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Il coronavirus e la crisi in Italia: dalla tragedia alla responsabilità di un futuro migliore

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Bisognerà fare in modo che il futuro cambi rigorosamente in meglio attraverso una reale, massiccia battaglia contro il precariato e il lavoro in nero, ma anche investendo nuovamente in settori come la sanità pubblica

Quando tutto questo sarà finito, niente sarà più come prima: quante volte di recente abbiamo sentito questa frase? In effetti si tratta di uno dei principali “mantra” proposti dai media, convinti del fatto che molto difficilmente alla fine di questa emergenza riavremo la normalità cui eravamo abituati. Per altro poi, a pensarci bene, la realtà italiana (soprattutto lavorativa e sociale) prima aveva veramente ben poco di “normale”, presentandoci agli occhi del mondo come un paese in crisi endemica dal 2007 indifferente al futuro di settori imprescindibili come la sanità pubblica e l’istruzione (i cui fondi sono stati tagliati sempre selvaggiamente negli ultimi vent’anni), con una crescita di appena lo 0,2% nel 2019 e una costante “fuga dei cervelli” (giovani ma negli ultimi tempi anche meno giovani) all’estero, per non parlare del precariato presente ormai in tutti gli ambiti lavorativi.

Una nuova denuncia della crisi economica

Tuttavia, mai come in questo periodo un tale drammatico scenario era stato messo in luce così brutalmente: l’1 aprile, in seguito alla diffusione del Decreto Cura Italia previsto dall’attuale governo Conte per tamponare gli immensi danni inferti dal Covid alla già fragilissima economia italiana, l’Inps ha ricevuto quasi 2 milioni di domande per 4,4 milioni di lavoratori. Di queste, come riportato da Il Messaggero, 1,66 sono per il solo bonus di 600 euro per autonomi e altri lavoratori, per non parlare dei numeri da capogiro riguardanti i moduli inoltrati per la cassa integrazione, i congedi parentali e i servizi di baby sitting.
Com’è noto il sito dell’Inps è subito andato in tilt, ma ciò che più importa è che ha anche (finalmente) contribuito a spalancare lo scenario di indicibile gravità in cui versa oggi più che mai la situazione economica italiana, un “vaso di Pandora” conosciuto soprattutto dalle autorità (politici in primis) eppure sempre sottovalutato, sminuito o, peggio, considerato con estrema noncuranza. Il lavoro in nero ne risulta essere la piaga maggiore, in parte causa di un’evasione fiscale e contributiva intorno ai 110 miliardi di euro secondo i dati del 28 ottobre 2019.
Si tratta di una realtà tangibile in questo momento storico, coinvolgente in modo particolare quella parte (numerosissima) dei lavoratori autonomi che vivono di espedienti e di prestazioni occasionali di vario genere, certo non coperte dalle clausole previste per le specifiche categorie cui si rivolge il Decreto Cura Italia.

 

Un decreto per una parte degli italiani

L’indennità di 600 euro per il mese di marzo infatti, come spiega l’Inps, è destinata ai liberi professionisti titolari di partita Iva attiva al 23 febbraio e ai lavoratori con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi nella stessa data, inoltre a commercianti, coadiutori diretti, artigiani, coltivatori diretti, mezzadri e coloni. Si rivolge poi ai lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali che abbiano cessato involontariamente il loro rapporto tra il 1 gennaio 2019 e il 17 marzo 2020 e che non abbiano, alla data del 17 marzo, alcun rapporto di lavoro dipendente, agli operatori agricoli a tempo determinato e ai lavoratori dello spettacolo (ovviamente sempre privi di lavoro dipendente al 17 marzo), purché abbiano versato nel 2019 almeno 30 contributi giornalieri e non abbiano avuto un reddito superiore a 50 mila euro. Tutti questi professionisti inoltre non devono essere titolari di pensione né essere iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie.
Sono esclusi invece – come ha giustamente sottolineato Il Messaggero – i professionisti iscritti agli Ordini e alle rispettive casse previdenziali private, 1 milione di lavoratori saltuari e 800.000 lavoratori domestici (secondo Money.it), nonché alcuni esercizi commerciali come le associazioni culturali.
I numeri dei non contemplati tuttavia sembrano essere più elevati e quindi, attualmente, non credibili, così come la reale portata degli aiuti economici: troppo spesso questi ultimi sono appena sufficienti nel supporto a situazioni di povertà e disagio sempre più diffuse in Italia.

La necessità di costruire un futuro migliore

Se è vero allora che niente sarà più come prima, bisognerà fare in modo che il futuro cambi rigorosamente in meglio attraverso una reale, massiccia battaglia contro il precariato e il lavoro in nero, ma anche investendo nuovamente in settori come la sanità pubblica: in quest’ultimo soprattutto la professione infermieristica è stata svilita da contratti di lavoro indecenti persino in questo periodo, nel quale la necessità di medici e infermieri è estrema.
Quando tutto questo sarà finito quindi, niente dovrà essere più come prima ma, se mai, migliore di prima; non dimentichiamoci, però, che tutto questo dipenderà solo da noi.

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