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Narcos messicani comprano armi automatiche nei negozi USA

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Il settanta percento delle armi usate per compiere omicidi in Messico, 150mila dal 2004, risulta acquistato in America le cui leggi impediscono alla polizia di controllare la vendita illegale di fucili e pistole.

di Vito Nicola Lacerenza

Da quattordici anni il Messico è impegnato in una sanguinosa guerra contro i cartelli della droga e dal 2004  a oggi gli scontri tra forze dell’ordine e narcos hanno mietuto 150.000 vittime. La maggior parte di loro sono civili innocenti morti per mano dei trafficanti di droga, dotati di fucili d’assalto. Quasi sempre di due tipi: il modello russo AK-47, meglio noto come kalashnikov, e quello americano AR-50. In una maxi operazione avvenuta nel 2016, la polizia messicana ne ha sequestrati e distrutti 10.000. Tutti i fucili risultavano essere stati acquistati da cittadini americani in armerie USA. Così come il 70% di tutte le armi utilizzate per commettere omicidi in Messico. Il flusso di articoli bellici proveniente dagli USA  preoccupa gli agenti federali messicani, i quali sono molto meno equipaggiati dei criminali. «I narcos hanno armi migliori di noi- ha detto unagente antidroga messicana- inoltre lo Stato ci dà solo quattro caricatori per i  mitra. Se in uno scontro si esauriscono i caricatori, che cosa farò?». Il governo messicano, insieme a quello  statunitense, ha annunciato di voler porre fine al traffico d’armi. Al momento però sembra un’impresa impossibile. Le città americane sono disseminate di armerie e per un cittadino USA è facilissimo andarci a fare shopping, in quanto per l’acquisto di armi  non è richiesto requisito particolare, a parte la cittadinanza americana. L’unico documento, che un acquirente di fucili o pistole è obbligato a compilare, è una sorta di “certificato d’acquisto”, in cui il cliente deve dichiarare di “non comperare l’arma per secondi o terzi” e di “essere incensurato”. Scrivere il falso è semplicissimo e per tale ragione i narcos messicani pagano  cittadini americani affinché comprino i fucili d’assalto per loro. Successivamente, le armi vengono smontate, nascoste accuratamente in un veicolo e spedite in Messico, dove poliziotti corrotti, dietro compenso, evitano di effettuare controlli, controlli omessi anche dalle autorità americane. Ma non a causa della corruzione bensì per l’inadeguatezza delle leggi sulla vendita delle armi.

Il Dipartimento americano contro il Traffico di Tabacco, Armi da Fuoco e Esplosivi (ATF), è l’organo preposto a contrastare la vendita illegale di articoli bellici ma lo Stato non gli consente di svolgere questo compito. Per gli agenti della ATF sarebbe facile pedinare per giorni un “finto acquirente” assoldato dai narcos, fotografarlo mentre gli consegna le armi comprate e richiedere alle armerie i “certificati di acquisto” per dimostrare che il “finto acquirente” ha dichiarato il falso. Ma un’operazione di  polizia simile è illegale in America, la cui Costituzione “garantisce ai cittadini il diritto di portare con sé armi da fuoco”. In virtù di tale  norma agli agenti della ATF è stato imposto un protocollo d’intervento molto restrittivo: possono richiedere i “certificati d’acquisto” alle armerie, ma solo quando i negozi d’armi hanno chiuso i battenti. Tale situazione costringe le autorità a indirizzare le indagini su documenti datati che, inoltre, non possono essere registrati in un computer ma devono essere rigorosamente cartacei. Solo così gli investigatori sono autorizzati a consultarli. Secondo il protocollo, se  la documentazione pervenisse alla ATF in formato digitale, gli agenti sarebbero obbligati a stamparla. Una procedura del genere complica moltissimo il lavoro degli investigatori che si ritrovano gli uffici letteralmente invasi da carte. Basti pensare che alla AFT arrivano 2 milioni di “certificati d’acquisto” al mese. Ora il presidente americano Donald Trump vuole abolirli, privando gli investigatori di uno dei pochi mezzi a loro disposizione per identificare coloro che acquistano armi per conto dei narcos.

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