Arte & Cultura
“Dentro Caravaggio”, i tormenti di un artista scomodo
Quando andiamo a una mostra d’arte dedicata a un solo artista sappiamo che affronteremo le emozioni e le esperienze di una persona piena di talento con tutti i suoi pregi e difetti. Nel caso della mostra “Dentro Caravaggio” al Palazzo Reale di Milano che finirà il 28 di questo mese, il pubblico si trova anche a dover affrontare la vita insolita di quello che ora è considerato uno dei nostri artisti più grandi in assoluto.
di Gianni Pezzano
Luci e ombre
La fila all’entrata del Palazzo Reale di Milano dimostra il grande successo di una mostra che ha esaurito i biglietti da tempo. Il pubblico aspetta in silenzio e con pazienza per poter vedere 24 opere importanti dell’artista lombardo. Una volta entrato nel palazzo lo spettatore non si trova di fronte a un’opera con il sotto fondo buio che di solito immagina quando si pensa a Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, ma a una piena di luce com’è “La Buona Ventura”.
Di per se questo non desta sorpresa perché lui, come tutti gli artitisti, ha passato vari periodi creativi nella sua carriera artistica per sviluppare il suo stile personale. Inoltre, lo spettatore vede che i curatori della mostra hanno anche dato la possibilità al pubblico di poter capire la procedura creativa di ciascun pezzo in mostra, con una presentazione data dagli esiti dei controlli scientifici dei quadri e su come l’artista abbia modificato l’opera in corso. Già affascinante di suo, in uno dei quadri la scoperta scientifica crea una serie di domande cui non potremo mai rispondere.
Poi, mentre andiamo di quadro in quadro i colori cominciano a cambiare e cominciamo a notare le ombre dei quadri più celebri con i curatori che ci forniscono la chiave per capire l’essenza dei quadri stessi.
Violenza
In questa mostra chi si concentra solo sulle opere stesse perde l’opportunità di capire non solo il percorso artistico del Caravaggio, ma anche la vita tormentata e violenta dell’artista che è stato soggetto eccellente ed emblematico di film e documentari.
Infatti, la vita di Merisi non è solo il racconto del talento e delle esigenze dell’artista, ma anche delle emozioni violente e del suo carattere forte e scontroso, che non solo portò ai castighi, fughe e esili, ma alla fine anche alla sua morte prematura a soli 39 anni.
Leggendo le citazioni sulle pareti di ciascuna stanza il pubblico attento può confrontare le ire dell’artista con le immagini delle sue opere. Il grande artista sarà sempre soggetto a studi degli esperti e degli appassionati, ma queste citazioni ci danno una chiave unica per cercare di capire i veri messaggi che lui vuole dare al suo pubblico.
Il monaco misterioso
Sappiamo tutti delle controversie dell’epoca quando lui utilizzava modelle considerate “indegne” di rappresentare la Madonne a altre sante. In questa mostra possiamo vedere “La Madonna di Loreto” che fu nascosta quasi immediatamente dal clero non semplicemente perché le figure dei poveri rappresentavano fin troppo bene la povertà di una certa classe dei tempi, ancorchè autentiche perché impersonate da poveri ‘veri’, con le mani ruvide e i piedi impresentabili per il pubblico nobiliare dell’artista, ma soprattutto perché la santa soggetto dell’opera non solo era una nota cortigiana, ma anche l’amante dell’artista stesso ( Lena una cortigiana). Tra i particolari da notare una scelta tipica dell’artista: la gamba della donna in evidenza, cosa inusuale e scandalosa per l’epoca, ma che rappresenta una donna ‘reale’.
Poi, arriviamo a “La flagellazione di Dio” e notiamo i dettagli del quadro che ci fanno capire che Caravaggio veramente conosceva gli effetti della violenza che lo circondava e del quale lui fu volentieri testimone e persino protagonista.
Le ricerche scientifiche di questo quadro dimostrano che l’opera doveva avere un frate domenicano presente alla flagellazione, figura poi cancellata per il pubblico dell’epoca. Tenendo presente che l’ordine dei Domenicani era anche il braccio “forte” della Chiesa sotto il nome della Sacra Inquisizione, questo monaco misterioso ci costringe a cercare spiegazioni non solo all’intenzione originale della sua presenza, ma anche alla ragione per cui fu cancellato.
Pensando alle sua “avventure” notturne e i litigi e baruffe fino alla morte descritte sulle pareti della mostra si pùo facilmente considerare che Caravaggio voleva fare una critica all’Inquisizione e ai suoi persecutori clericali, ma in quel caso ci troviamo costretti a chiedere se poi la figura del Cristo flagellato non fosse allo stesso tempo Caravaggio stesso. Un pensiero che sicuramente avrebbe provocato l’Inquisizione di allora in modo esagerato.
Artisti tormentati
Sarebbe facile cercare di paragonare Caravaggio con l’altro artista noto per i suoi tormenti e la morte precoce, Vincent van Gogh, ma l’artista lombardo ebbe un successo enorme con le sue opere e poteva benissimo godere i frutti del suo lavoro in pace e per tutta la sua vita, non come l’olandese che dei suoi 800 quadri ne vide solo uno venduto. In un certo senso la morte per suicidio di van Gogh è tragicamente facile da intuire, ma questo non è il caso di Caravaggio.
Ma un mistero deve essere risolto prima ancora di poter giudicare davvero la morte Michelangelo Merisi. Benché sappiamo la data approssimativa e il luogo della sua morte, ci sono ancora abbastanza dubbi per chiederci se davvero morì per malattia e non, come molti suggeriscono, come risutalto della violenza della sua vita, in un agguato per vendetta su una delle sue vittime.
Le 24 opere di Caravaggio in mostra a Milano non sono che un assaggio del suo talento, ma ci danno abbastanza per meravigliarci del suo talento e farci rimpiangere cosa avrebbe potuto fare se si fosse concentrato solo sul suo talento invece di seguire i tormenti del lato oscuro del suo caratttere.
All’uscita dell’ultima sala per tornare sotto il sole milanese del giorno, il pubblico si trova a pensare al talento non realizzato fino in fondo e alle opere mai fatte. La mostra vale davvero la pena di essere visitata perché dà al pubblico l’opportunità di apprezzare alcune della sue opere importanti, ma ci dà anche molte cose da considerare.
Alla mostra manca la testa di Golia che fu probabilmente il suo ultimo autoritratto, che ci fa capire che probabilmente anche lui pensava alle conseguenze delle sue intemperanze. Non sapremo mai del tutto se quel volto straziato fosse la riflessione di un suo eventuale “pentimento” tardivo, oppure il risultato delle sostanze tossiche delle sue vernici, come ritengono alcuni medici moderni per cercare spiegazioni per i suoi tormenti.
Allo stesso tempo dobbiamo chiederci, anche in chiave di altri artisti illustri nel corso dei secoli e non solo di pittura, quanto possiamo “perdonare” i loro comportamenti con la scusa che i grandi artisti devono essere giudicati con metri diversi dai “mortali comuni” senza tatenti. Perciò dobbiamo considerare quella testa di Golia e chiederci cosa ci vuole ancora dire Caravaggio. Tristemente non avremo mai risposta a questa domanda.
Però questi pensieri non ci tolgono la certezza che Caravaggio meriti un posto tra gli artisti più grandi di tutti i tempi.