Attualità
Adamo Romano: il Maledizioni dei vizi e primo AI artist italiano

A tu per tu (digital) con Adamo Romano, primo AI artist italiano che, con il nickname Maledizioni, ha reso virali difetti e vizi su Instagram.
“Adamo era un uomo singolare, tra i molti interessi amava fare divertire le persone con l’AI unendo disegno e parole, focalizzandosi su sfaccettature e difetti della natura umana.
Ma in realtà non sapeva che questo status quo gli sarebbe valso una vita a maledire le richieste da centro smistamento immagini e le emoji zucchine dei bot”.
Ce lo immaginiamo così Adamo Romano su un contenuto generato dall’intelligenza artificiale, possibilmente vestito da imperatore di Svezia con medaglie al valore alla risata. L’imprenditore nato a Torre Annunziata, in un anno non ben definito, è il primo AI artist d’Italia conosciuto con il nickname Maledizioni, la cui pagina Instagram con manuali e fumetti caustici vanta 428 mila follower. Osservatore insaziabile di vizi e difetti del genere umano, la carriera come creatore di contenuti spicca il volo con il gufetto dispettoso di Io ti maledico, per poi trovarsi con lo strumento giusto (l’AI) al momento giusto. Oltre ai contenuti digitali, ha pure all’attivo 4 libri di intrattenimento illustrato Maledizionario I e Maledizionario II (Panini comics), Cosa rispondere a quei dannati filosofi (Tlon) e Domani è un altro giorno del ca..o (Mondadori).
Una creativo, dunque, in cerca sempre di nuovi spunti comunicativi, anche se sopravvivere e arrivare a 80 anni alla pensione è il vero purpose di Adamo, che ci ha parlato dei contenuti virali disegnati con le parole e svelato il modo per riconoscere un’opera generata dall’AI.
Un consiglio? Siate sempre all’erta, perché l’occhio di Maledizioni is watching you, infatti al suo radar non sfuggono i commenti più strambi delle community e gli atteggiamenti particolari di influencer.
Che tipo di persona sei?
«Stranissima, come tutte le persone al mondo».
Che studi hai fatto?
«Purtroppo, sono laureato in giurisprudenza. Il perché chiedilo a chi si è laureato in giurisprudenza».
Avvocato, influencer, autore, fondatore e creatore di ogni tipo di produzione, si legge di te sul web. Qual è il mestiere per il quale vorresti essere identificato?
«Mai stato avvocato. Mi piacerebbe essere identificato come Imperatore di Svezia! (ride) È difficile a dirsi, perché sono un imprenditore, ho tanti progetti in ballo e cose diversissime tra loro. Sul web sono conosciuto come AI artist (quasi un neologismo), perché sono sempre stato appassionato di tecnologia e ho avuto il culo di avvicinarmi, prima degli altri, all’intelligenza artificiale. Che io sappia, sono stato tra i primi a sperimentare la generazione di immagini attraverso le intelligenze artificiali e i modelli di linguaggio».
Quando nasce la passione per la creazione dei contenuti?
«Penso circa 4- 5 anni fa per curiosità, che è quella che muove il 90/95% delle cose che faccio, a parte il sonno. E anche la voglia di risposte a domande che mi pongo da solo e che recepisco, magari, dall’ambiente intorno a me».

Uno dei manuali di Maledizioni
La tua prima creazione con l’intelligenza artificiale?
«Chi se la ricorda! Sarà stato sicuramente un obbrobrio, è così quando hai uno strumento nuovo e non sai come funziona. Sarà stato sicuramente qualcosa di inqualificabile».
Cosa rappresenta l’intelligenza artificiale nel tuo processo creativo?
«È una parte fondamentale perché oltre a essere comunque una conseguenza di un’idea o un pensiero, si integra essa stessa nel processo creativo. Attualmente l’intelligenza artificiale non è la perfetta realizzazione di un’idea, ma una bozza talvolta diversissima dall’idea di partenza; però quella bozza, a sua volta, è un suggerimento per un altro pensiero. Di conseguenza, più che uno strumento creativo è una vera e propria estensione del processo creativo che ti aiuta poi a ottenere un risultato grafico».
Pro e contro del suo uso per i tuoi contenuti?
«Attualmente i pro sono quasi tutti. Non so disegnare, non sono in grado nemmeno di tenere una matita in mano per scrivere il mio nome probabilmente, però grazie a questo strumento ho potuto mettere su immagine le cose che pensavo da tempo e che non avrei mai potuto realizzare. Un’evoluzione, che ha permesso a persone come me di andare oltre questo gap e realizzare ciò che vuoi più facilmente e poterlo fare in contesti in cui magari non sei in grado».
Hanno fatto il giro del web le opere del Papa con un piumino Moncler o di Trump arrestato create con l’intelligenza artificiale generativa, ritenute vere da molti utenti. Pensi sia stato superato troppo il confine tra realtà e finzione o è la capacità critica che stiamo perdendo?
«Secondo me, da dopo l’invenzione del cinema l’umanità è condannata! (sto scherzando)
Il limite tra immaginazione e realtà è qualcosa che l’essere umano tende a superare da quando è sulla faccia della terra ed è ciò che ha permesso all’uomo di evolversi come specie. Da quando esistiamo, tutti gli esseri umani hanno provato a realizzare ciò che avevano in mente, di conseguenza ciò che è reale o meno è una questione di applicazione.
Poi che il Papa non abbia mai indossato il moncler è tutto da vedere, così come Trump non è sia mai stato arrestato, quando invece è stato condannato. A parte questo, anche la foto non è una cosa reale. È una raffigurazione di qualcosa che è avvenuto. Guardi dei pixel messi in un determinato modo per dare al tuo cervello l’input di immaginare che quello sia il Papa vestito in un determinato modo. Non c’è nulla di diverso, sono segnali che arrivano al cervello. Lo so è un pensiero relativista, ma in realtà il problema non è mai la tecnologia, ma la percezione che se ne ha».

Un fumetto di Maledizioni
Potresti darci delle dritte per riconoscere un’opera realizzata con l’intelligenza artificiale?
«In generale, ci sono degli strumenti per riconoscere se un’immagine rappresenta qualcosa avvenuto nella realtà o una rielaborazione su base statistica da AI. A parte questo, la prima cosa che mi verrebbe in mente è guardare i difetti dell’immagine, perché tutt’oggi anche quando si tratta di disegni ci sono delle imperfezioni tangibili. È molto affascinante notare un parallelismo con ciò che avveniva con i pittori del Medioevo o Rinascimento che si facevano pagare molto di più quando dovevano dipingere le mani.
Infatti, farsi dipingere con le mani in vista era un segno distintivo della nobiltà perché le mani erano difficili da fare. Le intelligenze artificiali hanno questa medesima difficoltà, le mani non sempre vengono bene e ci metti tempo in più per fare venire un’immagine generata con le dita tutte al loro posto. A volte, saltano fuori protuberanze tentacolari alla fine del polso. Quello potrebbe essere un elemento da guardare immediatamente; per il resto, diventerà sempre più difficile notare la differenza».
Da cosa prendi ispirazione per un tuo contenuto?
«Prendo molto spunto da ciò che accade sul web: pagine, community e influencer, notizie e soprattutto i commenti che leggo sotto i post. C’è sempre qualcosa che mi dà uno spunto di riflessione sulla natura umana, i nostri difetti e piccolezze e cerco di fare in modo che, chi fruisce del contenuto ironico, possa immedesimarsi e rivedere i suoi difetti e vizi, ridendoci sopra».
“Disegni con le parole” dici nella tua bio Instagram. Come sei arrivato a questo binomio e in cosa consiste la sua forza?
«Sembra un ossimoro o più poetico di quanto non sia però è ciò che faccio: scrivo ed esce l’immagine. Genero descrizioni che perfeziono, talvolta lunghissime e talvolta di culo mi riescono al primo risultato e sono contento. Faccio un minimo di editing, correggo con tablet per aggiungere un tocco personale ed esce fuori l’immagine. È il nuovo modo di creare comunicazione attraverso le parole. Se prima le parole venivano usate per scrivere libri, discorsi, testi delle canzoni ora abbiamo un’opportunità in più, possono essere usate per disegnare».
Se dovessi creare un’opera su di te, quali parole useresti?
«Non me la genererebbe, perché ci sarebbe la censura e i carabinieri arriverebbero a me».
Cosa accomuna tutti i tuoi fumetti?
«Il sarcasmo e la banalità. Certe circostanze le trovo banali e ovvie. Il problema non sono io, ma sono gli altri che mettono “mi piace”. È raro che faccio qualcosa di cui sono estremamente convinto ma quando succede e mi dico “Ho fatto qualcosa di innovativo e diverso dal comune” solitamente, non se lo guarda nessuno. Se vai oltre i 50.000 mi piace per me è una stronzata e per gli altri è geniale, e viceversa. È il karma!».
La viralità, dunque, è anche una caratteristica dei tuoi contenuti. Cosa deve avere secondo te un contenuto per essere tale?
«Dalla mia esperienza, quando al centro del contenuto non c’è il contenuto e l’autore, ma chi ne fruisce: il lettore. Se trovi il modo di mettere al centro della tua creazione artistica, commerciale, ecc.. la persona che lo legge, il contenuto ha buone chance di diventare virale. Non parlo di viralità meccanica (la condivisione), ma di approvazione, essere d’accordo con quello che dici. Sempre se ti interessa che diventi virale, perché la viralità non è tutto».
Però nel 2014 a Millionaire per l’idea “Io ti maledico” dichiari che «La mia tecnica infallibile è creare qualcosa che diverte me per primo».
«Non capivo un cazzo nel 2014. Qualunque cosa abbia detto fino al 2018/2019 non considerare niente. Anche la data di nascita è in dubbio».
Vivi la tua vita con il nickname Maledizioni. Quando si è manifestato per la prima volta?
«È stata un’idea sfigattissima, perché dopo “Io ti maledico” volevo creare una sorta di continuità e ho creato il nickname Maledizione che al singolare era già preso, così ho scelto Maledizioni. Ho pensato: “Chi se ne frega, tanto chi mi considera”. E invece con il senno di poi…».
In cosa consiste il successo di Maledizioni?
«Non lo so. Forse dal fatto che le persone si sentono “purtroppo” considerate, perché dai messaggi che mi arrivano sembro quasi un centro smistamento immagini. Mi dicono: “Me ne fai una così o così?».
Il messaggio più strano che ti è arrivato?
«Valgono i bot che ti chiedono di scrivere “ciao” per crescere di 20000 follower? Sono i più strani, insieme a quelli “guarda la mia storia” e l’emoji della zucchina. Più strani di quelli non esistono».
Se putacaso Adamo Romano vincesse il premio Nobel per la letteratura, con quale “manuale” di Maledizioni sarebbe?
«“Dove sono finiti tutti quanti?”, perché probabilmente sarei l’ultimo uomo rimasto sula terra se succedesse e il premio me lo sarei autoassegnato».