Diritti umani
Dalla peste del Manzoni al Covid di Conte: tra romanzo e realtà

Tra il covid-19 e la peste narrata dal Manzoni le differenze, a ben guardare, non sono poi tante.
di Ezio Cartotto
Tra il covid-19 e la peste narrata dal Manzoni le differenze, a ben guardare, non sono poi tante.
C’è la gente arrabbiata per la paura di perdere il lavoro e il piatto in tavola senza i quali non potrà dare sussistenza né a sé, nè e ai propri familiari. Ci sono i dottori, che litigano tra di loro: quelli alla Don Ferrante convinti che non si debba aver paura, perchè la peste, seguendo la dottrina aristotelica, è accidente e non sostanza; e poi ci sono quelli equivalenti all’odierno Istituto Superiore di Sanità, che decidono di mettere tutti i malati di peste in un unico grande ospedale, ossia il famigerato Lazzaretto le cui rovine sorgono tutt’oggi a Milano.
Tra i medici raccontati dal Manzoni c’erano coloro più disponibili a nascondere i malati (oggi come allora?): non dimentichiamo quando il ricco Don Rodrigo si rivolge al capo delle sue guardie, il Griso, e gli rivela di avere contratto la peste in un festino da movida dove c’era assembramento. Don Rodrigo gli dice: “Vai dal Chiodo chirurgo, sai quello che nasconde gli ammalati…”. Il Griso lo sa molto bene tanto che dopo un po’ piomba in casa di Don Rodrigo con le guardie sanitarie dell’epoca “i monatti” che prendono Don Rodrigo e lo portano al Lazzaretto, mentre lui fugge con i soldi e vestiti del padrone: peccato non gli serviranno a molto perché, dopo pochi giorni, si ammalerà anche lui e morirà di peste. Come a dire, chi la fa, l’aspetti, o, più filosoficamente, Samarcanda non perdona.
Al tempo della peste, grazie all’esperienza che i medici facevano direttamente sui malati, si sapeva che chi aveva contratto la malattia ne era poi immune, anzi poteva aiutare gli altri. Accaddero allora come oggi episodi di eroismo, alternati a bassi gesti di vigliaccheria: entrambe le tendenze fanno, infondo, parte della natura umana.
La malattia, però, a differenza di oggi, non fu usata dai politici per gettarsi addosso l’un l’altro i dati dei malati e dei morti in cerca del colpevole di turno e le televisioni, che fortunatamente non c’erano, non potevano assediare ospedali da un lato e cittadini dall’altro, in cerca di consenso e pubblicità. Forse c’era più rispetto per la morte, o forse mancavano i mezzi di comunicazione adeguati? Differentemente da oggi, all’epoca, non faceva comodo dire i nomi di tutti i ricchi e i potenti che si erano ammalati e in grande maggioranza salvati, chissà per quale ragione, dalla malattia stessa. Inoltre la malattia non divenne mai un fatto generazionale: nessuno ordinò di tenere chiusi in casa i ragazzi che, come in tutti periodi della storia umana, si incontravano per giocare e divertirsi, e nessuno pensò neppure di eliminare i vecchi improduttivi.
Io e tanti altri ce ne ricorderemo alle elezioni: sempre che si sopravviva contro le scommesse e le speranze di chi ci vuole morti. Non dimentichiamoci poi che all’epoca del Manzoni la peste se ne andò non grazie ad un vaccino, ma perchè la natura che l’aveva creata se la rimangiò. Bastò infatti una gran pioggia per eliminare sul finire dell’estate il flagello. Non sappiamo, certamente, cosa sarebbe accaduto se ci fossero stati i mezzi pubblici pieni di gente: per la fortuna dei politici di allora, questo problema non si pose e quindi non ebbero motivo di preoccuparsi, né di pensare a qualche peccato di omissione nel foro della loro coscienza, almeno, per quelli che ne avevano una.
La spagnola dello scorso secolo, tanto nominata in questo periodo seguì un percorso simile: se ne venne e se ne andò da sola, e forse accadrà la stessa cosa con l’attuale malaugurata “pandemia”. In ogni caso credo si possa dire che, a parte le vittime ed i loro familiari ed amici, i pochi politici coscienziosi e gli operatori sanitari dediti alla professione, tra i più danneggiati di oggi rispetto ad allora ci sono gli uomini di cultura, considerati al titolo di un servizio inessenziale, e gli artisti che si sono visti sottrarre il pubblico, senza il quale, semplicemente, non sono: sarà forse per questo che Gigi Proietti ha preferito andarsene.