Ambiente & Turismo
Ortofrutta motore dell’Italia,491mila aziende ortofrutticole e una produzione da 12,8mld
Rilancio dei consumi, internazionalizzazione e semplificazione di normative e procedure, questa la strategia illustrata alla presentazione del 1° rapporto Nomisma – Unaproa sulla Competitività del Settore Ortofrutticolo Nazionale
Roma, 2 aprile – Il settore ortofrutticolo è un comparto fondamentale non solo per il settore agroalimentare italiano, ma per l’intero Sistema-Paese. Una miniera di opportunità sprecate, se non colte a dovere. Con 491mila aziende ortofrutticole, oltre 1 milione di ettari coltivati e 12,8 miliardi di valore di produzione, l’Italia presenta numeri da top leader. Eppure la propensione all’export è insufficiente e criticità e ritardi minano la competitività del settore. Non c’è tempo da perdere, è fondamentale capire subito quali siano le strategie da adottare per rilanciare la competitività ed essere protagonisti sul mercato. È questo il significato del Primo Rapporto Nomisma – Unaproa sulla Competitività del Settore Ortofrutticolo Nazionale, uno studio che fotografa lo stato dell’arte del settore, tra criticità, punti di forza e spunti per rilanciare la competitività, presentato oggi a Roma alla presenza di Luca Bianchi – Capo Dipartimento politiche competitive, della qualità agroalimentare, ippiche e della pesca – di Paolo De Castro – Coordinatore S&D Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo – e di Sonia Ricci, Assessore all’Agricoltura per la Regione Lazio. Tra le criticità segnalate dal rapporto, quella del calo dei consumi interni è una delle più preoccupanti. Negli ultimi anni il quadro della spesa alimentare degli italiani ha restituito una panoramica negativa, ma la riduzione che ha riguardato la categoria “frutta e verdura” – componente che incide per il 20% – è stata ancora più forte. I consumi ortofrutticoli mostrano una crescita debole prima della crisi (+1,8% a valori costanti tra il 2000 e il 2006, a fronte di un +2,3% per l’insieme di alimentari e bevande) e flettono del 15% tra il 2007 e il 2013 (contro un -13,1% dei consumi alimentari). Un altro aspetto particolarmente negativo riguarda i livelli di consumo pro capite: nel 2014 il consumo di prodotti ortofrutticoli freschi si è fermato a 130,6 kg che equivalgono a non più di 360 grammi al giorno (nel 2000 la quantità consumata era superiore ai 400 grammi per 148,2 kg annui). Gli italiani hanno quindi rinunciato a consumare nel periodo 2000/2014 circa 500.000 tonnellate di frutta e verdura freschi con una riduzione in termine pro capite di 18 kg. Si tratta di una tendenza pericolosa visto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che il 2,4% delle malattie in Europa sarebbe attribuibile a una scarsa assunzione di frutta e verdura. Nel 2010 i numeri di decessi nel mondo – riconducibili alla medesima causa – hanno toccato quota 6,7 milioni di casi. L’obiettivo della competitività del settore assume valenza strategica per la sostenibilità dei nostri territori, alla luce del fatto che sono oltre 492.000 (30,5% del totale delle aziende agricole italiane) le aziende ortofrutticole presenti sul territorio nazionale, alle quali è demandata la gestione di un milione di ettari di Superficie Agricola Utilizzata (SAU), circa l’8% del totale nazionale. Tutto questo corrisponde ad un valore della produzione ortofrutticola di 12,8 miliardi di Euro pari al 24,4% del totale della produzione agricola nazionale. Anche sul fronte dell’export l’ortofrutta conferma il suo posizionamento di primo piano; nel 2014 le esportazioni di frutta e verdura (fresca e trasformata) sono ammontate a circa 7,4 miliardi di Euro (21,8% rispetto al totale delle esportazioni agroalimentari italiane nello stesso anno). Buona parte del valore complessivo fa riferimento a prodotti trasformati (41% delle esportazioni di settore) e a frutta fresca (38%) seguiti da ortaggi freschi (16%). Il confronto internazionale mostra però luci e ombre: l’Italia si colloca al primo posto per quanto riguarda sia il valore della produzione orticola (20% del totale UE) sia per quella frutticola (20%); nel primo caso grazie anche al primato comunitario in termini di superfici (18% del totale orticole UE), mentre per la frutta figuriamo al secondo posto (17%) dietro la Spagna che detiene il 30% della SAU a frutta in Europa. Il primato italiano in Europa sui valori economici è legato a specifici prodotti ortofrutticoli, ad esempio il pomodoro, per cui il Belpaese si trova al secondo posto dietro la Spagna – in termini di valore della produzione – e al primo posto per quantità raccolte). Considerando invece le mele è la Francia il primo paese che remunera al meglio la propria produzione con quasi un miliardo di euro, quando Italia e Polonia raccolgono ogni anno 2,2 e 2,8 milioni di tonnellate di mele, contro 1,8 milioni della Francia. Rispetto alle pesche nettarine l’Italia soffre una concorrenza molto sostenuta, conservando tuttavia il ruolo di leader rispetto alle quantità raccolte (40,7% del raccolto UE), ma scontando diverse debolezze nei confronti della Spagna che negli ultimi anni ha visto una crescita sia delle superfici produttive che della capacità di guadagnare importanti quote sui mercati internazionali. Il confronto si rende ancora più evidente se si sposta il focus a livello mondiale: nel 2003-2004 la quota di mercato italiana sull’export globale di prodotti ortofrutticoli freschi era il 5,4%, scesa al 3,8% nel 2013-2014, ben 1/3 rispetto alla quota di mercato detenuta dalla Spagna (10,3%). Passando a una valutazione per Paese-prodotto valgono su tutti alcuni esempi: nel 2004-2006 le aziende italiane contavano per il 59,4% del mercato tedesco di pesche e nettarine. Nel 2012-2014 la quota è passata al 41,9% mentre la Spagna è schizzata dal 26,9% al 51,1%. Analoga situazione in Russia (l’Italia è passata dal 13,0% al 5,9%, la Spagna dal 20,2% al 45,5%) e Regno Unito (la penisola ha visto un arretramento dal 40,8% al 11,4% contro una crescita della penisola iberica dal 36,4% al 68,7%). A complicare le cose nell’agosto del 2014 è intervenuto l’embargo russo. L’anno scorso l’export italiano di ortofrutta fresca in Russia si è fermato a 44,3 milioni di euro , evidenziando una caduta complessiva in valore del 39%. Risultati in calo hanno contraddistinto anche le vendite dei principali competitor europei, mentre è cresciuto di molto il ruolo di Paesi confinanti e al di fuori delle sanzioni, come Turchia, Cina, Bielorussia e Serbia. Guardando agli aspetti strutturali ed organizzativi, l’Italia presenta difficoltà non solo con riferimento alla presenza di strutture aziendali di piccole dimensioni (rispetto alla media UE) ma anche per ciò che attiene il tasso di organizzazione della produzione ortofrutticola in OP (Organizzazioni dei Produttori), che sebbene risulti in linea con i principali Paesi dell’area mediterranea (47% Italia, 52% Spagna e 45% Francia) appare distante dai valori dell’area continentale (Paesi Bassi 95%, Belgio 86%). Circa il 20% dei produttori ortofrutticoli italiani (poco meno di 87.000) risulta associato a un’Organizzazione di Produttori con una SAU media doppia (4 ettari) rispetto ai produttori non associati. È bene considerare come oltre il 44% della produzione in volume di ortofrutta transiti attraverso OP con un’incidenza sul valore della produzione ortofrutticola commercializzata del 47,3%. “Risulta quindi evidente come il settore ortofrutticolo rappresenti una componente fondamentale del sistema agroalimentare nazionale, ma presenti ancora diffusi elementi di criticità, in particolare sul versante organizzativo”, dichiara Denis Pantini Direttore Area Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma. “Migliorare il livello di organizzazione del settore può determinare benefici su diversi fronti. Vi è un’urgenza particolare nel contesto attuale, in cui il posizionamento dell’Italia sui mercati internazionali è compromesso da altri Paesi più organizzati di noi e che presentano minori criticità sul versante del sistema Paese”, aggiunge Pantini. “Attualmente, nonostante il mercato dei prodotti ortofrutticoli per l’Unione europea sia unico, sia a livello comunitario che a livello nazionale vi è una forte differenziazione delle prescrizioni contenute nei disciplinari e la mancata uniformità di normative e procedure conduce a trattamenti differenti tra operatori di Paesi e regioni diverse, incidendo notevolmente sui costi di produzione. Com’è evidente, questo ha un impatto drammatico sulla competitività di impresa, a tutto discapito dei produttori italiani -che cadono vittima delle maggiori restrizioni e della burocrazia- e dei consumatori stessi. Lo stesso possiamo dire rispetto alla necessità di armonizzare tra loro procedure e controlli evitando duplicazioni e interpretazioni che penalizzano fortemente le imprese.” – conclude Ambrogio De Ponti, Presidente di Unaproa.