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Diritti umani

L’Uganda affossa i diritti umani approvando i reati di “omosessualità aggravata” e “apologia dell’omosessualità”

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Ma la legge “ammazza-gay” nasconde più ampie problematiche geopolitiche.

di Luca Rinaldi

Tutto iniziò nel 2010, quando un progetto di legge che criminalizzava l’omosessualità fu presentato al Parlamento ugandese, per essere poi approvato nel 2012, sotto la spinta dei fondamentalisti cristiani. L’Anti-Homosexuality Act, definito dalla stampa internazionale “Kill the gays bill”, rendeva illegale la promozione di diritti LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) da parte di singoli e di associazioni, prevedeva la pena capitale per gli “omosessuali recidivi”, l’ergastolo per il reato di sodomia e aspre pene per chi, a conoscenza di relazioni omosessuali, non  le denunciava entro le 24 ore.

A giustificazione dell’atto, la presunta minaccia rappresentata dagli omosessuali occidentali per i bambini ugandesi, vittime, a parere del Governo del Paese africano, di veri e propri “reclutamenti” corruttivi. Una retorica utilizzata sempre più di frequente dalle confessioni evangeliche americane che, non a caso, hanno sempre più influenza in Uganda.

Le dure critiche della Comunità internazionale e, ancor più, la minaccia statunitense, supportata dai Paesi del Nord-Europa, di un taglio agli aiuti all’Uganda, portò nel gennaio del 2014 il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, a sconfessare le sue precedenti decisioni e a opporsi al provvedimento dichiarandolo “fascista”, pur mantenendo però lui stesso la convinzione che i gay fossero “persone anormali”, niente più che malati da riabilitare. Da qui, la decisione della Corte Costituzionale ugandese di annullare la suddetta legge a causa di un’irregolarità nel processo di approvazione legislativa. Una scelta, questa, che non parrebbe dunque una reale presa di posizione a favore dei diritti della comunità LGBT presente in Uganda, ma più un cavillo giuridico trovato per evitare un incidente diplomatico con l’allora Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.

A dimostrazione di questo, nel 2016 la legge “anti-gay” è stata riproposta e approvata, leggermente ammorbidita nei termini, in quanto è stata eliminata la pena di morte per la cosiddetta “omosessualità aggravata”, che si riferisce ai casi di recidivi condannati per rapporti omosessuali tra adulti consenzienti, nonché responsabili di atti sessuali con minorenni, disabili o persone infettate dal virus HIV.

Permane a “legittima giustificazione” la volontà di proteggere i bambini ugandesi dalla minaccia delle “lobby omosessuali” occidentali. A dare ulteriore forza a queste convinzioni interviene però anche una  seconda motivazione, supportata, a detta di Museveni, nientemeno che dalla scienza: un team di ricercatori ugandesi, infatti, afferma che non esistano prove che l’omosessualità sia una condizione genetica. In sostanza il Governo ugandese ha letteralmente sfidato quello americano a dar prova che si possa nascere già omosessuali, unica condizione questa che, se confermata, potrebbe spingere l’Autorità ugandese ad accettare e ammettere come “normale” l’omosessualità, con la conseguente rivalutazione della legge.

Anche questa giustificazione pare più una mossa strategica che un passo verso l’integrazione e il confronto, considerato che sfrutta opportunamente il fatto che, ad oggi, non siano state scoperte né confermate, a livello genetico, porzioni di dna direttamente collegate all’orientamento sessuale.

La legge “anti-gay”, d’altro canto, è molto popolare anche tra la popolazione ugandese, in maggioranza cristiana  e convinta che il Paese abbia il diritto di proteggere i propri bambini. Nel 2012 trovò addirittura l’appoggio indiretto di Papa Benedetto XVI, il quale dopo un incontro con la Presidente del Parlamento ugandese Rebecca Kadaga, in occasione della Giornata mondiale della Pace, aveva definito i matrimoni degli omosessuali “un’offesa contro la verità della persona umana” oltre che “una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace”.

L’ennesima sfida, dunque,  lanciata all’Occidente in tema di diritti umani, da un Uganda sempre più al centro della crescita africana. Il Paese, infatti, da un lato mostra la sua modernità iniziando a dotare le proprie città con la fibra ottica e ponendosi, grazie alle armi di provenienza russa, come gendarme della stabilità in Africa orientale, mentre dall’altro decide di snobbare le minacce di blocco degli aiuti statunitensi. Questo perché il Paese africano ora si sente più forte a livello geopolitico, non solo grazie all’appoggio russo, ma anche perché il decadere degli aiuti americani non fa più paura, in quanto questi verrebbero facilmente sostituiti, e addirittura moltiplicati, da quelli cinesi.

La norma, così come è stata riproposta, in ogni caso, oltre all’ergastolo per i recidivi, prevede anche una pena di 14 anni di carcere per chi viene condannato per la prima volta e 7 anni per chiunque sia sospettato di “promuovere l’omosessualità” o anche per chi possieda una proprietà al cui interno si consumino pratiche “contro natura”. L’ultima pietra sui diritti degli omosessuali è stata posata con la creazione del reato di “apologia dell’omosessualità”, vietando nello specifico ad avvocati e giornalisti di diffondere notizie riguardanti i diritti della comunità LGBT.

Tra questioni giuridiche e giochi di potere internazionali, però, finisce quasi per passare in secondo piano la condizione dei destinatari della legge: gli omosessuali ugandesi. Dopo un tentativo di aperta ribellione con l’organizzazione del primo Gay Pride nel 2012 per le strada della capitale Kampala, oggi, a causa della nuova legge, la comunità LGBT in Uganda vive nel terrore ed è costretta a nascondersi in proprietà private, lontane dalle città principali. Gli omosessuali hanno paura che i loro nomi e le loro foto vengano pubblicate sui giornali, temono di venire picchiati dalle bande di strada che organizzano vere e proprie spedizioni punitive, subiscono minacce e violenze verbali, vengono pedinati, i più giovani vengono espulsi dalle scuole e gli adulti licenziati dai posti di lavoro.

Insomma, in Uganda il clima che si respira ricorda tanto quello che imperversava nella Germania nazista nei confronti degli ebrei. Qui sono gli omosessuali il bersaglio, considerati fuorilegge e clandestini, costretti ad una emigrazione forzata per una legge che viola palesemente i diritti fondamentali dell’uomo e che non rappresenta altro che la legalizzazione dell’omofobia, incoraggiata da sempre più forti spinte religiose e politiche.

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