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Espulse: il progetto di quattro giornaliste che indaga abusi nel giornalismo italiano

Espulse è un progetto di un collettivo di giornaliste nato per indagare gli abusi sulle donne all’interno del mondo giornalistico, sia durante la formazione sia in redazione. La giornalista Roberta Cavaglià ci parla della loro prima inchiesta che ha portato a un nuovo Codice etico e della prossima indagine.
Stringere un microfono, impugnare la penna come baluardo di onestà e scavare in miniere di supposizioni per informazioni tangibili. Ogni domanda, la discesa in gradini sociali, culturali e cronici di un mondo che ruota sempre più di traverso. L’esterno è sempre oggetto d’indagine per un giornalista.
Ma cosa succede quando l’indagine riguarda il proprio ambito e chi fa informazione?
Già, perché il giornalismo non è un universo utopico ed esente da violenza, abusi e molestie. A dimostrarlo è il progetto Espulse. Un collettivo di quattro giornaliste freelance: Stefania Prandi, Alessia Bisini, Roberta Cavaglià e Francesca Candioli che, insieme, si battono per giornaliste assunte, freelance che lavorano per la carta stampata, web, radio e tv e negli uffici stampa. L’ispirazione per Espulse nasce dal #MeToo della pubblicità e palesa quanto ci sia ancora da fare all’interno delle redazioni. Secondo un’indagine del 2019 svolta dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana, l’85% delle giornaliste ha dichiarato di aver subito molestie sessuali almeno una volta sul posto di lavoro.
“Un’infezione” che mostra i primi sintomi già durante i master di giornalismo, come rivela la prima inchiesta del collettivo: Voi con queste gonnelline mi provocate. Alcuni studenti, tramite un questionario anonimo, hanno dichiarano di aver subito “abbracci non richiesti, carezzine e ammiccamenti”. L’indagine basata su un lavoro di tempo, analisi e l’uso di fondi ha avuto risonanza e impatto tali da contribuire alla nascita del nuovo Codice etico e di comportamento nelle scuole di giornalismo, approvato dall’Ordine dei giornalisti per prevenire le molestie nelle scuole di formazione.
Del lavoro di Espulse e della prossima indagine di queste giornaliste ce ne parla una di loro: Roberta Cavaglià.
Ma prima andiamo con ordine. Perché proprio il nome Espulse?
«Come abbiamo scritto nel testo del nostro crowdfunding, le molestie sono uno dei principali strumenti per “espellere” o comunque tenere le donne ai margini del mondo del lavoro.
Nel settore del giornalismo, in particolare, non sono solo un danno – sociale, economico, psicologico – per le singole professioniste, ma uno strumento per mantenere lo status quo nelle redazioni e impedire alle donne di dare voce ad altre donne».
Quali sono i valori che vi guidano?
«Lavoriamo con un’impostazione, una metodologia e un’etica femminista. Siamo un collettivo orizzontale e prima, dopo e durante la pubblicazione della nostra prima inchiesta abbiamo garantito la privacy e l’anonimato a 243 fonti».
«Il nostro obiettivo è indagare il problema delle molestie sessuali e degli abusi di potere nel mondo del giornalismo italiano» si legge nella pagina online. Durante le vostre indagini quali sono gli aspetti che vi colpiscono di più?
«Le redazioni di giornali, radio e televisioni sono tra i luoghi di lavoro col più alto tasso di molestie sessuali e sessismo, secondo diverse ricerche internazionali (da un sondaggio dell’International Women’s Media Foundation, quasi due giornaliste su tre hanno dichiarato di aver subito molestie durante la loro carriera).
È particolarmente grave – come abbiamo rivelato nella nostra prima inchiesta – che questi fatti possano avvenire già nella fase della formazione, quando la divario di potere tra formatori e alunne è particolarmente accentuata».
In che modo mappate gli abusi?
«Per realizzare l’inchiesta “Voi con queste gonnelline mi provocate” abbiamo lanciato un questionario, che è ancora aperto, rivolto a studentesse e giornaliste che vogliano segnalarci gli episodi di molestie e sessismo che possono aver vissuto».
Quante testimonianze avete raccolto?
«Nell’inchiesta che abbiamo già pubblicato abbiamo raccolto le testimonianze di 239 studentesse e studenti e quattro fonti interne ai dieci master di giornalismo attivi riconosciuti dall’Ordine. La metà delle persone sentite ha riferito di aver assistito o saputo di molestie sessuali e verbali, tentate violenze sessuali, atti persecutori, stalking, ricatti e discriminazioni di genere.
Un terzo delle alunne ha descritto nel dettaglio, con nomi e cognomi, gli abusi subiti. Oltre ai racconti, ci hanno fornito screenshot, e-mail, documenti e video. Il questionario è ancora aperto, quindi continuiamo a ricevere testimonianze».
C’è qualcosa che lega, in qualche modo, tutte le testimonianze raccolte?
«Abbiamo incontrato diversi casi di ragazze o ragazzi che hanno preferito non raccontare quanto successo perché ci sono ancora diversi fattori che inducono chi subisce molestie a non esporsi. Non è stato facile per le nostre fonti, che fanno le giornaliste o i giornalisti, aprirsi di fronte a una collega che non conoscevano.
Chi subisce molestie sessuali nella maggior parte dei casi tende a mantenere il silenzio per diversi motivi: scarsa consapevolezza della gravità dell’offesa, senso di vergogna e timore di ritorsioni sul lungo periodo. Le nostre fonti hanno provato sensi di colpa. Hanno avuto paura delle conseguenze di una loro eventuale denuncia.
Hanno pensato che non sarebbero state credute. Alcune hanno normalizzato la situazione perché si crede, come alcune hanno spiegato, che “il mondo funzioni così”. È significativo comunque pensare che nessuna delle 239 persone che abbiamo intervistato abbia sporto denuncia per ciò che ha subito».

Stefania Prandi, Roberta Cavaglià, Alessia Bisini e Francesca Candioli
Il vostro lavoro ha portato all’approvazione nel 2024 del nuovo Codice etico e di comportamento nelle scuole di giornalismo, approvato dall’Ordine dei giornalisti. Di cosa si tratta e in che modo sensibilizza e tutela?
«Il testo contiene alcune novità importanti:
- Ogni scuola deve creare un canale di segnalazione anonimo e avrà anche il dovere di comunicare tempestivamente al Consiglio dell’ordine la segnalazione ricevuta, o la sua convenzione con l’ordine verrà annullata.
- Il Consiglio dell’Ordine mette a disposizione anche il suo canale di whistleblowing, disponibile sul sito ufficiale.
- In ogni scuola, ogni anno, si terrà un corso di formazione di due ore sulla tematica delle molestie, per tutti gli studenti e le studentesse».
Pensate sia una soluzione valida?
«Apprezziamo lo sforzo e come dalla nostra inchiesta sia nato un documento, ma rimangono ancora degli aspetti da chiarire. Per sentirsi sicure nel denunciare situazioni delicate servono ambienti protetti e persone con una formazione specifica, ma non direttamente collegati al mondo del giornalismo, che è un settore chiuso e anche piccolo, dove è difficile mantenere un vero e proprio anonimato.
Detto ciò, noi siamo giornaliste, a noi spetta fare le domande, poi ci auguriamo che sia la società stessa a trovare le risposte più adeguate (e crediamo anche che l’efficacia di queste risposte debba essere valutata soprattutto dagli studenti e dalle studentesse delle scuole di giornalismo, più che da noi)».
La vostra prossima inchiesta su cosa verterà?
«A inizio marzo abbiamo lanciato un crowdfunding che ci permetterà di finanziare una nuova inchiesta sulle molestie non più nelle scuole di giornalismo, ma nelle redazioni italiane. Grazie al supporto di chi sceglierà di donare potremo ampliare il nostro team legale (e quindi proteggerci meglio dalle querele temerarie) e disporre di fondi per organizzare trasferte per intervistare testimoni ed esperte per scrivere una nuova inchiesta, che verrà pubblicata da IrpiMedia».