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Quelle idee confuse sul crowdfunding

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Il crowdfunding è uno strumento della finanza alternativa, promosso dalle persone comuni, la cosidetta CROWD

311Roma, 4 Maggio – Se ne sente parlare da ovunque e da chiunque, ma cosa sia il crowdfunding a cosa serve e le sue potenzialità, gli italiani non lo hanno ancora capito. Come ogni nuovo fenomeno tutti ne parlano, ma con quale competenza? Partiamo dal fatto che è NUOVO, quindi non ci possono essere competenze consolidate italiane, dove il crowdfunding ha una storia giovane. Occorre guardare all’estero per forza. Ma occorre anche fare un passo indietro e definire cosa è. Il crowdfunding è uno strumento della finanza alternativa, promosso dalle persone comuni, la cosidetta CROWD. Ecco il lemma del termine che poi si sposa con FUNDING, cioè fondi. Ma è tutto uguale il crowdfunding? Assolutamente no, non lo è né nelle tipologie, né nelle caratteristiche. In Italia la parte tipicamente destinata alla raccolta fondi per operazioni di finanza “classica”, cioè di fondi/finanziamenti per progetti imprenditoriali è normata dal regolamento CONSOB http://www.consob.it/documents/46180/46181/d19520.pdf/33819fc1-4338-450e-b055-183f089111cc

Questa tipologia di crowdfunding si divide in equity crowdfunding e lending crowdfunding. In entrambi i casi possiamo dire che si tratta di prestiti (equity) e obbligazioni (lending), che attivano una relazione tra le persone di carattere contrattuale. Si diventa soci di un’attività, quindi il capitale diventa a rischio, come è normale che sia in attività con rischio imprenditoriale. Questo tipo di fondi viene raccolto da aziende specializzate iscritte ad un apposito Albo professionale della CONSOB, sono degli intermediatori finanziari. E il civic crowdfunding? E’ lo strumento più potente, perché la crowd (folla, persone) siamo tutti noi: tutti gli abitanti del pianeta. Si è portati a dire “facile, ma mica tutti hanno soldi da donare”, questa riflessione è impropria, perché seppur vero che esiste un considerevole numero di persone addirittura al di sotto della soglia minima di povertà, esistono milioni di persone per cui fare una micro donazione è possibile. Micro-donazione: è proprio questa la chiave e la potenza del civic crowdfunding. Si tratta infatti di partecipare a progetti (mai di ripianamento debitorio) con micro-donazioni, tipicamente 2, 5, 10 euro, dollari, sterline. Ed è la somma di queste micro- donazioni che consente di raggiungere il budget necessario per la realizzazione del progetto proposto alla crowd. Mentre nei casi dell’equity e del lending crowdfunding, è previsto il rimborso la partecipazione agli utili ed il rimborso del prestito, nel civic crowdfunding si tratta di una vera e propria donazione che non verrà mai rimborsata. Ricordiamoci tutti che la donazione (anche micro) è un atto liberale e non condizionato da alcun genere di ritorno economico. La consuetudine internazionale fa si che siano previste delle reward, ricompense di modesto valore, spesso morali e/o digitali, perché comunque sia la ricompensa è un costo (anche di spedizione). Nei casi di progetti che prevedono la creazione di prodotti (es. un libro) la reward consiste in una facilitazione all’acquisto, come ad esempio ad uno sconto sul prezzo di copertina del libro. Tra i termini misteriosi del civic crowdfunding, ci sono i termini “Keep it all” e “all or nothing”. Sono le modalità con cui lavorano le piattaforme di raccolta fondi, ovvero nel primo caso la piattaforma versa al progettista qualunque somma sia stata raccolta (keep it all), indipendentemente dal fatto che l’obiettivo sia stato raggiunto. Mentre con “all or nothing”, la piattaforma provvederà ad accettare le donazioni e a girarle al progettista, solo nel caso che sia stata raggiunta o superata la somma fissata. E’ bene sapere che in entrambi i casi, le somme sono decurtate di piccole fee che sono il compenso per la piattaforma. Come fare sapere alla crowd, al mondo di un progetto in cerca di sostenitori? La disponibilità su larga scala delle tecnologie, in particolare di smartphone e tablet, e degli strumenti di social media, consente di fare volare i progetti nella rete e in tutto il mondo, utilizzando i social media (Facebook, Twitter, Linkedin principalmente)  renderlo così  virale. E’ il vecchio passaparola che allarga la platea dei donatori e abbatte le frontiere geografiche: nulla, infatti, impedisce che persone dall’altra parte del globo trovino giusto e meritevole il nostro progetto e viceversa. Un altro termine di cui oggi sentiamo spesso parlare è lo storytelling; anche qui bisogna sfatare una leggenda metropolitana, perché tutti siamo in grado di fare uno storytelling. In pratica si deve raccontare la storia del progetto, in modo empatico, chiaro e non troppo lungo e gli strumenti per farlo, sono di uso quotidiano (smartphone, tablet e software share). Occorre avere le idee ben chiare sul progetto, il che non significa dover scrivere un poema, ma raccontarlo in modo netto, preciso e chiaro; di un buon storytelling fanno parte le immagini, i video da fare girare non solo sul canale You Tube ma anche tramite Whatsup. Tra le tante parole che creano confusione e perplessità, troviamo il termine “reward” e “reward based”. Reward è la ricompensa, o meglio il riconoscimento che il progettista dà al donatore come ringraziamento. E’ una consuetudine e non un obbligo e sempre  per consuetudine, deve essere di modesto valore. Per esempio, potrebbe essere uno prezzo particolare per una pubblicazione del libro per cui si cercano di fondi, oppure dei disegni di bambini se è un progetto legato all’infanzia. E’ chiaro che una reward ha dei costi, soprattutto se si tratta di oggetti da spedire; costi che inevitabilmente intaccano i fondi raccolti. Ed allora una riflessione: ma se donare è un atto liberale, perché occorre avere una ricompensa? In Italia, le donazioni sono definite dalla Legge “erogazioni liberali” , ovvero liberamente si sceglie di donare, senza alcun ritorno di alcun tipo. Perché quindi a fronte di una micro – donazione, il donatore dovrebbe aspettarsi una ricompensa/reward? E’ un grande controsenso. La motivazione a donare non deve essere la promessa di una ricompensa fisica o morale, ma un moto spontaneo, civico; non si tratta di posizioni religiose o politiche ma umane: si sceglie di donare, di appoggiare un progetto. La vera ricompensa è sapere, comprendere che quel progetto qualunque esso sia verrà realizzato (anche parzialmente) al nostro contributo. Il civic crowdfunding è una nuova forma di economia morale, dove la scelta liberale e la capacità contributiva dell’individuo sono al centro. Se la crowd, ovvero le persone, entrano al centro di processi economici che possono direttamente gestire, si innesca una rivoluzione di pensiero e di strumenti. E’ la crowd la regina del cambiamento del futuro e non la tecnologia. La tecnologia ne è solo uno strumento. Concludendo, è lecito il dubbio che la diffusione di “idee confuse sul crowdfunding”, possa anche nascere o essere abilmente orchestrata per contenere, limitare grazie alla diffidenza e alla scarsa conoscenza, uno strumento potentissimo sia in termini finanziari che democratici. Il civic crowdfunding viene definito lo “strumento finanziario democratico per eccellenza”, uno strumento che mette in serio pericolo i poteri delle banche, del credito al consumo.

 

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