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Cina, la via della seta che porta a Kabul – China, the silk road leading to Kabul

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di emigrazione e di matrimoni

Cina, la via della seta che porta a Kabul

di Markus Forward

Tutto è già stato scritto e visto sull’annunciato ritiro degli occidentali guidati dagli Usa dall’Afghanistan, la fuga del presidente e la conseguente avanzata dei talebani che si stanno riprendendo il Paese con le armi in pugno. La decisione avallata da Biden era già stata presa da Trump, dopo vent’anni di presenza e miliardi di dollari spesi i cui rapporti sono disponibili. Hanno colpito anche quelle immagini di aerei statunitensi presi d’assalto da afghani desiderosi di libertà, immagini che in qualche modo ricordano il volo americano dal Vietnam.

In effetti, per l’Occidente lì c’era una situazione di guerra, ed era anche un buon affare per i produttori di armi di vari Paesi sia dell’Occidente che dell’Oriente. Ma è proprio l’Oriente che senza perdere tempo si è affacciato alla finestra e ci sono già stati incontri con delegazioni talebane con Russia e Cina. Il punto di vista della Repubblica Popolare Cinese è relativamente semplice e si basa su alcuni punti fermi della sua politica estera. Prima, però, va sottolineato che Donald Trump, con quella decisione, ha fatto un altro favore a Pechino, dopo essere riuscito in precedenza a posizionare la Cina come sua sfidante ufficiale. Un Paese in via di sviluppo con un PIL ufficiale pro capite che è circa un settimo di quello degli Stati Uniti e in una crisi economica che si manifesta almeno dal 2015, non può che rallegrarsi di aver ingannato l’allora presidenza Usa.

Certo, la guerra commerciale che ne seguì, indebolì (e indebolisce tuttora) il sistema industriale cinese, ma quanto sia importante l’immagine rispetto al resto del mondo ce lo hanno insegnato anche gli Stati Uniti con la leva di Hollywood e l’influenza sull’informazione globale. Le guerre, come sappiamo, sono vettori di attivazione economica sia per l’industria militare che per il business delle ricostruzioni, e questa filosofia ha guidato tutta la politica estera americana dalla guerra di Corea (vinta dalla Cina) in poi, dove il primo obiettivo sembra essere economico piuttosto che focalizzato sulla vittoria della guerra stessa. In ogni caso, al regime cinese piacciono tutti i suoi vicini governati da regimi autocratici, e dopo il Mianmar si chiude un’altra scatola con l’Afghanistan.

Gli accordi di cooperazione con gli ‘studenti coranici’ afgani raggiungono paradossalmente un ulteriore obiettivo in termini di immagine, dal momento che la cosiddetta attività rieducativa in atto nello Xinjiang può apparire al mondo ancora più indipendente dalle credenze dei musulmani originari di quelle terre, gli uiguri.

In realtà c’è un fatto sottile che però conta tra coloro che radicalizzano gli scontri religiosi, ed è a quali religioni islamiche ci riferiamo. I talebani aderiscono alla corrente sunnita Daebandi con influenze wahhabite, come i sauditi (che li armano, tra l’altro) e sono estremamente avversi agli sciiti, di cui la minoranza hazara in Afghanistan (circa il 10%) è seguace. Questi discendenti della presenza mongola medievale avevano già subito diversi attacchi in passato e purtroppo non si prevede nulla di buono per loro nel prossimo futuro. Gli uiguri sono sunniti, ma per ragioni storiche le loro tradizioni religiose sono a livello popolare molto legate alle tradizioni sciite, che hanno caratterizzato il primo ingresso islamico in quelle terre fino all’XI secolo. Abbastanza da far sorvolare i talebani, manco a parlare dell’afghano che apre spazi per infrastrutture (basate sul debito) sulla nuova via della seta.

 

China, the silk road leading to Kabul

by Markus Forward

di emigrazione e di matrimoni

Everything has already been written and watched about the announced withdrawal of the Westerners led by the US from Afghanistan, the flight of the president and the consequent advance of the Taliban who are taking back the Country with arms in hand. The decision endorsed by Biden had already been taken by Trump, after twenty years of presence and billions of dollars spent whose reports are available. Those images of US aircrafts stormed by Afghans eager for freedom, images that somehow bring to mind the American flight from Vietnam, have also affected.

In fact, for the West it was a war situation there, and it was also good business for the arms manufacturers of various Countries of both the West and East. But it is precisely the East that without wasting time has looked out the window and there have already been meetings with Taliban delegations with Russia and China. The point of view of the People’s Republic of China is relatively simple and is based on a few fixed points of its foreign policy. First, however, it must be emphasized that Donald Trump, with that decision, did another favor to Beijing, after having previously managed to position China as their official challenger. A developing country with an official GDP per capita that is roughly a seventh of that of the United States and in an economic crisis that has manifested itself since at least 2015, can only rejoice at having duped the then US presidency.

Of course, the trade war that followed weakened (and is still weakening) the Chinese industrial system, but how important the image is with respect to the rest of the world has also been taught to us by the United States with the lever of Hollywood and the influence in global information. Wars, as we know, are vectors of economic activation both for the military industry and for the business of reconstructions, and this philosophy has guided the whole of American foreign policy from the Korean War (won by China) onwards, where the first objective seems to be economic rather than focused on winning the war itself. In any case, the Chinese regime likes all its neighbors ruled by autocratic regimes, and after Mianmar, another box is closed with Afghanistan.

Cooperation agreements with the Afghan ‘Koranic students’ paradoxically achieve a further objective in terms of image, since the so-called re-education activity in place in Xinjiang may appear to the world even more independent from the beliefs of the Muslims native to those lands, the Uighurs. In reality, there is a subtle fact that however counts among those who radicalize the religious clashes and it is about which Islamic religions we refer to. The Taliban adhere to the Sunni Daebandi current with Wahhabi influences, like the Saudis (who arm them, by the way) and are extremely averse to the Shiites, of which the Hazara minority in Afghanistan (about 10%) is a follower. These  descendants of the medieval Mongolian presence had already suffered several attacks in the past and unfortunately nothing good is expected for them in the near future. The Uyghurs are Sunnis, but for historical reasons their religious traditions are at a popular level very connected to the Shiite traditions that characterized the first Islamic entry into those lands until the 11th century. Enough for the Taliban to fly over, needless to mention the Afghan opening up rooms for (debt-based) infrastructures on the new silk road.

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