Diritti umani
Covid19 e le disattese delle libertà del cittadino da parte dello Stato
Ci sono libertà negate e libertà che nascondono grandi schiavitù. Ci sono schiavitù vestite da una apparente felicità e schiavitù che hanno il sapore evidente ed amaro di una ingiustizia.
di Avv. Anna Maria Antoniazza
Mai come oggi ci ritroviamo compressi nella restrizione della grande libertà che la nostra Costituzione sancisce all’art. 16: la libertà di movimento. Come ricorda Berti – nel suo “Manuale di interpretazione costituzionale” – “la libertà di movimento dei cittadini incontra delle limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. E’ chiaro che ci sono comunque delle limitazioni oggettive che condizionano la circolazione, se non altro per ragioni che ineriscono ai servizi che noi utilizziamo per poter esplicare proprio il diritto di circolare. La sanità e la sicurezza possono giustificare delle limitazioni al movimento e alla circolazione, però sul presupposto di una previsione generale della legge (si fa ad es. l’ipotesi delle epidemie). “
Di fronte a questa restrizione della nostra libertà di movimento ci ritroviamo inermi, impotenti, incapaci di agire. Da un lato perché rinchiusi in una dimensione domestica dove non tutti vivono con serenità la convivenza e si ritrovano ad assaggiare sulla propria pelle in ogni istante il pesante gravame della violenza, dei silenzi, delle parole non ascoltate. Le abitazioni diventano delle prigioni dove si consumano veri e propri quadri di disperazione in cui chi è abituato a gridare e farsi valere senza pietà ha tutta la giornata a disposizione per sfogare il peggio di sè stesso sui membri della propria famiglia. E l’ambiente domestico quando è inquinato da queste presenze di fronte all’impossibilità di muoversi si trasforma in una terribile condizione fisica e mentale in cui le persone muoiono lentamente. Muoiono le nostre madri, i nostri anziani, i figli che assistono silenziosi a vere e proprie stragi della dignità personale.
Di fronte a queste restrizioni non abbiamo particolari scampi, se non la preghiera e il rifugio umile in una dimensione interiore che prima o poi completamente deteriorata sfocerà in una tristezza permanente e difficile da dimenticare negli anni.
L’epidemia e la sua inguaribile restrizione ci ha resi schiavi di una casa che è diventata per molti, troppi una sfera di sofferenza e abusi in continua espansione.
Chi era povero, lo è diventato ancora di più. E chi a malapena riusciva a vivere, ora non ha più di che sopravvivere.
Quando tutto sarà finito, potremo anche tornare ad abbracciarci e amarci ma non avremo più strumenti e mezzi per poterlo fare. Perché il sistema sarà rigonfio di sacche di povertà assoluta, posti di lavoro che non saranno mai ripristinati e situazioni personali corrose nei propri valori fondamentali. Non esisteranno decreti, salvadanai, bonifici in grado di sanare una ciò che è inesorabilmente compromesso.
Stiamo velocemente camminando verso la strada della guerriglia civile, quella del popolo in sommossa che scende e rivendica la sua dignità di esistere, di gridare ancora, forse per l’ultima volta, l’importanza del lavoro e dell’indipendenza economica. Finiremo in una guerra di classi sociali, di economia a doppio binario, in una voragine tra ricchezza e povertà che chissà quando il tempo sarà in grado di risolvere.
Il vero problema non è non poter uscire a bere un caffè alle sei di sera. Il problema sarà trovare di nuovo quei pochi bar ancora aperti una volta che tutto finirà. Perché gli imprenditori stanno morendo, il rischio di impresa diventa insopportabile e totalmente aleatorio. Più che un rischio di impresa è diventata una dichiarazione di morte annunciata. E in tutto questo lo Stato, quello Stato di cui scriveva il Berti anni fa diventa il teatro triste e discriminatorio di “condizioni perché tutto ciò che appare come prerogativa e garanzia dell’individuo venga turbato in profondità, se non spazzato via. Nessun uomo della politica sarà mai onesto a tal punto da proporsi di ovviare a questa perniciosa conseguenza quando mette mano a riforme o a revisioni, ideate soltanto in ragione di un gioco politico dal quale per definizione rimangono estranee, anche se chiamate a parteciparvi, le persone e le loro aggregazioni.”