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Mauritania: dall’indipendenza alla sopravvivenza

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A poco più di un anno dalle elezioni, che molti mauritani attendono con ansia, si celebra il 57°anniversario dell’indipendenza dalla Francia. Ma il futuro della Mauritania appare ancora troppo lontano da quello di un moderno Stato democratico

a cura di Vito Nicola Lacerenza

 

Il 28 dicembre la repubblica islamica Mauritana celebrerà il 57°anniversario dell’indipendenza dalla Francia, per commemorare la fine di un passato coloniale, durato decenni e preceduto da un altrettanto lungo periodo di feudalesimo, che emancipò le tribù locali dalla schiavitù. Nel 1990, alla vigilia di questa festa nazionale, 28 soldati africani furono giustiziati nella guarnigione di Inal, situata all’estremo nord della Mauritania. Fu l’inizio di un genocidio durato tre anni, nei quali il paese fu dilaniato da esecuzioni extragiudiziali, deportazioni e torture che non risparmiarono neppure i civili. Naturalmente, in un contesto del genere, la scuola e la giustizia non rientravano nelle priorità dello Stato. Nonostante il susseguirsi dei governi, ad oggi, gli autori di questi crimini vivono nell’impunità.

Tuttavia, il passare degli anni non è bastato a rimarginare le ferite di una comunità, che rivendica il suo diritto a lottare per l’universalità dei diritti della persona e per una giustizia che sia uguale per tutti. Queste contraddizioni del progetto nazionale mauritano, però, hanno un comune denominatore: la disuguaglianza. Da molto tempo ormai, i cittadini sono stufi dei soliti discorsi retorici e pretendono le ragioni concrete dell’ingiustizia dilagante del loro paese. Più l’attesa di risposte reali si fa lunga, più aumenta l’insofferenza di fronte a tale silenzio. L’irresponsabilità della classe dirigente è figlia dell’indifferenza difronte alle istanze sociali del popolo. Si preferisce nascondere i problemi sotto un velo di ottimismo che lascia ampio spazio alla mediocrità dei governanti, facendo sì che la situazione precipiti.

È un muro invalicabile quello che divide una classe politica inetta e il popolo, che paga il prezzo di questa inettitudine. Il risultato di questa frattura si legge nelle generazioni più giovani, in cerca di realizzazione e dignità come esseri umani. A questa generazione sono state chiuse le porte per una società più civile, più sviluppata, aperta alle nuove tecnologie di cui è necessario si avvalgano in una società come quella di oggi. Come se non bastasse, a questi giovani è stato negata persino la possibilità di rivendicare i loro diritti manifestando il proprio dissenso alle urne. Nel 2017 la situazione in Mauritania collassa, la speranza di una presa di coscienza da parte del governo è frustrata da l’assenza di risposte agli annosi problemi, il che ha reso ridicola qualsiasi discussione su “un progetto per un futuro comune”. Che credibilità può avere un contratto sociale basato sulla spoliazione e sulla coercizione violenta, concepita come unico mezzo per garantire l’ordine sociale? Questa domanda ha gettato la popolazione nello sconforto, che è terreno fertile per la nascita di estremismi e manifestazioni violente.

Il fanatismo è ad un passo dal governare, giusto il tempo di tracciare la propria linea politica che ha come obbiettivo l’istituzione di una dittatura religiosa refrattaria alla diversità religiosa e all’idea di una felicità raggiungibile nella quotidianità. Le attuali circostanze favoriscono una deriva di questo tipo, scaturita da un piano premeditato di disgregazione della Mauritania. Non tutto è perduto però. Si può ancora sperare nell’ala politica progressista e nella società civile che hanno ancora un buon margine di manovra, ma bisogna affrettarsi prima che sia troppo tardi. A poco più di un anno dalle elezioni, che molti mauritani attendono con ansia, si temono i pregiudizi. E’giunto il momento di rendersi conto della minaccia imminente di un’implosione e di gridare al cambiamento, ad un nuovo inizio. Ora è legittimo pensare alla Mauritania del domani, sotto la doppia urgenza di sopravvivere alla crisi e garantire stabilità. Ancora più importante, però, è non permettere più che si procrastinino le soluzioni dei problemi o se ne ignori l’esistenza. 

Il paese che vogliamo costruire ha bisogno innanzitutto di guardare in faccia la discriminazione che ha prosperato per 57 anni. Sarà necessario rendere pubblici i suoi effetti nefasti e far sì che i diritti universali siano equamente condivisi da tutti. Se manterremo la pace collettiva nessuna cultura, lingua o etnia prevarrà più sulle altre. Diversamente, una violenza all’insegna del materialismo, incoraggiata dalle grandi industrie, la rinascita di intoccabili privilegi, e la subordinazione dello Stato all’economia di mercato tornerebbero ad affliggere il popolo. E’ necessaria inoltre una riorganizzazione razionale e meritocratica delle forze armate. La nascita di gruppi armati hanno sancito il fallimento di queste nella loro missione di preservare le istituzioni e garantire la sicurezza dei confini. Questa situazione ha portato alla nascita di oligarchie tribali che attraverso la figura del “cittadino-soldato”, spingono le singole comunità a provvedere da sé alla propria sicurezza. Il presidente della repubblica ha rivolto un invito a tutti i leader delle forze politiche: far rivivere il sogno dei padri fondatori di unire le due afriche e guidare il popolo verso la modernità, l’uguaglianza e il dialogo. E’ giunta l’ora di sedersi tutti insieme e di trovare un compromesso praticabile.

Fonte: movimento Ira Mauritania

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