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Cinema & Teatro

De Domenico: l’avventura in Vermiglio, Leone d’argento a Venezia 81 e candidato agli Oscar

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Giuseppe De Domenico film Vermiglio
Tempo di lettura: 6 minuti

L’attore messinese Giuseppe De Domenico, Pietro nel film Vermiglio di Maura Delpero, ci racconta la sua esperienza sul set di questo film e la soddisfazione di essere parte di un’opera che dopo il Leone d’argento a Venezia 81 è in lizza per la sezione miglior film straniero agli Oscar 2025.

 

L’autunno, forte del suo vento, soffia da lontano il nuovo. 

L’inverno nasconde ogni cosa sotto una coltre di neve. 

La primavera disvela i segreti e genera. 

L’estate inonda all’apice della vita.  

 

Quattro stagioni che diventano ciclo di eterno ritorno in Vermiglio. Il film della regista Maura Delpero – vincitore del Gran Premio della Giuria a Venezia 81 e candidato alla selezione per l’Oscar come migliore film internazionale – generato dopo un risveglio.  

Il padre della regista, infatti, le fa visita in sogno da bambino e la ispira per quest’opera in dialetto, ambientata nel piccolo paese trentino di Vermiglio tra il 1944 e il 1945. Ultimi anni di un conflitto che sfiora in minima parte tranquillità e preoccupazioni di una famiglia, perché a far divampare un incendio familiare sarà invece un soldato siciliano: Pietro.

Tornato dal fronte con il suo compagno ferito, Attilio, trova un piccolo mondo a lui sconosciuto dove si innamora di Lucia, la figlia maggiore del severo maestro del villaggio. E proprio Pietro che ha un ruolo di “ordigno” si fa scudo e incarnazione in Giuseppe De Domenico, attore messinese (classe 1993) e volto di film e serie tv come ZeroZeroZero di Stefano Sollima e Bang Bang Baby di Michele Alhaique, Margherita Ferri e Giuseppe Bonito.

Da ruoli di uomini malfamati e senza scrupoli lo ritroviamo nel film, incantevole chiaroscuro poetico e artistico, in tutto il suo mistero – dove il non detto ha più valore quasi delle parole – per un’esperienza che ha richiesto allenamento giornaliero, metodicità e un abbraccio di fiducia e visioni.

Ecco com’è stata la preparazione e la vita da set di questo attore inarrestabile, con confessione finale sul prossimo ruolo in una serie internazionale. 

Giuseppe De Domenico con Santiago Fondevila Sancet nel film Vermiglio di Maura Delpero

Come sei stato selezionato per il ruolo in Vermiglio. Lo hai trovato tu o lui ha trovato te? 

«È stato decisamente lui a trovare me. Ho fatto tre round di selezione, uno a distanza e due in presenza con la regista. Ed è stato un avvicinamento lento e graduale, perché all’inizio avevo i capelli lunghi, venivo da Bang, Bang Baby e avevo un altro tipo di approccio alla telecamera: ero abituato a personaggi come carnefici, mafiosi e criminali. E invece, fin dai primi passi delle selezioni Maura mi ha aiutato ad avere un rapporto diverso con la telecamera e di fiducia nei suoi confronti».  

 

Cosa ti ha colpito di più della sceneggiatura? 

«Rubo le parole di Maura che sintetizzano la mia sensazione: quella di sfogliare un romanzo di pagina in pagina e persona in persona. Ci si sofferma sui dettagli di ogni singolo momento e personaggio e si ha quindi questa sensazione di avere tra le mani lo spaccato di vita di una famiglia e non tanto la sceneggiatura di un film.

È stato un privilegio avere quel copione tra le mani, far parte di una storia del genere e avere un compito molto preciso, cioè un personaggio che inserisce il conflitto dentro la storia. Inteso nel senso sia di conflitto mondiale e drammaturgico che lui stesso vive». 

 

Com’è avvenuta la tua “incarnazione” in Pietro? 

«È stato un lavoro da equilibrista. Ho voluto fare una preparazione fisica camminando 10 chilometri al giorno, ogni giorno per tutta l’estate e l’autunno. Sapendo che il personaggio era scappato dalla guerra e ha attraversato le montagne, volevo che le mie gambe pesassero così come potevano pesare a lui.

Dal punto di vista psico emotivo dovevo trovare la quadra fra il passato e il desiderio di futuro, quindi dover necessariamente essere presente a me stesso in ogni singolo momento e raccontare qualcosa che doveva portare più cose contemporaneamente». 

Giuseppe De Domenico nel set di Vermiglio

 Il tuo ruolo, dunque, ha una funzione disturbante. Pensi sia una cosa positiva o negativa? 

«È stato esattamente il mio tormento per 5 mesi. Capire se giudicarlo o compatirlo; e la bellezza di questo personaggio è che rimane fermo, equidistante fra le due cose perché lui stesso è vittima di qualcosa. Non è uno che se ne approfitta o una persona superficiale, quindi potremmo dire che è più positiva che negativa, perché non esercita un’azione di male volutamente.

Ma al tempo stesso la sua presenza, ciò che porta e tutte le conseguenze della sua presenza all’interno di quella famiglia alterano quell’equilibrio di pace e potremmo dire che è più negativa, che positiva. Quindi, in realtà è entrambe le cose ed è stata questa la vera sfida: portare sullo schermo un personaggio che non prende una posizione netta su tante cose. Sta alla sensibilità del pubblico leggere, interpretare e trarre un giudizio». 

 

C’è stato un momento in cui ha dovuto superare delle difficoltà sul set? 

«Questa è stata la prima volta in assoluto in cui mi sono sentito veramente sereno sul set e mi piaceva essere collaboratore, che primo attore. Mi piaceva alleggerire i problemi, andare incontro alle esigenze produttive, mettere una battuta dove c’era tensione, fare regali. Tutto questo mi aiutava a sentirmi parte di un gruppo.

È stata un’esperienza umana innanzitutto e la prima volta in cui ho sentito di riuscire a fare tesoro delle esperienze e di tutte le altre ore nei set. Mi sentivo consapevole di qualcosa (sapevo dei meccanismi, orari, inciampi, attese…)». 

 

 Si è parlato tanto delle stanze all’interno del film che, insieme al letto, sono quasi luoghi di confessione ed evoluzione. Sei d’accordo? 

«Mi sento abbastanza d’accordo. Nel cinema ogni inquadratura deve raccontare qualcosa e, in questo caso, le stanze sono sovrappopolate, poi meno popolate, servono a raccontare una condizione economica e di intimità e sono abitate, usate ogni volta in modo diverso.

Sta sempre a noi capire cosa fare di un ambiente e un oggetto. Anche se quello per natura è immutabile, siamo noi che possiamo attribuire significati diversi sulla base di esperienze personali. E in questo Maura è stata molto brava; ha sintetizzato, creato simboli e riti che aiutano lo spettatore a sancire questa evoluzione dei personaggi pur rimanendo negli stessi luoghi». 

Giuseppe De Domenico sul set Vermiglio

Com’è stato viaggiare indietro nel tempo e arrivare alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Cosa ti ha colpito di più di quel periodo storico? 

«Quello su cui ho dovuto lavorare è una compostezza. Ci ripetevamo: “Non siamo uomini contemporanei”. C’era una formalità, un rigore e una prossemica diversa e immaginare che quella era la realtà di 80 anni fa, in cui persone della mia età si relazionavano con gli altri è stato molto affascinante». 

 

Il capofamiglia, interpretato da Tommaso Ragno, è un maestro elementare che si sforza di insegnare agli alunni un italiano corretto invece del dialetto. Quanto è importante, da siciliano, il tuo dialetto?

«Molto importante. Quando vado giù con le mie nonne mi sforzo di continuare a parlare in dialetto. Ti rendi conto che ogni lingua va a toccare alcuni lati caratteriali; quindi per me è importante perché mi ancora a un qualcosa di molto bello e mi fa sentire più legato ai miei avi, alla storia della mia famiglia. Abitare quei luoghi nonostante possa girare il mondo con la stessa lingua che poteva parlare il mio bisnonno è prezioso». 

 

Se dovessi condensare Vermiglio e la sua forza in un concetto, quale sarebbe? 

«Vermiglio è un sogno poetico che si spulcia come le pagine di un romanzo. L’estetica e le tante trame e sottotrame fanno vivere un cambiamento, insieme all’ordine generale del mondo».  

 

Che effetto ti ha fatto essere stato a Venezia 81 con un film in concorso e che ha vinto un premio? 

«Poche ore prima di noi sono arrivati George Clooney e Brad Pitt  e ci siamo accavallati con Joaquin Phoenix e Lady Gaga. Ero lì con il mio badge da film delegation con queste icone e un sorriso sul volto che non riuscivo e volevo togliermi, perché sentivo che nonostante questi mostri sacri avevamo il diritto di essere lì.

Non abbiamo mai ipotizzato di vincere un premio, perché per noi era già bello poter far vedere il film in un contesto prestigioso.  Poi è arrivato il premio della Giuria ed ero ubriaco di gioia. Ho messo giorni a realizzare cosa stesse succedendo». 

 

Nuovi progetti? 

«Tornerò su una serialità con il ruolo di Raffaele Sollecito nella serie creata da Kj Steinberg: “Hulu’s Amanda Knox Limited series”». 

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