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Riforma della Rai: più efficienza o limitazione del pluralismo?

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Alessandro Gioia: “è estremamente importante comprendere quali siano le implicazioni della Riforma Renzi in termini di pluralismo efficienza, poiché la Rai non è un’azienda qualsiasi ma, al contrario, rappresenta la principale industria culturale del Paese”

a cura di Ilaria Nespoli

Riforma della RaiRoma, 25 Marzo – Il 17 marzo scorso nella sede nazionale della LIDU Onlus si è svolto il convegno dal titolo “Riforma della Rai: più efficienza o limitazione al pluralismo?”. L’evento, organizzato dal Comitato romano della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, è stata un’importante occasione per discutere sulle implicazioni della Legge n. 220 del 28/12/2015, che sta apportando rilevanti modifiche alla Rai e al servizio pubblico radiotelevisivo. Come evidenziato da Alessandro Gioia, Presidente del Comitato romano della LIDU ed ideatore del convegno, è estremamente importante comprendere quali siano le implicazioni della Riforma Renzi in termini di pluralismo efficienza, poiché la Rai non è un’azienda qualsiasi ma, al contrario, rappresenta la principale industria culturale del Paese con ben 12 mila dipendenti, 21 sedi regionali ed 8 testate giornalistiche. Quindi la riflessione sulla Legge di Riforma si è servita di tre interessanti contributi, estremamente significativi proprio perché molto eterogenei fra loro: il primo è un intervento di Salvatore Guzzi, Docente presso I.S.S.P.L. Università Parthenope di Napoli, il quale ha analizzato la genesi del fenomeno radiotelevisivo pubblico sia a livello statale, sia alla luce della giurisprudenza della Corte Edu, muovendo dalla sua opera dal titolo “Servizio radiotelevisivo pubblico e libertà di informazione nel diritto internazionale” presentata nel corso del convegno. Soffermandosi sulle sentenze della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Guizzi ha sottolineato come essa fosse intervenuta nella materia, affermando l’indispensabilità di una deroga alle regole della concorrenza dapprima con riguardo ai maggiori oneri di cui si fa carico il gestore del servizio, poi con riferimento ai i valori non economici sanciti dall’art.10 della Cedu quali: la promozione dei valori culturali e democratici, la pluralità di voci e la libertà d’informazione. Tali valori, peraltro, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, hanno assunto pari dignità rispetto alle quattro libertà fondamentali (la libera circolazione delle persone, merci, dei servizi e dei capitali) tanto da far venir meno il  rapporto deroga-regola. Allo stesso modo Guzzi ha posto in rilevo come il ruolo del settore pubblico nella gestione del servizio radiotelevisivo può avere ancora senso solo se esso mira a garantire un accesso al mezzo e una produzione di contenuti il più pluralista possibile ed una promozione dei valori culturali e dei nuovi trend artistici. Altrimenti l’organizzazione dell’attività radiotelevisiva sotto forma di servizio pubblico erogato direttamente dallo Stato si riduce a un mero controllo dei contenuti, in vista del mantenimento dello status quo governativo, che se prima era giustificato dalla scarsità di frequenze radiotelevisive che diveniva giustificazione del monopolio statale, oggi diviene sempre più palese a fronte del progresso tecnologico che ha reso le frequenze pressoché illimitate. Si tratta, infatti, di valori che il mercato e la tv commerciale soprattutto – come evidenziato dall’intervento del Vicepresidente della LIDU,  Riccardo Scarpa – spesso non è in grado di tutelare, tendendo per sua natura a una standardizzazione dei contenuti. Di stampo completamente opposto rispetto all’intervento di Salvatore Guzzi, la relazione dello psichiatra Domenico Mazzullo, dal titolo evocativo “Grazie Rai”. Egli, ripercorrendo le prime trasmissioni di quella che ha definito l’“unica compagna di vita”, la Televisione, ha evidenziato come la Rai abbia saputo creare una coscienza di italianità venuta dal basso e mai ripetuta. Entrando nel vivo della Riforma Renzi, essa presenta aspetti controversi legati in particolare all’elezione del Consiglio d’Amministrazione della Rai, in cui su sette membri sei saranno eletti dalla maggioranza governativa (due dalla Camera, due dal Senato e due dal Governo) e uno dall’assemblea dei lavoratori in Rai da almeno tre anni ed iscritti alle maggiori organizzazioni sindacali. Ecco che quindi la caratteristica della Rai, quale patrimonio di tutti gli italiani rischi di essere messa in discussione, come sottolineato da Gioia. Testimone diretto della fase di transizione che sta vivendo la Rai in seguito all’entrata in vigore della Legge di Riforma è senza dubbio Arturo Diaconale, membro del CDA eletto lo scorso 15 luglio 2015 dai voti riservati all’opposizione. Egli ha parlato del suo ruolo di “vigilanza critica contro quella monocultura che si manifesta nei telegiornali ed è sempre più specchio  di quel tipo di democrazia blindata che si è andata sviluppando in tutto il Paese”. A proposito della Legge n. 220 entrata in vigore lo scorso dicembre, Diaconale sottolinea come essa sia di questa tendenza verso l’omologazione che tutti noi dobbiamo combattere per avere una visione completa della società. In questa lotta, secondo Diaconale, la Lidu può svolgere una funzione di controllo critico, non può e non deve limitarsi ad una generica affermazione di principi ma deve entrare nella vivo della battaglia per evitare che la Rai cessi di essere specchio del pluralismo ma solo di una parte del paese.

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