di andare oltre l’attenzione esclusiva a questioni specifiche, come il miglioramento della salute mentale o la riduzione dei tassi di abbandono scolastico. Alcune meta-analisi e delle revisioni sistematiche hanno fornito una panoramica più completa dei fattori di rischio per i NEET, che restano comunque diversificati e molteplici.
Degli studi si sono concentrati su un numero limitato di dimensioni, come il benessere psicosociale o la salute mentale, piuttosto che adottare una prospettiva sistemica d’insieme. Altri studi hanno evidenziato associazioni tra i problemi comportamentali degli adolescenti, l’abuso di sostanze, i problemi con i coetanei, le abilità prosociali, l’auto-riflessione, le aspirazioni e l’attività fisica con i risultati scolastici e occupazionali nella giovane età adulta, spesso accompagnati da comuni problemi di salute mentale. Hanno confermato che i giovani con problemi di salute mentale hanno maggiori probabilità di diventare NEET rispetto a quelli senza problemi di salute mentale. In particolare, l’ansia, un problema di salute mentale sempre più diffuso, è emersa come un fattore rilevante nell’indagine. L’ansia influenza in modo significativo la probabilità di rientrare nella categoria dei NEET, anche se non è certo il fattore determinante. L’esame del benessere psico-sociale ha però fornito indicazioni utili poiché i problemi sociali, antropologici e psicologici hanno un impatto significativo sullo status di NEET, evidenziando la complessa connessione tra contesto sociale, benessere mentale e il disimpegno crescente dei giovani dall’istruzione o dal lavoro.
Alcuni disturbi depressivi potrebbero avere un ruolo nell’aumentare la probabilità che i giovani diventino NEET, così come la marginalità sociale e una visione pessimistica delle dinamiche sociali. Tra i fattori antropologici e sociologici rilevanti associati ai NEET c’è quello che, secondo Eurostat, è lo “scoraggiamento”, un concetto utilizzato per descrivere coloro che sono senza lavoro e disponibili a lavorare, ma che non cercano un lavoro perché ritengono che non ci sia lavoro disponibile o sia retribuito troppo poco. Questa condizione è influenzata dal ciclo economico, ma anche dalla mancanza di conoscenze su come o dove cercare lavoro, la difficoltà di trovare un lavoro che corrisponda ai propri livelli di competenza o l’indisponibilità a trasferirsi quando non ci siano posti di lavoro nella propria zona di residenza. In Italia si è stimato che circa il 45% delle persone classificate come disoccupate e il 10% di quelle classificate come inattive lavorano in realtà in modo irregolare e precario. Alcuni autori suggeriscono di escludere dai NEET i cosiddetti falsi NEET, ovvero coloro che sono tecnicamente in una situazione di NEET, ma lo sono volontariamente, in quanto non considerano il proprio status di NEET un problema per sé stessi.
In Italia. indipendentemente dal livello di istruzione e dal settore di studio, la quota di NEET è più alta per le donne, i residenti del Sud e delle Isole e gli immigrati. Questi gruppi soffrono di uno svantaggio legato a molti fattori, essi sono esposti alle condizioni economiche più sfavorevoli del Sud Italia, dove i tassi di disoccupazione giovanile sono molto elevati, e agli stereotipi legati al genere o alla razza. Di conseguenza, le donne e i giovani che vivono nel Sud Italia, anche se più istruiti di altri giovani, subiscono una maggiore penalizzazione e sono spinti a migrare impoverendo ulteriormente il tessuto sociale meridionale e rallentandone l’incremento di efficienza. Pure altri fattori esterni influenzano significativamente questi risultati, tra questi la mancanza di servizi adeguati alle persone in età avanzata e per la cura dei bambini – che penalizza soprattutto le donne, che assumono il ruolo principale di care giver – e nell’economia informale o sommersa, che impegna lavoratori irregolari, soprattutto tra gli immigrati e i residenti del Sud e delle Isole, così come la scarsa efficienza di molti servizi nel Sud.
La crisi economica ha ancora peggiorato la condizione dei giovani, aumentando le disuguaglianze sociali, il confronto tra le condizioni pre e post-crisi evidenzia che la quota di NEET è aumentata soprattutto tra i giovani con un basso livello di istruzione e quelli con genitori poco istruiti. In base al genere, gli uomini sono risultati più penalizzati mentre, con riferimento alle circoscrizioni territoriali, i giovani residenti nel Sud hanno subito gli aumenti maggiori. In sintesi, ci sono ampie differenze circa le cause che determinano lo stato di NEET, alcune sociali, altre culturali, economiche, mentali, di attitudine. Indipendentemente da ciò, il dato oggettivo è dato dalla massa abbastanza consistente di giovani che di fatto sono ai margini del sistema sociale, economico, occupazionale, lungamente a carico di famiglie oramai mediamente con redditi minori rispetto a qualche decennio or sono.
Questa situazione aggrava il dato demografico che descrive una popolazione italiana che invecchia, con bassa natalità e difficoltà di ricambio generazionale, e con la fascia d’età giovanile che ha chiare difficoltà a programmare una vita di coppia con figli. Anche la variabilità delle età incluse nelle classificazioni statistiche, 15-24, 15-29 o 15-34 anni, denota la fluidità dello stesso concetto di “giovane” e del suo limite anagrafico. Per ridurre la massa di NEET occorrerebbe attivare politiche incisive nella istruzione e formazione, ai vari livelli (dalle elementari all’università), istruzione che ha una deriva dequalificante e retorica da anni, a caccia di pseudo nuove didattiche. Necessario anche potenziare i percorsi di formazione professionale, da aggiornare costantemente rispetto ai mutamenti tecnologici e alle trasformazioni economiche. Migliorare i livelli retributivi e contrattuali dei giovani che, in presenza di alta disoccupazione, tendono inevitabilmente al ribasso e al precariato.
Sostanzialmente sarebbe necessario che lo Stato fosse capace di realizzare una politica economica lungimirante, di intervenire per ridurre i divari territoriali e di genere, di recuperare credibilità e idee per il futuro. Quei giovani, che alcuni politici italiani hanno anche definito “bamboccioni”, “choosy” o con altre denominazioni colorite, sono il risultato della incapacità di gran parte della classe politica nel gestire e amministrare il Paese guardando al futuro, della miopia presuntuosa nell’impoverire l’istruzione e la formazione pubbliche, nel deregolamentare ad oltranza alcune procedure, nel ridurre il ruolo regolatore e garante dello Stato.