Diritti umani
Ernestina, la levatrice del popolo finita tra le fiamme

In una piccola casa di legno, affacciata sul mare di Giulianova, viveva una giovane donna dal nome gentile: Ernestina Di Pompeo. A ventun anni, Ernestina fu arrestata con l’accusa di stregoneria e prostituzione. Spogliata, torturata, processata. Nessuno testimoniò in sua difesa. Nessuno osò. Perché ciò che proclamava il Santo Uffizio era legge divina.
di Laura Marà
Il mare, quel giorno, aveva il colore del piombo. Le onde s’infrangevano lente contro gli scogli del porto di Giulianova. Nessuno parlava, nessuno osava incrociare il suo sguardo. Lei, invece, camminava con la testa alta, i piedi scalzi graffiati dalla ghiaia, la veste strappata e il volto pallido, segnato da notti senza sonno e da pianti silenziosi. Ma negli occhi… c’era ancora la luce.
Aveva ventun anni.
In una piccola casa di legno, affacciata sul mare di Giulianova, viveva una giovane donna dal nome gentile: Ernestina Di Pompeo. Era nata nel 1598, a Campli, figlia di un pescatore e di una levatrice. La sua infanzia era trascorsa tra il profumo del pesce appena pescato e quello delle erbe medicinali che la madre usava per aiutare le donne del paese.
Quando la famiglia si trasferì lungo la costa, Ernestina crebbe con i piedi nella sabbia e le mani sempre occupate: a intrecciare reti, a pulire il pescato, a dare una mano in casa. La sua curiosità, però, andava oltre. Era attratta dai segreti della natura, dalle piante e dalle loro proprietà. Fu la zia Berenice, ostetrica esperta, a notare quella scintilla e a insegnarle le basi dell’alchimia e della medicina popolare.
A diciassette anni, Ernestina aveva già una certa fama. Sapeva preparare infusi contro i malanni di stagione, unguenti per le articolazioni doloranti, decotti calmanti. Non c’era nulla di magico o misterioso in ciò che faceva: era un sapere antico, tramandato di donna in donna, un sapere pratico, utile che però in quegli anni oscuri, era veleno per l’ignoranza.
In un tempo in cui la conoscenza femminile era spesso guardata con sospetto, la sua indipendenza iniziò a diventare un peso.
Poi venne l’amore. O qualcosa che gli somigliava. Un giovane del paese, occhi scuri e parole leggere. Francesca, la figlia, nacque sotto il segno della solitudine. Nessun padre a proteggerla, nessun anello a renderla legittima. E poi, le crisi. Scosse improvvise, tremiti. La piccola Francesca, frutto di un amore negato da un giovane del paese, era epilettica, ma allora si parlava di maleficio, di possessione. Quando le convulsioni cominciarono a manifestarsi, la gente smise di vedere in Ernestina una farmacista e iniziò a vederci una fattucchiera. Bastò poco: un sospetto, un’accusa, il silenzio complice di chi le doveva la vita.
A ventun anni, Ernestina fu arrestata con l’accusa di stregoneria e prostituzione. Spogliata, torturata, processata. Nessuno testimoniò in sua difesa. Nessuno osò. Perché ciò che proclamava il Santo Uffizio era legge divina. Anche la maternità le fu strappata: la piccola Francesca, neppure un anno, fu allontanata e poi anch’essa condannata. Perché nata da una strega. Perché “posseduta”.
La sentenza non lasciò spazio a dubbi: al rogo, insieme alla figlia. Ernestina fu definita “donna di malissima vita, pubblica fatucchiera”, e arse sulla pubblica piazza, tra le urla del fuoco e il silenzio dei salvati.
La sua colpa? Saper curare. Essere donna. Essere madre.
Oltre quattro secoli dopo, un altro corpo. Un’altra donna.
Giulianova, gennaio 2025
Il corpo di Fabiana Piccioni, 47 anni, è stato ritrovato carbonizzato in aperta campagna. La scoperta, avvenuta grazie alla segnalazione di alcuni cacciatori, ha scosso l’intera comunità. Fabiana aveva frequentato l’istituto commercio e turismo “I. Poppa” per poi avviarsi verso il mondo del lavoro nel campo dell’estetica. Aveva svolto molta esperienza nel campo del volontariato, una donna conosciuta e apprezzata da molti. Partecipava attivamente alla vita cittadina, offriva il suo tempo e le sue energie a chi ne aveva bisogno.
Era scomparsa da giorni. I familiari avevano lanciato l’allarme subito dopo Capodanno. Poi, il silenzio. E infine, la notizia che nessuno avrebbe voluto ricevere.
Il corpo è stato ritrovato nudo, bruciato, già in decomposizione, in un luogo difficile da raggiungere. È stato un tatuaggio sull’avambraccio a permettere l’identificazione.
Due storie, separate da quattrocento anni, ma unite dalla stessa parola non detta: violenza.
La storia di Ernestina è memoria. Quella di Fabiana è cronaca. Ma in mezzo c’è un’intera cultura da riscrivere, un’intera giustizia da pretendere. Perché le donne non devono più bruciare, né tra le fiamme del rogo, né in quelle dell’indifferenza. La Giulianova del 2025 non è quella del 1619. O almeno, non dovrebbe esserlo. Eppure, il dolore ha lo stesso volto. La solitudine ha lo stesso silenzio. E il fuoco, ancora una volta, racconta quello che la società non sa dire ad alta voce.
«Requiem aeternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis.»