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Azzera la bolletta

Italia

Calabria nel caos sanitario, il caso emblematico dell’ospedale di Praia a Mare

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Tempo di lettura: 6 minuti

Viaggio alle radici dell’impoverimento della sanità calabrese.

di Cristina Mantis

Condivido il concetto ben espresso da qualcuno di un sud divenuto “Colonia Interna”. Ricordo che feci una breve intervista a Pino Aprile dove sviscerava bene questo concetto e credo che le cose non siano molto cambiate dall’epoca a cui si riferisce lo scrittore di Terroni e di Giù al sud.
Per migliaia d’anni nel florido e ambìto nostro sud,  e quindi anche in quella terra che poi si sarebbe chiamata Calabria, sono venute genti di tutti i popoli, nessuno se n’è mai andato: è con l’Unità d’Italia che è cominciata la nostra imponente migrazione. Al di là delle mistificazioni scritte nei libri di storia, c’è da chiedersi il perché di questa emorragia da cui di fatto questa terra stenta a riprendersi? Quale fu la reale intenzione dietro l’Unità d’Italia, se dopo quest’accadimento il Regno delle Due Sicilie, attivo e pieno di risorse, precipita in un impoverimento tale, da cui non è mai più riuscito a riprendersi? A chi servivano quelle ricchezze? Non è difficile la risposta se ci si attiene semplicemente alla constatazione dei fatti per cui quell’Unità d’Italia portò al nord, in particolare a Piemonte e Toscana, la ricchezza che non avevano mai avuto, dando il via ad una strategia di sviluppo che gli consentì, nel giro di pochi anni, di pagarsi tutti i debiti contratti, con i soldi del sud.

Quando sento quei politici scellerati che più o meno volutamente saltano questo importantissimo capitolo di storia, parlando di un sud “peso morto” da cui vorrebbero prendere le distanze, li invito ad un serio esame di coscienza. E agli altri che questo non l’ignorano vorrei chiedere perché non intraprendere un percorso di coscientizzazione a partire dal promuovere una contro narrazione nelle scuole primarie di tutt’Italia, mettendo nelle pagine dei libri la verità dei fatti storici, e cioè che una fascia della popolazione italiana fu colonizzata, magari inserendo qualche pagina del libro di Nicola Zitara “L’invenzione del Mezzogiorno – Una storia finanziaria”, che spiega bene tutto il dolore e tutto l’incredibile che accadde al sud.

I governi di Roma che da allora si sono succeduti, non hanno mai posto in essere un processo di effettivo risarcimento del sud, né mai lo hanno davvero sostenuto nella sua ricostruzione o per portarlo al livello del resto d’Italia. In particolare, per arrivare subito ai giorni nostri con l’argomento del giorno concernente la disastrosa sanità in Calabria, basti pensare alla decisione di commissariare la regione e di averla lasciata così nella totale noncuranza, per oltre 10 anni, in cui non sono mai stati rispettati i livelli essenziali di assistenza… Vogliamo ancora dare tutta la colpa alle mafie? Al malaffare locale? Facciamolo! Ma non c’è innocenza nella politica nazionale che, per convenienza, tutto questo lo ha nei fatti sempre consentito e avallato, così come per convenienza ha consentito il perdurare della mistificazione della storia, mantenendo nelle segrete degli archivi di stato, la verità di un sud che venne massacrato, depredato e dove in novant’anni più di 15 milioni di persone per sopravvivere furono costrette alla fuga.
Un sud di cui la Calabria fu capofila per numero di gente che prese quelle navi per le Americhe.

Io mi occupo da anni di diritti umani attraverso i documentari che realizzo. E posso dire con una certa sicurezza, che preferirei non avere affatto, che se c’è una terra in Europa dove tutto questo è accaduto e in modo palese perdura la sistematica violazione dei diritti umani, quella è proprio la Calabria.
Tempo fa sono andata a Sibari a visitare la clinica dove sono nata, e vederla in disuso, con le ortiche che mangiavano la porta d’entrata è stata una fitta al cuore.

L’elenco sarebbe lungo da fare… Ma se c’è una situazione emblematica delle condizioni in cui versa la sanità in Calabria, che ne inquadra tutta l’assurdità, l’inciviltà e il degrado, è l’ospedale di Praia a Mare.
Come ben mi rinfresca la memoria Angelo De Presbiteris, un assessore del comune dell’amata cittadina in cui sono cresciuta, la chiusura dell’ospedale di Praia a Mare risale al Piano di Rientro del 2010, quando per i troppi debiti della sanità calabrese si è deciso di chiudere 18 ospedali, tra cui quello di Praia a Mare.
L’ospedale serviva un territorio di circa 35 km, che vanno da Tortora a Belvedere Marittimo e che riguarda d’inverno circa 50.000 abitanti che diventano oltre 500.000 d’estate, con l’enorme afflusso di turisti che da sempre giungono nell’alta fascia tirrenica durante la bella stagione. I collegamenti con l’interno non sono ottimali data la carenza di infrastrutture adeguate, per cui pur essendoci l’ospedale non è stato comunque mai facile per i nostri genitori e per i nostri anziani raggiungere l’ospedale, ma comunque è stato a ragione considerato un punto di salvezza per la cura più o meno immediata dei pazienti della zona e dei turisti. Dopo anni di terrore per essere privi di una struttura sanitaria che aveva all’interno solo un punto di primo intervento, nel 2014 l’amministrazione comunale decide d’intraprendere un ricorso al Consiglio di Stato per la riapertura dell’ospedale. Il ricorso è stato vinto e le due sentenze di ottemperanza sono passate ingiudicato. Ad oggi, degli 86 posti letto disponibili, precedenti alla chiusura, solo il 30% è stato riattivato. Da tre anni è stato attivato solo un pronto soccorso con OBI, ma non essendoci la chirurgia se arriva un caso grave bisogna comunque inviarlo da un’altra parte, e l’ambulanza, dopo il tempo già impiegato nel primo soccorso deve ripartire per un altro ospedale e coprire un’altra distanza di non meno di 50 minuti!

I fatti parlano ed hanno una forte connotazione culturale che impone un cambio di mentalità. Proprio come in rapporto a chi ci arriva sulle coste da altri lidi, dovremmo attuare una de-colonizzazione dello sguardo e leggere in quella migrazione dolorosa e luttuosa i nostri errori che ci tornano indietro come lettere recapitate e ritornate al mittente, così bisognerebbe che la politica tutta rinvenisse gli errori commessi negli ultimi 160 anni, se è vero come è vero che una situazione estrema determinato dal covid 19 ha squarciato il velo su una verità che era già lì da decenni. Allora la speranza è che il fuoco sotto la cenere, com’è il cuore dei calabresi, possa accendersi e incendiare tutte le bugie in circolazione, e creare le basi per una nuova ripartenza per la regione, che onori la sua gente e la sua storia.
Questo è possibile uscendo dalle polemiche e dandoci tutti la mano tra noi e mostrando buona volontà di accogliere le collaborazioni che ci arrivano dall’esterno, quando dentro hanno del buono, quando soprattutto non si propongono come progetti calati dall’alto, proprio come accade con molti “aiuti umanitari” nelle regioni della terra considerate luoghi di sottosviluppo. Il valore di ogni progetto di cooperazione risiede innanzitutto nella sua capacità di essere fatto “con” la gente del luogo e non “per” la gente del luogo. Un grande senegalese come Cheick Anta Diop scriveva molto tempo fa, che “nessuno si può sviluppare con la cultura dell’altro”. Le cose si fanno insieme, tenendo conto delle reali esigenze di un territorio, altrimenti è offesa che si aggiunge al danno. In questo caso è meglio tenere la testa alta e declinare, confidando che anni di lotte per i diritti forse hanno portato a comprendere che oggi chi si oppone all’invasore non verrà chiamato brigante.
Pollice in basso ad ogni virus, pollice in alto alla Calabria che resiste e desidera reinventare se stessa, proprio in questa maledetta epidemia, che apre ad un’occasione di riscatto da non mancare.

Cristina Mantis: Attrice e regista di teatro e cinema. Diplomata alla Scuola Internazionale di Teatro diretta da Emmanuel Gallot Lavallée e alla Fattoria dello Spettacolo, inizia la carriera teatrale nel C.T.M.(Centro Teatrale Meridionale), con Gente in Aspromonte di Corrado Alvaro. Nel 2002 si avvicina alla regia in un viaggio tra i senza dimora della capitale durato diversi anni e realizzando “Il carnevale di Dolores”, vincitore del Tekfestival 2008 come miglior documentario italiano. Collabora con il teatro Ateneo dell’Università La Sapienza di Roma, creando per gli studenti il laboratorio di recitazione “Il personaggio come Persona” concernente una rivisitazione personale del “metodo, e mettendo poi in scena “Infrarossi”, in occasione dei festeggiamenti dei 700 anni dell’Università La Sapienza. Ha girato alcuni video-clip e il corto “Stadio Filadelfia” tra i corti vincitori del progetto “I luoghi del cuore” del FAI, Fondo Ambiente Italiano. Nel 2010 gira il docufilm “Magna Istria”, un viaggio in Istria alla ricerca di una ricetta introvabile, che diventa un “giro” nella sua storia controversa, segnata irrimediabilmente dai dolorosi accadimenti dell’esodo e delle foibe. Nel 2015 realizza il documentario sull’immigrazione Redemption Song, vincitore del premio Rai Cinema, al Festival Visioni dal Mondo.

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