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Attualità

Strage di migranti nel foggiano

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Tempo di lettura: 3 minuti

Erano lavoratori stagionali. Migranti irregolari giunti in Italia con la speranza di una vita migliore sono divenuti schiavi del caporalato.

di  Vito Nicola Lacerenza

Un vecchio furgoncino che trasportava 14 migranti irregolari africani si è schiantato contro un tir e 12 degli gli occupanti sono deceduti. Solo due si sono salvati ma sono rimasti seriamente feriti e sono ricoverati in un ospedale di Foggia. Il grave incidente è avvenuto in una strada vicino Foggia e gli extracomunitari erano stati prelevati dal “caporale” nei campi dove avevano per l’intera giornata raccolto.

Lavoravano per guadagnare 5 euro al giorno e per avere “diritto” ad un misero materasso in una baracca affollata. La strage ha spinto i  braccianti agricoli africani a manifestare a Foggia per chiedere più diritti, per urlare alla società che sono “esseri umani, non carne da macello”. Nell’Europa del 2018 la parola “schiavitù” viene per lo più relegata nei libri di storia o in zone remote del mondo lontane dalla civilissima Europa, dove invece è possibile assistere a scene che ricordano i secoli bui del colonialismo.

Nelle campagne pugliesi e lucane è facile vedere extracomunitari impegnati intere giornate a raccogliere pomodori. Denutriti, esausti e privati anche dell’acque in queste giornate torride, immigrati clandestini provenienti dal Congo, Nigeria, Eritrea, Gambia, Senegal,accettano di raccogliere i pomodori per un tozzo di pane pur di sopravvivere in una società da cui speravano di essere accolti e integrati. Speranze che a volte annegano nel sudore dei braccianti che, stravolti dal pesante lavoro, spesso stramazzano al suolo in preda alle convulsioni, sotto lo sguardo indifferente dei caporali, quest’ultimi veri e propri “negrieri” dei tempi odierni. Anche loro sono immigrati clandestini provenienti dall’Africa. A distinguerli dai loro conterranei è il fatto di possedere un mezzo di locomozione, obsoleto e usurato, con cui trasportano avanti e indietro i braccianti, che dipendono interamente da lui. È il caporale che porta gli africani a lavoro, è lui che li riporta a casa.

Il caporale è colui che conosce meglio l’italiano e la realtà locale e perciò fa da intermediario tra i braccianti e gli agricoltori italiani, intenzionati a pagarli il meno possibile. Quanto basta affinché possano sfamarsi e pagare il caporale che, altrimenti, li lascerebbe a piedi o non li porterebbe in ospedale in caso di necessità. Per molti braccianti africani è quasi impossibile sfuggire da questa forma di sfruttamento senza rischiare di morire di fame o subire violenza. Una situazione  per certi versi analoga a quella dei loro antenati. In un articolo pubblicato sul New York Times il 21 agosto 1903, il giornalista inglese Edmund D. Morel ha descritto le condizioni in cui vivevano i lavoratori impiegati  per la raccolta della gomma nell’allora Congo Belga.

Trascorrevano le giornate a raccogliere quanta più gomma possibile per avere diritto a un po’ di cibo ed erano sorvegliati da guardiani, che erano loro connazionali che facevano affari coi coloni europei. Rispetto ai caporali di oggi, i guardiani dell’epoca erano in grado di commettere atti di inaudita brutalità pur di “fare bella figura” con l’ “elite dei bianchi”: a volte riempivano le ceste di mani e orecchie di braccianti puniti perché ritenuti “troppo lenti” nel lavoro. Allora l’occidente non aveva ancora sperimentato l’orrore provocato dalle leggi razziali e la dichiarazione universale dei diritti umani sarebbe stata inconcepibile nell’era del colonialismo. Ma oggi, in un’Europa Unita fondata sulla pace tra i popoli e sui diritti universali dell’uomo, è sufficiente il ricordo sbiadito del passato coloniale, il caporalato, per suscitare sgomento nell’opinione pubblica.

Oggi più che mai restio ad accogliere i rifugiati provenienti dall’Africa, continente delle cui risorse l’Europa si è servita per secoli. Gli storici sono concordi nell’affermare che, senza le miniere, le piantagioni e gli schiavi africani, sarebbe stato impossibile per l’Europa far fiorire la sua economia e la sua società, a cui ora gli africani chiedono di far parte.

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