Italia
FederModaMilano sostiene la vendita al dettaglio
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In occasione della conferenza elettiva di FederModaMilano, si è svolto il 28 novembre scorso il convegno «Fare acquisti sotto casa è ancora di moda?».
di Roberta Grendene
“Nella capitale italiana del fashion il dettaglio indipendente tiene meglio che nel resto d’Italia, ma le difficoltà sono tante e, visto il ruolo strategico che gioca, bisogna supportarlo”. Così ha parlato il presidente Renato Borghi.
Dal 2012 al primo semestre 2016 sono stati chiusi quasi 11.500 negozi (-8,3%), quasi sette aziende al giorno. Questi i dati allarmanti evidenziati da Borghi, presidente anche di Federazione Moda Italia e vice presidente di Confcommercio. A Milano la situazione è leggermente migliore, perché il saldo tra le cessazioni di attività e le nuove aperture è stato di 213, con una flessione del 7%.
“Nonostante ciò – ha sottolineato poi Borghi – il nostro Paese mantiene rispetto al resto d’Europa la sua peculiarità con una penetrazione del dettaglio tradizionale di qualità del 27,7%, superiore a quella di tutte le altre nazioni. E se questa percentuale è la più elevata ci sarà un motivo”.
“Nessuno vuole negare l’importanza dei monomarca, che tra l’altro occupano la maggioranza delle location soprattutto nelle grandi città – ha aggiunto -. È però altrettanto innegabile che siamo stati noi multimarca a nobilitare i marchi, a farli conoscere e a dar loro valore, prima che intraprendessero il proprio sviluppo retail”.
A Milano, nella fattispecie, che ha beneficiato di tutte le iniziative di marketing messe in atto per l’Expo, Borghi ha invitato «a non disperdere questo patrimonio e a mantenere alta la good reputation: perché è tutto il commercio a trarne linfa vitale», ricordando che «depauperare le vie periferiche, come tutti sanno, crea problemi di ordine pubblico e di sicurezza».
Sono diversi i punti caldi toccati da Borghi: dagli affitti troppo alti alla politica iper-liberista, che ha portato allo sconvolgimento totale sia degli orari di lavoro – le grandi catene possono sostenere l’apertura continuata mentre le realtà familiari meno, – sia della liberalizzazione delle licenze.
“Sono stati dati troppi spazi commerciali alle grandi superfici. Per non parlare della confusione creata dai factory outlet, compresi i temporary store che vendono la moda a peso e dopo due mesi chiudono, mentre noi dobbiamo garantire il consumatore fino a due anni dall’acquisto. Infine l’online, veicolo privilegiato della contraffazione, che tanto combattiamo”.
Borghi ha affrontato anche il rapporto con le aziende che «tengono in scacco i negozianti, vietando di vendere la merce al di fuori delle mura del negozio, e quindi precludendo la possibilità di fare e-commerce, a meno che non ci si accordi diversamente».
«Inoltre – ha aggiunto – nonostante molti brand abbiano delocalizzato gran parte della produzione (e quindi non si potrebbe nemmeno parlare più di made in Italy) i benefici di tali scelte non sono mai scesi a valle: infatti i listini in tutti questi anni sono sempre, e solo, cresciuti. Continuiamo a impegnarci, a fare ciò che ci piace con impegno e sacrificio – ha infine concluso il presidente, – ma vorremmo in cambio un riconoscimento del nostro valore. Perché non dimentichiamoci che il commercio cambia il volto alla città».