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Killer del bitter: un delitto talmente improbabile da colpire nel segno

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“Caro signore, poichè avremmo intenzione di lanciare sul mercato questo nuovo aperitivo, offrendole la rappresentanza nella sua zona, ci permettiamo di disturbarla con l’invio di un campione. Provi ad assaggiarlo. Un nostro incaricato verrà a trovarla per conoscere il suo parere. Vogliamo sapere se è di suo gusto e se l’ha trovato gradevole al palato”.

“Caro signore, poichè avremmo intenzione di lanciare sul mercato questo nuovo aperitivo, offrendole la rappresentanza nella sua zona, ci permettiamo di disturbarla con l’invio di un campione. Provi ad assaggiarlo. Un nostro incaricato verrà a trovarla per conoscere il suo parere. Vogliamo sapere se è di suo gusto e se l’ha trovato gradevole al palato”.

Se vi arrivasse per posta una bottiglietta di bitter San Pellegrino senza l’etichetta, con un tappo in sughero sotto quello originale, contenuta in una confezione riutilizzata di biscotti e accompagnata da un biglietto con una firma illeggibile che recita ciò che avete appena letto, voi lo assaggereste?

Ebbene, c’è chi lo ha fatto, morendo pochi minuti dopo tra dolori atroci e convulsioni. Il risultato dell’autopsia recitò: avvelenamento acuto per ingestione di sostanza sconosciuta, probabilmente stricnina. I periti, in seguito, confermarono che nella bottiglietta c’era tanta stricnina da fulminare due tori.

È l’assurda morte di Tranquillo Allevi, un grossista di formaggi di Arma di Taggia, avvenuta nell’agosto del 1962. Tranquillo, a conferma del suo nome, non sospettò nulla. Pensò solo a quella imprevista possibilità di lavoro e di guadagno piovutagli dal cielo, con la quale avrebbe risolto tutti i suoi problemi economici. Invitò due amici per brindare ai tempi rosei che si prospettavano e con loro assaggiò il bitter avvelenato bevendolo in un solo sorso. I due amici lo assaggiarono appena, trovandolo amaro e disgustoso e rimediando una lavanda gastrica che salvò loro la vita.

Le indagini che seguirono permisero di comprendere cosa era accaduto e chi era stato il responsabile di quell’omicidio a distanza. Eliminata l’improbabile ipotesi di colpevolezza di una ditta importante come la San Pellegrino, scoprirono che il pacco era stato spedito da Milano e, scavando nella vita di Allevi, ma soprattutto in quella della moglie, Renata Lualdi, gli inquirenti finirono per puntare i riflettori sul dottor Renzo Ferrari, veterinario di Barengo (NO), ex amante della Lualdi.

La Lualdi era nota, anche allo stesso Allevi, per le sue scappatelle, tanto da farlo propendere per il trasferimento proprio ad Arma di Taggia, in Liguria, così da spezzare il legame della moglie con Ferrari. La donna ci mise però poco a trovare un valido sostituto con cui passare il tempo mentre il marito era impegnato nei suoi viaggi di lavoro. Ferrari, d’altro canto, che già non aveva preso bene l’allontanamento forzato della donna, non digerì l’essere stato da questa sostituito. Nel suo cieco desiderio di riconquista della Lualdi, arrivò addirittura a offrire quattro milioni di lire ad Allevi in cambio della moglie. L’Allevi dignitosamente lasciò la scelta alla moglie, ma questa rifiutò la proposta. Fu quello il momento in cui Ferrari pensò che uccidendo Allevi, la Lualdi sarebbe finalmente tornata da lui, scaricando anche il nuovo amante. Così si improvvisò killer, e improvvisare è decisamente la parola più adatta, perchè lasciò dietro di sè talmente tante tracce che ci volle ben poco agli inquirenti per incastrarlo. L’etichetta applicata sul pacco, ad esempio, era stata ritagliata da una rivista medica che Ferrari riceveva regolarmente. La prova definitiva fu prodotta esaminando la macchina da scrivere Lexicon 80 utilizzata quotidianamente da Ferrari, i cui caratteri combaciavano con il biglietto ricevuto da Allevi. A ciò si aggiunsero le sei fiale di stricnina da lui acquistate pochi giorni prima nella farmacia di Momo. In quanto veterinario, queste non avevano destato sospetti nel farmacista, essendo all’apparenza destinate alla cura di bovini, ma alla luce del delitto e delle altre prove, divennero elementi schiaccianti. A supporto delle prove, anche la testimonianza della vedova Lualdi, sua principale accusatrice.

La condanna all’ergastolo comminata a Ferrari dalla Corte d’Assise di Imperia fu dunque una formalità. Eppure Ferrari continuerà a dichiararsi innocente anche dopo la grazia ottenuta nel 1986 dal Presidente Cossiga e fino alla sua morte nel 1988.

Passato alla storia come uno dei delitti peggio architettati, compiuto da uno dei killer più improbabili del nostro Paese, con l’omicidio del bitter non c’è dubbio però che Ferrari abbia colpito nel segno. Forse perché conosceva la vittima meglio di quanto si pensi, e dopo un primo tentativo di “corruzione” in cui aveva puntato solo sull’avidità di Allevi offrendosi di comprargli letteralmente la moglie, deve aver capito che quell’uomo, Tranquillo di nome e di fatto, aveva ben altri punti deboli su cui poter fare leva. Allevi è morto per la sua avidità, per la sua ingenuità, per la sua ambizione.

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