Arte & Cultura
L’età elegante di Maria Luigia moglie, di Napoleone I
A Parma, presso la Fondazione Magnani Rocca, è di scena l’epoca di Maria Luigia, Duchessa di Parma. Un percorso alla scoperta di Neoclassicismo e Impero
di Roberta Grendene
Roma, 12 Maggio – Una donna sapientemente elegante Maria Luigia, moglie di Napoleone I. Sofisticata e amante dei mobili di eccelsa fattura. Era stata infatti lei stessa a curare personalmente l’ammodernamento degli ambienti di Corte contribuendo a caratterizzare indelebilmente il volto neoclassico della città. Uno stile nuovo per quel tempo: legno naturale con bronzi dorati o impiallacciati in mogano; e poi il noce spesso con patina a foggia d’acajou. Anche il marmo e le pietre tra i materiali più usati dalla nobildonna: le commodes e i tavoli erano coperti infatti di pregiati marmi, fra cui il Carrara. Perché la maestosità degli ambienti doveva esaltare la potenza del nuovo regime. Pare che nello stesso periodo, anche i proprietari di Villa di Mamiano, i marchesi Paulucci di antica nobiltà forlivese, avessero accolto tali novità in fatto di gusto per il loro Palazzo Nuovo in costruzione dal 1811; il marchese Francesco Paulucci aveva trasformato il parco della propria dimora creando viali alberati ed un notevole giardino con siepi di bosso andando a modificare il caseggiato rustico adiacente al corpo dell’imponente villa per ricavarne un’ampia serra a vetrate dove ospitare le piante di agrumi durante la stagione più fredda. Ma l’influenza dei fasti luigini per quanto riguarda i salotti e le stanze da ricevimento del palazzo di Luigi Magnani venne data dalla sapiente mano del grande Mario Praz, noto insegnante di letteratura inglese all’Università La Sapienza di Roma. Egli è riuscito a trasmettere a Magnani l’amore per lo stile Impero segnalandogli per circa un trentennio pezzi rari e di incomparabile valore, in un dialogo elettivo con pitture e sculture neoclassiche. Ecco arrivare allora a Mamiano dalla villa di San Donato a Firenze della famiglia Demidoff, una coppa in scaglie di malachite sostenuta da un tronco di palma e tre chimere in bronzo dorato prodotta a Parigi verso il 1807 a firma di Thomire, il più importante cesellatore dell’Impero, noto a Maria Luigia per aver eseguito il mobile da toilette offertole dai parigini e per avere decorato la celebre culla del figlio, re di Roma. La coppa, che oggi accoglie i visitatori all’entrata della Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani Rocca, rievoca un importante fatto storico: fu eseguita per lo zar di Russia Alessandro I e da questi donata a Napoleone in quel breve momento di riappacificazione fra Russia e Francia a seguito del trattato di Tilsitt del 1807. Sempre di Thomire sono i due maestosi flambeaux in bronzo dorato alti tre metri provenienti da un palazzo nobiliare di Vienna che oggi impreziosiscono la sala dove è conservato il capolavoro di Goya La famiglia dell’infante don Luis. Seguendo il filo rosso della storia il visitatore avvertirà le atmosfere di un’epoca in cui Napoleone seppe riconoscere all’arte la funzione di veicolo di diffusione della propria fortuna chiamando presso la sua corte artisti capaci di combinare le esigenze di fasto e maestosità con la ricerca di grazia e levità. I mobili presenti nella collezione Magnani Rocca si ispirano agli antichi manufatti egizi, greci e romani: ne sono esempi tipici la méridienne che trionfava a quei tempi tra i sofà, le sedute che presentano la caratteristica unione della gamba anteriore con il supporto del bracciolo, a volte risolto a intaglio scultoreo in forma di leone alato, sfinge o erma, le poltrone-trono riccamente ornate da intagli e rifinite a foglia oro e lo sgabello con le gambe a forma di X simile ai curuli dei magistrati dell’antica Roma tornato in auge anche in ragione del fatto che l’etichetta di corte riservava l’uso delle poltrone alla sola coppia imperiale. Non possono non essere menzionate le commodes che montano caratteristici piedi a plinto fasciato, detti anche a zampa di elefante e i secrètaires con piede a zampa ferina, piano in marmo e cassetti nascosti dietro ante decorate con bronzi dorati. Fra i meubles d’appui interessante il mobile in radica di olmo con piano in marmo nero d’Italia fabbricato da Jacob Desmalter, uno dei più noti ebanisti dell’Impero. Non mancano le consoles con forme strette e allungate; la più importante fu acquistata da Napoleone all’esposizione nazionale di Parigi del 1806 all’Hôtel des Invalides e racchiude nel piano in marmo bianco una cassa armonica. Se vittorie alate, animali e sfingi in bronzo popolano ogni singolo oggetto, sono l’armonia e la lievità a caratterizzare le sculture di Antonio Canova e Lorenzo Bartolini, entrambi artisti legati alla storia dell’Impero. É grazie a questi capolavori che possono rivivere, idealmente, gli amori e gli affetti più cari alla nostra Duchessa; laddove Canova celebra il matrimonio fra Napoleone e Maria Luigia nel 1810 con la superba opera a lei dedicata in veste di Concordia, Bartolini commemora, nel 1829, la morte del suo più grande amore, il conte Neipperg, con il sepolcro marmoreo oggi nella Basilica di Santa Maria della Steccata di Parma. Due carriere artistiche e due filosofie differenti, ma con un unico comune denominatore: entrambi ritrarranno Napoleone e i potenti dell’epoca, ed entrambi saranno amati più in Francia che in patria. Risulta suggestivo pertanto ipotizzare che la rivalità fra i due sia stata volutamente reiterata da Luigi Magnani acquistando la seducente scultura di Bartolini Ninfa del deserto, in qualità di Virtù assalita dal Vizio, abile prova di sintesi fra l’idealismo classico canoviano e l’attenzione al dato di realtà e l’algida Tersicore di Canova, musa della Danza e del canto corico, qui nell’insolita veste di Musa della Poesia lirica. Compiuta verso la fine del 1811, la statua era iniziata nel 1808 come ritratto di Alexandrine Bleschamps, seconda moglie di Lucien Bonaparte, fratello minore di Napoleone. Poiché non vi è alcuna relazione fra la sua fisionomia e quella della testa della statua compiuta nel 1811, si deve supporre che i committenti abbiano fatto cambiare a Canova la testa raffigurante la nobildonna con quella attuale, idealizzata e non riconducibile a un modello specifico. Ultima opera d’arte acquistata dal fondatore poco prima di morire, ci riporta al Salon di Parigi del 1813 in cui la neo-imperatrice Maria Luigia dovette dunque vederla esposta, accanto però al ritratto di Josephine, prima consorte e grande amore di Napoleone. Curioso poi collocarla oggi in dialogo diretto col ritratto eseguito da George Dawe di Maria Pavlovna Romanova, sorella non soltanto dello zar Alessandro I ma anche di Anna, candidata al trono di Francia insieme a Maria Luigia. Solo il diniego della zarina Maria Fëdorovna e l’attività politica del ministro Metternich faranno sì che la scelta cada sulla seconda, convincendo l’imperatore Francesco I a concedere sua figlia al nemico. E fu così che Maria Luigia, educata all’obbedienza, accettò «pazientemente e ragionevolmente la propria sorte».