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Guerra ed economia oggi

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Riflessioni sulla decadenza dei Criteri Geopolitici di analisi strategica e macroeconomica.

Sergio Bevilacqua

Qualcuno si domanderà perché io insista nei miei pezzi sulla decadenza dei Criteri Geopolitici di analisi strategica e macroeconomica.

Prendiamo il principio base della strategia basata sulla geopolitica: l’occupazione territoriale, cioè l’invasione. Essa dipende dalla geografia: entrare con la forza in un Paese straniero, utilizzando mezzi blindati e truppe di terra al fine di sostituire l’umano che dirige lo Stato e l’Economia con altro umano proveniente d’altrove è sicuramente una soluzione, che avvenga con la resa oppure con la occupazione violenta.

La risorsa militare è l’unica che può accompagnare lo storico potere, in buona parte decaduto, degli Stati e, pure lì, gli eserciti privati (professionistici, mercenari) aprono una falla notevolissima. Dunque, per fare la guerra servono soldi e gli Stati democratici i soldi non li producono da soli, anche se possono avvalersi di entrate fiscali, tasse e tariffe (dipendenti in sostanza dall’economia) e di fattori coercitivi insiti nella struttura pubblica, sia organizzativa che giuridica, per spostare risorse dai residenti privati all’organizzazione pubblica. Ci sono ancora Stati che invece detengono di fatto risorse economiche: sono le pericolosissime oligarchie, ove poteri economici, quasi unicamente primari e insensibili a logiche di concorrenza in quanto strutturati in cartelli, occupano i poteri statali (Russia, Lega Araba, Iran): guarda caso, sono proprio gli Stati che oggi fanno le guerre. La disponibilità diretta allo Stato di risorse proprie dell’economia civile porta, come nel feudalesimo, a un corto circuito tra potere economico e potere civile, che, tramite anche la coscrizione obbligatoria, è in grado concretamente non solo di volgere l’economia in breve a convertirsi in economia di guerra, ma anche di spostare l’intero asse della cosa pubblica (valoriale, comunicazionale, giuridico, burocratico, coercitivo) verso un’organizzazione di difesa o di attacco bellico. Ciò avviene attraverso l’occupazione delle istituzioni da parte di persone appartenenti o prestanome effettivi delle realtà economiche del territorio, quelle che fanno il Prodotto interno lordo di uno Stato, la ricchezza di una nazione (come scriveva Adam Smith in un insuperato testo base di economia). Può però accadere anche che ciò avvenga con realtà economiche che appartengono ad altra dimensione geoeconomica, cioè di altri contesti geografici e istituzionali, sia locali che globali.

In tutto il mondo civile e in particolare nelle democrazie, è ben visibile come le distanze di programma politico tra destre e sinistre sia divenuto progressivamente minimo e spesso con scavalcamenti su temi che furono identitari nel passato per una parte e per l’altra. Quale sostanza ci riporta questo fenomeno? Sicuramente, il fatto che la gestione dello Stato, di cui si occupa la Politica, sia in termini organizzativi che strategici, è diventata, col passare dei lustri, sempre più tecnica, e gli orientamenti sul che fare sempre più condizionati da fattori vieppiù generali, dal continentale, al globale, all’olistico.

I gruppi apolidi sono secondari (o addirittura terziari), e vivono di valore scientifico in primis, la qual cosa è nobile in fondo, rispetto agli estrattori e comunque primari che invece sono alla fine geopolitici: si appoggiano, cioè, ai poteri locali politici statali, locali, territoriali come sono le miniere.

Anche l’industria delle armi è secondaria e vive di valore scientifico, ma dipende da molti altri settori. E se è conglomerata in grandi gruppi diversificati non fa molta paura di per sé, avendo peraltro come chiarissime opportunità di prodotto-mercato proprio le guerre.

A differenza di sempre, poi, per il fatto chiliastico e quadrivoluzionario che stiamo vivendo, i gruppi economico-finanziari globali oggi non vogliono assolutamente la “Guerra grossa”. Perché il grado di opportunità della ricostruzione non è mai stato così poco allettante e così rischioso in termini competitivi. C’è invece moltissimo valore dietro la cessazione dei conflitti tra blocchi vetustamente geopolitici e il grandissimo tema antropologico in molti sensi dello sviluppo dell’Eurasia.

Ragioniamo, dunque: chi glielo fa fare alle élite politiche di andare a cercare valore che i grandi gruppi sanno benissimo ottenere da soli? La politica degli Stati keynesiani, comunisti ecc. ha fatto il suo tempo: la nuova linea degli stati è il fisco sull’economia, che significa attrattività di servizi e infrastrutture, offerta formata di competenze umane e rete di risorse. Ovviamente non si tratta di certezze, ma di temi che vengono trascurati nelle analisi correnti, che danno ancora troppo peso a rapporti di forza tra Stati, che non sono più così importanti, pur essendo nel caso del corto circuito localistico economia-potere politico in Russia particolarmente rischiosi. La causa è la sostanza economica territorial-primaria dell’economia russa e il deficit democratico creato da Putin con la riforma dello Stato federale effettuata circa dieci anni fa, che ha favorito decisamente la coincidenza tra potere politico ed economico, con la partecipazione allo Stato delle oligarchie primarie.

Il trumpismo, ad esempio, come tutte le ideologie localistiche, è fatto in buona parte per chi ha sensibilità soltanto di ciò che vede intorno a sé, e che considera solo valore dell’esistenza. Non che il trumpismo o altri localismi si fermino lì, ma le azioni politiche di sistema e sovrasistema partono dall’idea di un equilibrio locale possibile. Il concetto di locale oggi è ogni cosa che non è globale od olistica: è locale una strategia per gli USA, per l’UE, per il mondo islamico, per la sola Cina, ecc. Questa politica  negli USA è in realtà, però, strategicamente funzionale alla glob-olistica, perché abbandona la vecchia strategia politica planetaria geopolitica e vede lo Stato come garante di un popolo, quasi uno Stato-sindacato, un “tribuno della plebe” dialettico con le superpotenze economico finanziarie globali e sempre più appunto glob-olistiche.

Ciò premesso, se comunque uno Stato ne attacca un altro con violenza sanguinaria oggettiva effettua un’azione di vera guerra, che non rispetta le autodeterminazioni degli Stati. Se qualcuno lo fa, il salto rispetto ad altro tipo di gara, concorrenza, competizione, conflitto porta la meccanica interattiva su altro piano pratico. Questo ha fatto Putin, questo ha fatto Hamas, questo fanno gli Houti.

Non c’è allora scusante logica, né commisurazione rispetto ad altri tipi di antagonismo ostile (economico, politico interno, verbale, di limitazione delle interazioni e degli interscambi): toccare le armi e produrre direttamente sangue alieno è diversissimo dal non toccarle e magari produrre del sangue indirettamente e in ambiti definiti di giurisdizione. Ciò detto, e dunque spostata la questione sul piano della forza, la sola cosa intelligente per chi attacca con le armi sapendo di essere inferiore (Hamas), è poi quella di fare la vittima: ma ciò funziona solo per gli sprovveduti o gli interessati altrettanto a mestare nel torbido…

Chi invece attacca sapendo di essere superiore (Putin rispetto all’Ucraina) sta esercitando una sorta di prepotenza, forza militare e minaccia atomica, che non appartiene nemmeno al mondo animale, dove mai vediamo attacchi tra comunità della stessa specie: la forza che prevale sulle determinazioni giuridiche e sulle convenzioni culturali e istituzionali civili rappresenta una manifestazione retrograda e incivile. Quindi, pena l’imbarbarimento, tali manifestazioni primitive devono essere trattate nostro malgrado tutto con egual moneta: a-la-guerre-comme-a-la-guerre.

Gli atti correnti di violenza bellica son stati tecnicamente scatenati (e sappiamo anche perché…) da Putin, Hamas e Houti. Sono loro che hanno fatto la guerra, e non noi. Ucraina, Israele, NATO, USA-UK non possono che mettercela tutta con giudizio sullo stesso piano. Oggi è così, con intelligenza e cautela, ma è così… Sperando (spes ultima dea…) che non scatti il delirio, che solo l’ebetismo dei Parlamenti può produrre: le forze dell’economia secondaria e finanziaria sono contro la guerra. La guerra avverrebbe contro il buon senso, la vita e anche l’economia globale che ne sarebbe tragicamente danneggiata e così il vero benessere dell’umanità e dell’ambiente, nonché, per la prima volta gli interessi privati dei grandi gruppi apolidi. Infatti, anche i grandi gruppi apolidi, che fanno il 50% del PIL mondiale, sanno che la ricostruzione dopo una guerra mondiale sarebbe (a differenza di ciò che è stato con WWI e WWII) un pessimo business rispetto all’oggi e alle sue prospettive specifiche di miglioramento, e dunque i loro interessi sarebbero irrimediabilmente danneggiati. E le aziende dell’economia e finanza sono realtà profondamente razionali, regolate attentamente al loro interno in termini di assoluta eccellenza professionale e collegiale. Mica sono bande parlamentari di partitastri italiani!

Ma se Trump è forse una caricatura poco rassicurante, la sua linea non è né assurda né inopportuna. America First significa un rapporto meno succube per l’Europa, la possibilità di gestire una politica eurasiatica in modo più tecnico-economico e meno strategico e, magari, qui sta il rischio/opportunità, riportare Putin a 15 anni fa, quando cercava l’appartenenza al mondo europeo e occidentale, che gli si è, forse giustamente, negata.

Oggi sono cambiate molte cose e la geopolitica può lasciare il campo all’anti-geopolitica, che è l’economia glob-olistica. È possibile che la questione russa possa risolversi con un riequilibrio dei sistemi del valore del secondario a favore dei raw material (migliore remunerazione, probabilmente possibile). E con lo sviluppo estremamente fruttuoso di una logistica di terra eurasiatica. O, meglio, ci sono forse elementi per pensare a un piano di pace e sviluppo, se gli USA dovessero allentare il controllo strategico, attuato tramite la comune alleanza nella NATO, sul Vecchio Continente.

Le illusioni anacronistiche e infantili parlano d’impero russo, di dominio feudale, di riprendersi, ormai solo con le cattive, tutto quello che la Russia ha perso dopo il crollo dell’URSS. E poi, sempre gli infantilismi: se gli USA si ritirano dall’Europa e dalla NATO l’Unione Europea dovrà farsi carico della propria difesa, saranno necessari enormi investimenti in campo militare e dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare. I grandi gruppi economico finanziari apolidi e glob-olistici non lascerebbero mai la sostanza del potere a mezze scimmie di beceri politicanti: e i politici veri lo sanno, infatti hanno sempre concertato con l’economia le vere mosse per la gestione degli Stati e dei popoli. Così anche Putin, che finge, con un bluff tanto clamoroso da essere quasi assurdo in quanto bluff, che sa benissimo che il suo risultato di pseudo-zar è comunque da politico, cioè nel benessere del suo popolo (che viene dall’economia, non solo da Gogol, Dostoevskij e Tolstoj e Shostakovich e dalla grandeur (detta alla Napoleone…).

E nel bluff ci si cade o, più probabile, si fa il pesce in barile. Così Crosetto ministro della Difesa: «Oggi Putin ha detto chiaramente che lui la pace non la vuole, non vuole smettere di bombardare in Ucraina. Così almeno anche a livello italiano quelli che pensano sia facile dialogare con Putin si renderanno conto che non è facile». E aggiunge: «Difesa e sicurezza in tempi difficili possono avere un prezzo alto. Viviamo in un mondo di ombre che da due anni a questa parte ci ha imposto un cambio velocissimo di paradigma, che ci ha costretto a una presa di coscienza della debolezza dell’organizzazione della difesa così come l’avevamo strutturata: non parlavamo più di morti in Europa da decenni, oggi sono centinaia di migliaia». Bluff nel bluff o limite mentale del politico? Direi che quasi non è rilevante che sia l’uno o l’altro.

Una cosa è certa: che nella narrazione l’emozione del bombardamento non è tutto. Ci sono sovraordinate strategie economiche che cambiamo l’analisi, e la spostano da anticamente geopolitica a modernamente glob-olistica. Qui operano i grandi poteri economico-finanziari apolidi che sono secondari e terziari indotti: ripeto, apolidi, cioè sopra Stati e loro organismi espressi, e che avvertono come profondamente fastidiosi e contrari i capricci dei minerari russi e le loro minacce di distruzioni. Certo il piccolo popolo russo (10 milioni in più del piccolo Giappone) guidato da quel pokerista di Putin appare  molto pericoloso, ma solo se si sta “al suo” gioco, al suo bluff. Il punto che ha Putin in mano non è un poker d’assi, è molto meno. Se accettasse di essere pagato per un tris (cosa che credo in un certo contesto non acuto) la crisi rientrerà. Ci sono infatti in diritto internazionale due elementi strategici per lo sviluppo economico e olistico che la Russia detiene: materie prime e logistica eurasiatica. Entrambe sono interessanti sia per Europa-Occidente che per la Cina. Poi, in aggiunta, la Russia ha “Il Terrore”, cioè il grande arsenale nucleare, senza il quale la sua aggressività sarebbe finita da tempo, non avendo dimensioni demografiche ed economico-finanziarie sufficienti a difendere le sue miniere in modo convenzionale. Putin lo sa e bleffa. Finge moderazione nell’attacco, in realtà senza il nucleare non può fare oggi molto più di così, e un Paese non poi così inferiore al suo come l’Ucraina, se sostenuto militarmente, rimarrebbe eterno campo di battaglia, perché le forze armate russe non riuscirebbero a risolvere una questione che oggi in realtà non intendono affrontare.

È chiaro che per creare un enorme bacino economico, un volano mai visto per il progresso dell’Umanità, quale sarebbe un unico sistema economico eurasiatico, che creerebbe enorme sviluppo in tutto il pianeta, occorre o una Russia d’accordo e impegnata in infrastrutture o… nessuna Russia. E questo è interessante per tutte le forze vere e sane dell’economia. Gli Stati tutti temono per il loro potere, ma mentre le Democrazie si adeguano (vedi gli USA, Stato più sensibile in assoluto all’andamento economico sostanziale), i totalitarismi invece resistono: ma non i cinesi, che hanno capito come girano le cose; chi resiste è la Russia.

Putin bleffa, ma non è escluso che preferisca morire anziché cambiare gioco e passare dal Poker al… Bridge (ponte). E allora morirà, insieme a non si sa quanti occidentali, ma la Russia da Pietro il Grande, all’URSS, alla sua, scomparirebbe dalle carte geopolitiche, per diventare un’area dialettica con l’economia mondiale, un pò come il Canada per gli USA, ma per Cina ed Europa.

La Russia vista nella sua obiettiva consistenza è un Paese con una popolazione come il Giappone con un’entità economica inferiore all’Italia, quasi solo primaria, un’economia dei consumi assistita dallo Stato oggi semi-feudale in mano ad oligarchi primari che li sostengono. È plausibile che, in un quadro mutato, pure Putin cambierebbe, razionalmente. Se non lo facesse, sarebbe quasi certamente spazzato via o da un’auspicabile ennesima Rivoluzione russa o da una guerra distruttiva che perderebbe, ma non senza… il Terrore!

Calcoliamo pure che il potenziale demografico russa sia di più di duecento milioni, considerando i suoi satelliti/sudditi della CSI (tipo Bielorussia). Poi consideriamo anche il maggior numero di carri armati e di testate nucleari del mondo…

Ed è quanto basta per un altro elemento della schermaglia: la strategia del “Terrore”. Ma è un bluff che il mondo dell’economia glob-olistica non accetta. E quindi: riguardo alle armi tattiche, l’Europa non sarebbe da meno. E l’invasione si calcola sulle truppe di terra, che sono in proporzione demografica, e sarebbe un porta a porta svantaggioso perché tale proporzione vede la Russia meno della metà dell’Europa.

Se poi si facesse un calcolo sulle testate nucleari, allora un pò di più o di meno rispetto alla NATO, non cambierebbe granché, purtroppo… Ma è proprio l’uso dell’atomica la parte più colorita del bluff: se avvenisse l’apocalisse, di certo la Russia finirebbe la sua storia imperiale e il suo gigantismo. A costi ovviamente apocalittici per tutti, ma finirebbe.

Putin è molto intelligente e astuto, sa che i poteri economico-finanziari glob-olistici non vogliono la guerra grossa. E non accetterebbero la ricostruzione russa dell’Europa o la ricostruzione del mondo per tornare ad essere al massimo quello che sono già oggi. Questa la differenza storica rispetto ad altri conflitti già visti, dove esisteva un interesse alla ricostruzione per via di un volano di crescita. Il volano di crescita oggi mancherebbe e i potentati economici privati apolidi (nati in Occidente, Cina e anche India) hanno già stabilito che la ricostruzione sarebbe un grave danno, non un’opportunità come nel 1939-40.

La vera opportunità per tutti, Russia e USA inclusi, non è il gioco del Poker che sta facendo opportunisticamente Putin col bluff atomico, ma il gioco del Bridge (ponte, congiunzione), la costruzione dell’Eurasia Economica.

Nulla è certo, ma questo è più probabile: il temporeggiare tenendo il mondo in scacco col Terrore è una strategia per vedere se si aprono finestre (Trump?) per grandi vantaggi economici con un nuovo fenomeno economico eurasiatico dove la Russia faccia per Cina ed Europa più di ciò che fa il Canada per gli USA, con enormi benefici globali per tutti, USA compresi.

E con l’accordo in questo caso dei grandi potentati economico-finanziari apolidi.

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