Attualità
È la “galera antistress” l’antidoto per il troppo lavoro in Corea del Sud

I coreani pagano cento euro al giorno per farsi imprigionare in un luogo isolato su una montagna. Godono nell’indossare tute da carcerato, nel dormire per terra e nel nutrirsi di fiocchi d’avena e verdure in salamoia
di Vito Nicola Lacerenza
Nel villaggio sudcoreano di Hongcheon, situato su una montagna vicino alla capitale Seul, c’è un carcere concepito per le persone oneste, gli incensurati. È la galera “Prigione dentro me”, un “mini-penitenziario” con 28 celle di 6 metri quadrati, dotate di finestra con vista su un bosco, di una minuscola scrivania, di rivestimento del pavimento in parquet, di un piccolo lavandino e prive di letto. Si dorme per terra. Sono centinaia i coreani che ogni mese scelgono di farsi rinchiudere in una delle anguste celle, pagando quasi 100 euro a notte. Non lo fanno per svago e neppure per masochismo, ma per trovare un poco di tranquillità, un po’ di tempo per riflettere. Un vero privilegio nella frenetica Corea del Sud, dove una persona lavora in media più di 2.000 ore all’anno. In Europa la media è di circa 1.700 ore. Lo stress lavorativo spinge moltissimi coreani a togliersi la vita.
La Corea del Sud è tra i dieci Paesi al mondo con il più alto tasso di suicidi. In un tale contesto, il carcere di isolamento in un luogo in cima a un monte, oltre ad apparire come una sorta di terapia antistress, può risultare un’esperienza gradevole. «E’ un ambiente soffocante, perché la cella è stretta- ha detto Park Woo-sub, un “ex detenuto” di “prigione dentro me”- ma c’è da dire che questo angusto luogo mi ha dato la possibilità di guardare dentro di me e di parlare a me stesso. Quando sono uscito dalla cella la mia mente era libera» dalle solite distrazioni della vita quotidiana, grazie allo stile di vita spartano a cui vengono sottoposti i reclusi. I carcerati devono indossare una tuta da detenuto di colore blu e consegnare i cellulari agli operatori del carcere. La loro dieta è povera e composta da cibi quasi insapore: fiocchi d’avena e verdure in salamoia. Un regime punitivo, ma “al punto giusto”. Quanto basta per permettere ai “detenuti” di “pensare alla propria vita passata”. «Spero che questa esperienza offra alla gente la possibilità di riflettere su sé stessi- ha detto Kwon Yong-Seok, il fondatore della singolare prigione- Io qualche volta guardo indietro al mio passato e capisco meglio dove mi trovo ora, capisco il mio presente. La gente pensa solo ad andare avanti, a tirare dritto per la sua strada. Invece abbiamo bisogno di guardarci indietro».