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La Giustizia in Italia e la lezione australiana. Il caso del Cardinale George Pell

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Il processo al porporato non era l’unico ma il primo di due procedimenti e quindi la Giustizia australiana ha messo in pratica i mezzi utilizzati regolarmente in casi del genere. In parole semplici l’obbligo di silenzio stampa, affinché la giuria del secondo processo non sapesse niente del primo  per non incorrere in un verdetto ‘viziato’ dai  pregiudizi delle cronache giornalistiche e servizi televisivi.

Di Gianni Pezzano

Le recenti notizie della condanna del Cardinale George Pell a Melbourne in Australia, che ora si trova in un centro di custodia cautelare con l’accusa di pedofilia in attesa della sentenza del giudice, dovrebbe far molto pensare a noi in Italia. E non solo per i motivi ovvi di una condanna straordinaria di uno dei prelati più alti del Vaticano.

La prima reazione deve essere quella di capire il vero tempismo della conferenza sul tema della pedofilia tenutasi al Vaticano la settimana scorsa, che ha avuto un posto importante sulla stampa per giorni.

Ci vuole poco per capire che l’assenza del Cardinale australiano ha sicuramente pesato come un macigno sui partecipanti, e chissà quanti di loro hanno pensato a Pell mentre ascoltavano le vittime di abusi da parte di preti e altri esponenti della chiesa avvenute nel corso di troppi anni.

Però non vogliamo soffermarci su un caso che dovrà attendere non solo la condanna al Cardinale, ma soprattutto perché i suoi legali hanno già annunciato la loro intenzione di presentare ricorso contro il verdetto della giuria dello stato di Victoria in Australia.

Ma noi in Italia dobbiamo guardare questo caso in un altra ottica e non semplicemente perché riguarda uno dei “Principi del Vaticano”.

Il verdetto nel caso di Pell non risale a questa settimana, ma a dicembre scorso, e vale la pena raccontare la storia del processo per vedere che c’è una lezione importante da Melbourne per noi italiani, che fin troppo spesso dimentichiamo, per motivi di parte e politici o di semplice spettacolo, che  fare giustizia nei giornali e alla televisione invece che nel posto giusto, l’aula del tribunale, è un danno alla giustizia.

Partiamo dal dettaglio più importante, il processo al porporato non era l’unico ma il primo di due procedimenti e quindi la Giustizia australiana ha messo in pratica i mezzi utilizzati regolarmente in casi del genere.

La Giustizia anglosassone tiene molto a un detto che ebbe origini in Italia. “La Giustizia deve essere come la moglie di Cesare”, non solo deve essere virtuosa, ma deve essere vista da tutti come virtuosa.

Precisamente in inglese “Justice must not only be done, it must be seen to be done”, cioè  “Non solo la Giustizia deve essere fatta, ma deve essere visto come farla”

Per questo motivo il processo al Cardinale Pell, come dice la prassi in casi del genere in Australia, è stato tenuto in “segreto” nel senso, benché fossero presenti giornalisti, che c’era un ordine rigidissimo per cui le testate ed i servizi di altri mezzi mediatici non potevano nemmeno dire che si svolgeva un processo per pedofilia, tantomeno nominare l’imputato e nemmeno dare notizia di qualsiasi indizio presentato in aula.

Il motivo è semplice e logico. Il tema della pedofilia emotivamente rilevante e quindi qualsiasi notizia di questi reati rischia un’ondata di accuse, vere o false, come anche sensazionalismo in  un processo che deve decidere se le accuse siano vero o no. Figuriamoci poi nel caso di personaggi celebri e/o potenti che sono spesso visti come bersagli preferiti dai rotocalchi e i salotti televisivi come fin troppo spesso facciamo in Italia.

Come spiega la Australian Broadcasting Commission, la tv australiana, in un articolo di martedì le corti di Victoria hanno dovuto considerare che il Cardinale doveva affrontare due processi quasi identici, sia per il tipo di reato che per le accuse specifiche, quindi dovevano prevenire l’uscita di notizie delle testimonianze e le prove,  per assicurare che la giuria del secondo processo non sapesse niente del primo processo affinché il verdetto fosse il risultato di prove presentate e non di pregiudizi delle cronache giornalistiche e servizi televisivi.

Poi nei tribunali australiani esiste anche la prassi che qualsiasi prova diventerebbe inutilizzabile se fosse resa pubblica prima d’essere accettata e, ancora più importante, verificata, dal tribunale.

Silenzio stampa

Per questo motivo gli amministratori del calendario giudiziario hanno messo in pratica le procedure standard di un contesto che, tristemente, non è raro.

Così, i giornali hanno avuto i loro rappresentanti nell’aula per tutto il processo, come anche il pubblico, e quindi il tribunale ha svolto il suo ruolo facendo Giustizia alla luce del sole. Visto che il luogo dei reati era una cattedrale, per il processo del cardinale, che per anni è stato soggetto chiaccherato non solo per comportamenti personali, ma anche per sospetti a causa della sua amicizia con altri preti condannati per pedofilia, i giornalisti non potevano assolutamente riportare alcun dettaglio del processo.

C’è stato un timido tentativo di un giornale di riportare la notizia “di un processo per pedofilia a un personaggio famoso” senza dare altri dettagli, che ha visto l’immediata reazione furiosa del giudice che ha minacciato conseguenze serie ai giornalisti per qualsiasi altra fuga di notizie di qualsiasi genere.

L’ordine ovviamente non si estendeva alla stampa estera che qualcosa ha scritto, compreso il verdetto, ma in Australia il silenzio è stato assoluto.

Quel che ha portato poi all’annuncio del verdetto è stata la decisione del pubblico ministero di non procedere con il secondo processo, che automaticamente ha reso il silenzio stampa inutile e quindi tutto il mondo ora sa ufficialmente la decisione del tribunale, e ora aspettiamo non solo la inevitabile condanna, che è prevista come severissima visto il ruolo importante del condannato, ma anche gli sviluppi del ricorso che sarà sicuramente soggetto a una copertura mediatica davvero massiccia.

Italia.

Ripetiamo, non vogliamo entrare nel merito di questo processo, sarà il ricorso a decidere se il verdetto della giuria sia giusto o no.

Invece, vogliamo fare alcune considerazioni di cosa sarebbe successo in Italia per un caso del genere, soprattutto visto il vizio di certi giornalisti e programmi televisivi di farne servizi importanti e spesso al limite della legittimità.

Nel caso della Giustizia dobbiamo sempre ricordare che deve vigere la regola dell’innocenza dell’imputato fino a prova contraria.

Questo può essere garantito da un processo normale, ma la presentazione di prove alla televisione, da cronache che rivelano quel che non è ancora uscito in tribunale in dibattimento, non fa altro che condizionare nella mente del pubblico l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato.

Sappiamo tutti quanti processi sono stato soggetti a questi trattamenti in Italia nel corso dei decenni. Sappiamo tutti di avvocati difensori che hanno fatto arringhe difensive nei salotti televisivi e non nell’aula del tribunale. Allora, come fa un possibile giurato ad entrare in una giuria per giudicare prove in modo aperto e imparziale quando già le sa dalla televisione o i giornali?

Poi, dobbiamo chiederci se l’idea che un imputato colpevole esca da un processo come uomo libero è davvero meglio che mettere in carcere un innocente perché la televisione ci ha dato l’impressione che lo sia?

Crediamo proprio di no. Se un innocente viene condannato si realizzano due danni enormi, il primo ovviamente all’imputato innocente, ma anche alla vittima perché vuol dire che il vero colpevole non sarà punito e che la vittima è ancora soggetta alle sue minacce.

Se davvero vogliamo che  Giustizia sia fatta, e sentiamo quasi ogni giorno l’appello per una “riforma della Giustizia”, cominciamo con la lezione che abbiamo visto dall’Australia in questo periodo.

La Giustizia deve essere libera da influenze e non soggetta a pressione pubblica da parte di giornali e televisioni, senza dimenticare i politici che sicuramente direbbero la loro su casi celebri.

I processi si fanno in tribunale con le procedure corrette di prove e dibattito e non in salotti televisivi e  pagine di giornali dove la presentazione e l’atteggiamento di chi li presenta quasi sempre diventa più importante che stabilire se le prove siano vere e credibili o no, che è il ruolo dei tribunale e dei giudici e  non dei giornalisti e il pubblico.

Siamo capaci di imparare questa lezione e cominciare e pensare alla Giustizia come un mezzo fondamentale del nostro sistema di governo e quindi della nostra Società e Democrazia, e non semplicemente scambiare questo alto compito con uno spettacolo televisivo o giornalistico?

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