Attualità
Béla Kiss, il Mostro di Czinkota, può considerarsi l’unico fautore del delitto perfetto

La sua storia è degna di un thriller di prim’ordine: storie d’amore, inganni, omicidi, occultamenti di corpi, adescamenti, scambi d’identità, nomi fittizi, fughe precipitose, sfide alla polizia, finte morti e avvistamenti.
Tante sono state nel tempo le definizioni di delitto perfetto, tra chi sostiene che non possa essere commesso e chi dice, invece, che tutti i delitti rimasti irrisolti siano da considerarsi perfetti a causa dell’impunità dei loro autori. Chi ha tirato in ballo la volontà di compierlo pianificandone la perfezione e chi ne ha sottolineato, d’altro canto, la sfida al sistema e alle forze dell’ordine in una sorta di gara d’intelligenza. Ci hanno dedicato film e romanzi, ipotesi e teorie. Ma, in definitiva, c’è mai stato nella storia qualcuno che ha compiuto il delitto perfetto, o che ci è andato almeno vicino, riuscendo a rientrare in tutte le categorie ipotizzate?
La risposta è sì e il suo nome è Béla Kiss, un serial killer ungherese vissuto agli inizi del ‘900, autore di 24 omicidi riconosciuti. La sua particolarità? Tutti sapevano chi era, ma nessuno lo ha mai preso.
La sua storia è degna di un thriller di prim’ordine: storie d’amore, inganni, omicidi, occultamenti di corpi, adescamenti, scambi d’identità, nomi fittizi, fughe precipitose, sfide alla polizia, finte morti e avvistamenti.
Siamo nel 1912 quando Kiss sposa la giovane Mària con la quale vive a Cinkota, un paesello dell’Ungheria. Qui è considerato un uomo gentile, un onesto lavoratore, tanto da fare amicizia con il capo della polizia, il detective Kàrtoly Nagy. Facendo il lattoniere, Kiss è spesso a Budapest per lavoro e passa anche diversi giorni fuori casa. Presto scopre che la moglie lo tradisce in sua assenza con tale Pàl Bihari, fatto questo già ampiamente noto agli abitanti di Cinkota.
Nessuno si stupisce più di tanto, dunque, quando Kiss annuncia che la moglie è scappata con l’amante, così come nessuno si sorprende se Kiss, dopo qualche tempo, inizia a invitare a casa un certo numero di donne, frequentazioni queste che durano però sempre troppo poco. Nulla di strano in apparenza, anche se c’è un fatto che insospettisce Nagy, l’amico poliziotto: Kiss sta accumulando parecchi bidoni di metallo nel proprio scantinato. Il capo della polizia, credendo che l’amico stia contrabbandando liquori, lo mette con le spalle al muro, ma alla domanda di cosa intendesse farci con quei bidoni, Kiss risponde che, in vista dell’approssimarsi della sempre più probabile guerra, aveva deciso di fare scorte di petrolio, fondamentale per sopravvivere in caso di conflitto. Una giustificazione più che plausibile, in quanto accumulare beni di prima necessità in periodo bellico è tutt’oggi cosa molto comune.
Nello stesso periodo, a Budapest, la polizia sta indagando sulla sparizione di due vedove. Di loro si sa solamente che sono andate a trovare entrambe un conoscente di nome Hoffmann.
Siamo intanto arrivati al 1914 e Kiss viene arruolato nell’esercito ungherese e inviato al fronte. Due anni dopo arriva la notizia che Kiss, ferito in battaglia, sia poi morto in un ospedale nella Serbia orientale. Il mese successivo alla notizia, un drappello di soldati chiede a Nagy, il capo della polizia di Cinkota, rifornimenti di petrolio. Questi, ricordandosi delle scorte accumulate dall’ormai defunto Kiss, decide di recuperare I bidoni dell’amico scomparso. All’apertura dei sette fusti stipati in cantina la verità viene a galla, così come i cadaveri sotto spirito di diverse donne nude morte strangolate.
Allo sconcerto iniziale, non si fanno attendere ulteriori indagini nella casa di Kiss. La perquisizione porta alla luce, oltre a gioielli e vestiti femminili, anche un album fotografico con foto di un centinaio di donne e parecchie lettere di signore alla ricerca di una sistemazione stabile, che avevano risposto a un’inserzione pubblicata su di un quotidiano da un certo Hoffmann “Vedovo solitario in cerca di compagnia femminile”. Nelle campagne circostanti vengono poi ritrovati altri 17 bidoni con contenuto simile ai precedenti, tra i quali però spiccano i corpi della moglie di Kiss e del suo amante, primi a morire, vittime di un delitto d’onore, a cui era seguita quella parabola ascendente di sangue compiuta da Kiss in nome forse di una vendetta generalizzata nei confronti del genere femminile.
Come detto, viene tutto a galla: a seguito della scoperta del tradimento della moglie, Kiss aveva ucciso prima lei, stordendola e strangolandola con una garrota usando tanta forza da scarnificarle il collo, e successivamente l’amante di questa, che subì il medesimo trattamento. Occultati i cadaveri in due fusti pieni d’alcool, li aveva trasportati nelle campagne e lì abbandonati. Da quel momento, Kiss aveva iniziato a pubblicare le inserzioni sotto lo pseudonimo di Hoffmann o, in altri casi, di Elemér e, prevedendo di compiere altri delitti, si era procurato ulteriori bidoni. Dalle lettere rinvenute nella casa risulta che il signor Hoffmann avesse ricevuto 174 proposte di matrimonio, accettandone 74, con le quali aveva poi intrattenuto rapporti epistolari.
Le donne adescate cadono quindi nella sua trappola una dopo l’altra. Ne vengono accertate 24, pur essendo sospettato di almeno 30 delitti. Il modus operandi è sempre lo stesso: stordire, strangolare con la garrota, occultare il cadavere in un bidone pieno d’alcol che temporaneamente viene depositato in cantina, nel pollaio o nella legnaia, per poi essere trasportato nelle campagne o nei boschi della zona. Cadono così, oltre alla moglie e all’amante, anche Katalin Varga, la signora Schmeidak, Margit Tòth, Julianna Paschak ed Erzsébet Komàromi, uniche altre vittime identificate. Proprio la scomparsa di queste ultime due aveva fatto partire l’indagine di Budapest, ma a quel punto l’intervento della polizia risulta ovviamente tardivo: Kiss è al fronte, oltretutto dato per morto.
Ne viene riesumato il corpo e si scopre che Kiss non è mai realmente deceduto. Non appena la sua storia aveva iniziato a circolare in tutta l’Ungheria, lui aveva intelligentemente scambiato la propria identità al fronte con un quella di un soldato morto in battaglia. Ora Kiss è ufficialmente un latitante.
Il caso si riapre diverse volte negli anni grazie ad alcuni avvistamenti o notizie di Kiss non sempre verificate. Si parla ad esempio di una sua possibile prigionia in Romania per furto con scasso o di una presunta morte da febbre gialla contratta in Turchia. Solo nel 1919 si ha però la certezza che Kiss sia ancora là fuori, quando viene avvistato su un ponte di Budapest, vivo e vegeto. L’anno successivo si ha un’ulteriore conferma dei suoi spostamenti, quando un soldato francese disertore dalla legione straniera confessa alla polizia di aver conosciuto un legionario, tale Herr Hoffmann, che si vantava, intorno al fuoco dei bivacchi, di come fosse bravo a strangolare donne con una garrota. Ancora una volta la polizia arriva tardi, Kiss si è dileguato da tempo.
Lo ritroviamo poi nel 1932 a New York, riconosciuto e pedinato da un poliziotto, Henry Oswald, mentre esce dalla metropolitana di Time Square. Accortosi però di essere spiato, Kiss riesce ancora una volta a scomparire tra la folla. Ultima apparizione in ordine di tempo si ha ancora in Ungheria nel 1936, dove un informatore della polizia, afferma che Kiss lavori come portiere, custode e bidello in uno stabile. Per la quarta volta nella sua vita, forse per un formidabile sesto senso o semplicemente per pura fortuna, Kiss riesce a dileguarsi prima dell’arrivo dei poliziotti, scomparendo nel nulla una volta per tutte.
Questi gli eventi, dai quali traspare come ci si trovi di fronte a un autore di delitto praticamente perfetto che è riuscito con astuzia e opportunismo a coniugare molte delle caratteristiche teoriche che ci si aspetta da un perfetto killer: è rimasto impunito, vincendo più di una volta la sfida con le forze dell’ordine e rimanendo sempre un passo avanti a chi lo ha cercato; è riuscito a mettere in pratica una pianificazione perfetta in tutte le fasi di adescamento, uccisione, occultamento dei cadaveri, depistaggio e manipolazione della realtà; in tutti i delitti, poi, ha sempre agito da solo, evitando quindi di coinvolgere possibili delatori o traditori, così come non ha mai usato armi bianche o da fuoco, più facilmente rintracciabili rispetto alla garrota di cui si serviva; l’occultamento dei cadaveri nei barili è ingegnoso e la giustificazione che dà del loro accumulo lo mette al sicuro da domande scomode persino all’occhio attento e sospettoso di un poliziotto, un ulteriore atto evidente di sfida all’intelligenza della polizia, inoltre in questo modo non deve preoccuparsi di eventuali tracce biologiche lasciate sulle vittima, in quanto i cadaveri non sarebbero mai stati trovati e analizzati; allo stesso modo, non ha bisogno di costruirsi alcun alibi, risolvendo il problema delle sparizioni simulando la fuga delle prime due vittime (la moglie e l’amante di questa) e collegando le altre a tale Hoffmann e non a sé; l’uso di identità fittizie, prima nelle inserzioni e in seguito nella legione straniera, così come lo scambio di identità con il soldato morto, costituiscono depistaggi perfetti per confondere le acque, sviare e rallentare le indagini su di lui; infine la miglior prova della perfezione dei suoi delitti è il fatto che sia stato recidivo più e più volte senza mai commettere un errore, ma rimanendo fedele ad un modus operandi efficace quanto efficiente.
Da ultimo Kiss ha saputo approfittare, nella commissione dei suoi delitti perfetti, del contesto storico ed economico in cui viveva: in periodi di guerra esistono situazioni d’emergenza, caos, e disordine tali che un criminale può agire più facilmente. Le forze dell’ordine operano con organici ridotti all’essenziale in quanto gli uomini validi sono al fronte, e con fondi ridotti all’osso. In un contesto bellico poi, la scomparsa di una singola persona perde quella rilevanza e quel carattere di eccezionalità, evidente in tempo di pace, perché la guerra favorisce gli spostamenti, così che i normali rapporti di conoscenza e parentela si sfibrano anche per anni, tanto da far passare la scomparsa di qualcuno inosservata.
Ma quindi possiamo dire che Kiss sia riuscito a compiere il delitto perfetto (anzi, i delitti perfetti)? La risposta sarebbe un pieno sì, se non fosse per un piccolo dettaglio, qualcosa contro cui anche il più perfetto e pianificatore degli assassini non può nulla: la casualità. Già, per puro caso l’unico poliziotto che sapeva dei bidoni di Kiss, all’apparenza pieni di petrolio, è stato anche il poliziotto a cui si sono rivolti alcuni soldati per un rifornimento proprio di quel prezioso bene. Kiss avrebbe, dal canto suo, potuto scongiurare il ritrovamento dei bidoni, spostandoli subito nei boschi, ma l’urgenza della chiamata alla armi non gliene ha dato evidentemente il tempo. La casualità ha vinto contro la perfezione. È così che è stato scoperto Kiss, altrimenti nessuno avrebbe mai guardato in quei bidoni e i suoi delitti sarebbero andati ad aumentare il cosiddetto “numero oscuro”, cifra che in criminologia indica l’ammontare dei reati che non risulta dalle fonti ufficiali, cioè quei reati che passano inosservati anche alle stesse forze dell’ordine o che non vengono denunciati da nessuno.
Eppure, forse, proprio il fatto che tutti sapevano chi fosse e cosa avesse fatto Kiss, ma nessuno sia mai riuscito a catturarlo, rende i suoi delitti perfetti. Perché che gusto ci sarebbe a compiere il delitto perfetto senza che nessuno lo sappia, senza poterlo confessare a qualcuno, senza potersi godere le lodi per un lavoro tanto efficente, senza poter avere un degno avversario con cui confrontarsi. Kiss in questo ha vinto su tutta la linea, non c’è dubbio.