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La desertificazione non è un problema solo Africano

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La desertificazione, in generale, consiste nel degrado delle terre aride, semi-aride e sub-umide  secche, attribuibile a varie cause, tra cui le variazioni climatiche e le attività umane.

di Alexander Virgili

Sebbene in limitata evidenza, a causa della guerra in Ucraina, della ripresa del Covid e degli altri eventi politici ed economici, in Italia si sta tornando a parlare del tema della probabile scarsità di acqua nei prossimi mesi ed anni. Come spesso accade in relazione a questi temi ambientali, molti presentano tale eventualità quasi come fosse un evento imprevisto ed imprevedibile, scoperto da poco e per il quale non si sa bene cosa fare, avendo ignorato ciò che oramai da decenni si studia sul riscaldamento globale e sulle alterazioni climatiche. O meglio, forse si tenterà di drenare altre risorse finanziarie per le regioni settentrionali, che sono quelle dove si spreca maggiormente acqua, per rivendicare altre infrastrutture o finanziamenti.  Tanto “al Sud la situazione è endemica”, come ipocritamente conclude qualcuno, dando per scontato che al Sud, al massimo, potrà essere destinato ciò che avanza[1]. Ancora meno citato, ma direttamente collegato ad esso, è il tema della desertificazione, che per alcuni appare un evento quasi esclusivamente africano, del quale occuparsi solo per capire se e quando ci saranno incrementi nei flussi migratori. Certamente l’Africa è il continente più fragile in tema di desertificazione, ma non è l’unico a presentare il problema e pochi ricordano, o sanno, che la desertificazione comincia a coinvolgere anche l’Italia. 

La desertificazione, in generale, consiste nel degrado delle terre aride, semi-aride e sub-umide  secche, attribuibile a varie cause, tra cui le variazioni climatiche e le attività umane.
In pratica, si manifesta con la diminuzione o la scomparsa della produttività e complessità biologica o economica delle terre coltivate, sia irrigate che non, delle praterie, dei pascoli, delle foreste o delle superfici boschive causate dai sistemi di utilizzo della terra, o da uno o più processi, compresi quelli derivanti dall’attività dell’uomo e dalle sue modalità di insediamento, tra i quali l’erosione idrica, eolica, etc; il deterioramento delle proprietà fisiche, chimiche e biologiche o economiche dei suoli; e la perdita protratta nel tempo di vegetazione naturale (secondo la definizione dell’UNCCD, Art 1.f).  Ѐ quindi un fenomeno ambientale, economico e sociale di vasta portata perché degrada progressivamente le aree agroforestali e da pascolo, impoverisce l’economia e gli insediamenti, inoltre richiede, per essere frenata, costi ed investimenti consistenti e di non breve durata. Nel concetto aggiornato di desertificazione oltretutto non ci si riferisce tanto al processo di espansione dei deserti esistenti quanto al degrado, più o meno lento e più o meno volontario, di terre soggette a sovrasfruttamento e ad uso non appropriato.

In Italia, secondo i dati di autorevoli gruppi di studio che stanno seguendo l’evoluzione del fenomeno, i principali fattori naturali ed antropici che portano alla desertificazione (cambiamenti climatici, salinizzazione, erosione idrica, urbanizzazione, inquinamento, caratteristiche agricolo-vegetali) determinano il maggior grado di vulnerabilità per la Sicilia e la Puglia, ma è una parte ampia del territorio nazionale che risulta a rischio (circa il 33% secondo i dati pubblicati riportati in: AA.VV. La desertificazione in Italia, Roma, 2008).   Di fatto, già da alcuni anni, nelle cartografie tematiche specifiche alcune limitate aree della Sicilia, della Puglia e della Sardegna sono indicate come in fase di avvio della desertificazione. Dati anomali considerando che l’Italia è abbastanza ricca di acqua.

Da notare che nell’arco di un cinquantennio (1960-2010) si è registrato un incremento diffuso del rischio, in alcune aree in modo persistente, in altre (del centro Nord Italia) a macchia di leopardo.  Infatti, dividendo il periodo in due sotto periodi (1960-1990 e 1990-2010) si nota in particolare, come il livello di rischio aumenti in modo omogeneo nel primo trentennio soprattutto in aree localizzate del sud Italia (in Puglia, nella Sicilia meridionale, nel Crotonese e nella pianura del Campidano) ma pure intorno a Roma e nella Maremma tosco-laziale. Pure la pianura Padana presenta una lieve crescita. Nella maggior parte dei casi, si tratta di aree classificate come vulnerabili già nel 1960 e che sperimentano, nel trentennio successivo, un forte consolidamento nei livelli di vulnerabilità, che le caratterizza quindi come aree con fenomeni di degrado già in corso e costanti. Queste sono le aree indicate come prioritarie nella strategia di contrasto alla desertificazione presentata nel Piano di Azione Nazionale di contrasto alla Desertificazione. Nei venti anni successivi, però l’incremento dell’indice ha una distribuzione spaziale completamente diversa, e ciò può essere, almeno in parte, ricollegato al differente contesto socio-economico rispetto a quello osservato nei decenni precedenti. Mentre tende a stabilizzarsi al Sud (con limitate eccezioni nella Calabria meridionale, nella provincia di Messina ed in alcuni ambiti della Sardegna, oltre che nel peri-urbano di Roma), si osserva una crescita rilevante nel Nord Italia, tale crescita coinvolge ambiti eterogenei in pianura Padana, come pure le valli alpine e, in modo ancora più evidente, il bacino dell’Arno e la zona del lago Trasimeno in Umbria. Le alterazioni climatiche hanno accelerato il tutto.

Infine, è utile ricordare che in Italia opera il Comitato Nazionale per la Lotta alla Siccità ed alla Desertificazione (CNLSD), istituito nel 1997 presso il Ministero per l’Ambiente, anche in attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD), entrata in vigore nel dicembre del 1996. Nel 2005, sono stati avviati accordi e progetti operativi con le
cinque regioni maggiormente colpite (Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia) e con due al-
tre regioni con particolari problemi di siccità scelte come rappresentative del territorio nazionale
(Abruzzo e Piemonte).

[1] In realtà mettere a confronto, come alcuni fanno, le perdite di acqua delle singole città è fuorviante ed utile solo per propagandare che al Sud c’è minor efficienza, ma ciò è conseguenza pure di infrastrutture più vecchie e con minori fondi per la manutenzione. In percentuale però la quantità di acqua sprecata è minore.   I dati statistici infatti sono chiari, la Lombardia è la regione con il maggior assorbimento di acqua potabile, tra le attività economiche l’agricoltura è quella con il maggior assorbimento e spreco ed il Nord-ovest d’Italia è l’area con le maggiori superfici irrigate (dati ISTAT, Annuario statistico italiano, anno 2019).

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